Matteo Fais – L’alba è una stronza come te

MATTEO FAIS

L’ALBA È UNA STRONZA COME TE

diario d’amore

Matteo Fais – L’alba è una stronza come te – Delta 3 Edizioni 2023

Introduzione
LE POESIE D’AMORE SI SCRIVONO
SEMPRE PER LE PERSONE SBAGLIATE

[…] la poetica di Fais appare cupa, da una parte debitrice di un postromanticismo di matrice vagamente flaubertiana – tuttavia spinto oltre le palizzate del convenzionalismo perbenista e, anzi, in linea consequenziale con i nostri tempi soft-core –; dall’altra, figlia di quell’irruenza selvaggia che ha contraddistinto poeti abilissimi del calibro di Simone Cattaneo, proiettata verso un’area antilirica che trova sottili comunanze, a mio avviso altresì lampanti, in alcuni versi dei più bravi parolieri alternative rock che il Belpaese abbia saputo sfornare dai ‘90 a oggi (vedi Afterhours, Marlene Kuntz, Santo Niente, Bachi da Pietra e altri). Una poetica che vuole fare i conti con il dolore intimo dell’esistenza, assumendo registri tragici, scandita dalla ricerca di un ritmo incalzante che non dà tregua, capace di racchiudere, sotto il substrato semantico, un’amabilità sentimentale che l’autore riesce a calibrare all’occorrenza, contrappesando gli oscuri microcosmi in cui prende le mosse, separando i movimenti vitali dalle conseguenze delle sue cadute interiori.

[…]L’intera silloge, di derivazione autobiografica, omogenea nella sua struttura alla pari di un concept album, è un canto di lode all’affermazione dell’individuo per quanto deprivato, una presa di distanza dalla contraddittorietà della vita, incorniciata da un’estetica “nera”, risultato dei tormenti tossici prodotti dalle forme desolanti di amore – in tutto e per tutto contemporanee – intrecciate a una voce dal piglio intrigante e nel contempo preda di un’amarezza senza conforto, in cui ogni speranza annega.

_____________________________________________________________________________Roberto Addeo

***

selezione testi

Il negozio delle estetiste

Ogni tanto mi fermo fuori dal negozio delle
_________________________________  [estetiste.
Sono in molte, carine, alcune bionde, spesso
___________________________________[tatuate.
Le osservo attraverso la gigantesca vetrina.
All’inizio, fanno sempre finta di niente.
Entrano tante donne là dentro
tutte che evidentemente tengono molto
alle loro unghie delle dita
e allo smalto sui piedi.
Non riesco che a sentirmi profondamente
___________________________________[estraneo
e attratto, allo stesso tempo.
È pieno di zone dell’essere
che mi risultano incomprensibili.
Non lo faccio apposta di fissarle.
È che un segreto mi sfugge!
Una di loro mi guarda schifata e rabbiosa.
È ammirevole provare dei sentimenti così ben
_______________________________[definiti e netti.
Invidio la loro consapevolezza senza
__________________________________[incrinature.
La vetrata le protegge, come in un acquario
e io osservo quella vita per me così esotica e
____________________________________ [pacifica.
“Chiamo i carabinieri, se non te ne vai”
grida una, ma la voce mi giunge smorzata.
Non le do granché importanza né fuggo via.
Non credo mai che qualcuno si rivolga a me.
Io sono dall’altra parte.

***

Sapore di plastica

Esco di rado per strada ed è come se la gente
si prendesse una certa distanza di sicurezza da
_______________________________________[me
come se potessi impazzire da un momento
____________________________________all’altro
e toccarla, oppure iniziare
un discorso politico sconclusionato.
Ho un serio problema col grigio smorto
________________________________[dell’asfalto.
Delle volte mi sveglio, dopo poche ore di sonno
ed esco fuori al freddo, quando è ancora buio.
Mi chiedo se la follia sia questo
pensare che l’alba faccia di tutto
per nascondersi da me.
Al mattino presto, quando è ancora buio
avrei voglia di accartocciarmi a terra
sotto la luce rassicurante di un lampione
come una foglia morta che si consumi
________________________________[lentamente.
Temo di non trovare via d’uscita dalla paura.
Potrei strisciare contro le macchine
_______________________________[parcheggiate.
Sogno un’ambulanza che mi prenda in
___________________________________[consegna
infermieri che mi trattino con bonomia e
____________________________________[dolcezza.
Ho una paura fottuta della malattia.
Non faccio che domandarmi se non sia
solo uno scherzo crudele la possibilità di
_______________________________________[morire.
Sono convinto di poter ascrivere tutti i passi
fatti in vita mia a un maldestro tentativo
di tenere a bada certe angoscianti prospettive.
Quando alle sette di mattina mi decido
e vado a fare colazione al bar
mi rammarico per il sapore di plastica del
____________________________________[croissant.

***

Il privilegio del dolore

Io la notte mi sveglio
e mi concedo
il privilegio del dolore
di girare intorno al tavolo
con la luce spenta
bevendo caffè
da una vecchia tazza
col manico rotto.
Dopo un incubo è fantastico
e tanto sarebbe inutile
tornare a dormire.
C’è sempre una donna in testa
che ci ha smollati
ma non ci lascia dormire
che ha mille sembianze nel sonno
e diecimila canzoni a disposizione
durante il giorno
su cui farci impazzire.
La notte mi sveglio
e mi accoglie la cucina
il succo di frutta e il caffè
i piatti sporchi da lavare
e l’angoscia nel microonde
appena un poco da scaldare.
La notte il dolore è tutto per te
te lo puoi godere e te lo devi cullare
per fargli riprendere sonno
come a un bambino.
La notte ogni cosa è viva
e dice la sua sulla tua pena
mentre il lampione là fuori
crea un’atmosfera
perfetta per un film dell’orrore.
La notte niente è normale
non c’è speranza e il mattino incombe
con quella sua luce di troppo.
Che ci lasci la notte
questo pietoso raccoglimento
di chi non riesce a dormire
e può solo pensare ogni errore
con irragionevole indulgenza
mescolandolo con un altro poco
di caffè e rammarico.
La notte gli altri dormono
e quelli che sono sempre amati
se ne fottono di chi veglia
pensando a loro.
La notte è dolcissima
ma lascia stremati
è un giorno pieno d’incontri
che non si realizzerà mai.
Solleva dal terrore
della sveglia che squilla
ma è una vita in più
un privilegio da condannati.

***

Il mazzo di fiori che muore

Vedi quei ragazzi che camminano
presi per mano sulla piazza?
Per loro la felicità
è gioco e semplicità.
Noi dobbiamo lasciare che
si antepongano lune e distanze.
Viviamo di un rigo che ci scambiamo
quasi furtivamente nel cuore della notte.
Noi l’amore dobbiamo immaginarlo.
Io sono qui da solo e ora mi pare
di sapere cosa fare,
ma si tratta di una semplice illusione
connessa all’esser vivo.
Per noi ci vuole una musica,
una fioritura fuori stagione
e nella pioggia è d’obbligo
andare alla ricerca del sole.
Se sono passato ieri
era perché sapevo di non trovarti.
Ho posato un mazzo di fiori sulla porta
solo per guardarlo morire.

***

Visioni notturne

Non c’è più l’amore
resta un uomo che fuma al balcone
non guarda alle stelle
ma alla luce dei lampioni
alle persone fuori a portare
il cane a pisciare
e dietro di sé ha una casa vuota
in tasca uno smartphone con ancora
il numero di sua madre ormai morta
ed è solo come chi ha dimenticato la speranza.
Ha già fatto la conta di tutti i suoi errori
e li consuma quotidianamente
come pillole prescritte
a chi non vuole dimenticare.
Soffrire è meglio, la cosa più giusta.
È il più brutto tiro che si possa
giocare all’amore
ricordargli che la felicità esiste
è la donna in piedi
di cui si scorge la fuga
nell’ombra sul muro
nel sorriso intravvisto
nato già come un ricordo.
La vita è servita a questo
a sentire che esiste
un momento in cui tutta l’esistenza
si contorce in un momento di splendore
e il dolore non è l’unica cosa a fotterci.

***

Viscere confuse

La notte è un sentiero senza scampo
chiedersi come fare a meno l’uno dell’altra
ricordare tutti i momenti
le passioni di un pomeriggio
che non possono ammettere la scissione
la distanza, la fusione dei corpi
che torna alla lontananza
a quella conoscenza
prima del chiamarsi, del sentirsi
del dirsi al telefono quello straziante
“amore mio”
che ferma il cuore e il mondo
che vuol dire non c’è ritorno
che è come ritrovarsi insieme
vittime di un incidente mortale
con le interiora e le viscere confuse.
Così, non sentire più la tua voce
probabilmente in eterno
è un po’ come accettare
l’ultimo respiro e il proprio silenzio
i giorni e la vita ridotti a un aver sognato
a quello sforzo atroce
fatto solo per cercare di essere vivi.

***

MATTEO FAIS è nato a Cagliari, nel 1981. Laureato in Filosofia svolge l’attività di critico letterario e di giornalista di costume. È scrittore e agitatore culturale, fondatore insieme a Davide Cavaliere di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde Robin edizioni 2017, Storia Minima Robin 2018, Le regole dell’estinzione  Castelvecchi  2020. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia.  L’alba è una stronza come te Delta 3 edizioni 2023 segna il suo esordio poetico.

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Una risposta a "Matteo Fais – L’alba è una stronza come te"

  1. la prima lirica in scaletta è la più interessante della selezione qui proposta: un vero e proprio monumento all’incomunicabilità (che è il reale motore del mondo). l’io poetico ozia, sbanda, s’incanta a guardare oltre la vetrina diventando archetipo di junghiana memoria. dentro l’acquario, oltre lo *schermo* (nel duplice significato di barriera protettiva *e* di “superficie diffondente” che ospita l’immagine di proiezione) pascola un branco di vite *aliene* all’io-poetico, del tutto incapace di relazionarsi in modo empatico (è “profondamente estraneo”). il siparietto assume un senso figurato/simbolico che attinge all’inconscio collettivo del telespettatore di realtà (o, meglio, di irrealtà) cui tutti siamo adusi. in quest’universale (sulle ferite), brucia l’assenza di calore umano: l’impronta psicologica è smussata, quasi algida, lo schema è ricorrente e ricorsivo, ogni via di fuga è transennata quanto può esserlo un “sogno allo specchio”.

    difatti, sebbene la parete di cristallo offra al “poeta de passaggio” l’occasione di scrutarci dentro, si sa che il vetro nel contempo (in gioco di riflessi e punti-luce) può fungere da *specchio riflettente* per Narciso. parrebbe una mirabile occasione per “scrutarci” dentro (e ipotizzare un “noi”), ma dentro l’occhio voyeuristico e un po’ superficiale del Poeta (maledetto/benedetto) trova cittadinanza solo l’io. si tratta, dunque, d’un io poetico egotista, per il quale l’esistenza stessa di altri esseri umani risulta incomprensibile (il tono distaccato, un velo di sarcasmo, il capriccio e il vittimismo infantile…). in fondo, per il Poeta, le “angoscianti prospettive” parrebbero essere proprio le altrui esistenze… e infatti “la notte gli altri dormono” beati, perché “quelli che sono sempre amati / se ne fottono di chi veglia / pensando a loro”.

    eh, mi viene in mente una perla di saggezza di Huxley, tutta racchiusa nel *se* posizionato all’incipit di questo suo pensiero: “se uno avesse empatia sufficiente per comprendere e sentire realmente le sofferenze altrui, non avrebbe mai un momento di pace mentale.” ma il Poeta non corre tale rischio, poiché ragiona in questi termini: non sono mai le mie azioni, la mia mancanza di empatia a causare sofferenza, è “il dolore (…) a fotterci”.

    maledetto dolore, ‘sto stronzetto, tutta colpa sua!

    : ))

    ordunque? straziante atto di denuncia? limiti umani del Poeta progressista del nuovo millennio? chissà… certo che il titolo provocatorio di questo “diario d’amore” non aiuta a sciogliere il dubbio, sebbene mi spinga a propendere per la seconda ipotesi: le donne stronze, il volgo ignorante, gli italiani sub-umani (che non possiedono materia grigia a sufficienza per recepire certe riflessioni/stimolazioni intellettuali), ma io… ohi, io no! “io sono dall’altra parte!”.

    chiedo venia, se appaio severo, ma in giro vedo troppi Carofigli e pochi Pasolini…

    : )

    in ogni caso, ben vengano queste liriche che ci consentono, grazie a un distinguo prospettico, di *riflettere* sull’individualismo di massa e sulla parcellizzazione della società umana in guardoni solitari, allineati al credo liberale e progressista. tra le righe, il nano comunista vede umili lavoratrici spiate da un intellettuale che le de-umanizza come rasbore arlecchino tatuate in un acquario, in un contesto in cui l’egemonia ideologica è saldamente in mano alla sinistra radical-chic. e il Poeta/bardo odierno, che recita i suoi versi sul proscenio, completamente ripiegato su se stesso, non è certo in grado di immedesimarsi nelle estetiste, nel loro lavoro, nel loro misero saralio, nel loro disagio nell’essere fissate da un estraneo. anzi, la reazione di una lavoratrice (“Chiamo i carabinieri”) viene liquidata con sufficienza (“la voce mi giunge smorzata”), derubricata a simil-ronzio insignificante.

    davvero il Poeta è diventato un voyeur che, invece di interrogarsi sul disagio che provoca, gode per la propria estraneità, quasi beneficiasse d’un *privilegio filosofico* (“zone dell’essere / che mi risultano incomprensibili”)?

    piuttosto, non dovrebbe forse domandarsi: perché mi guardano con schifo? o anche: che cosa sto comunicando, più o meno involontariamente?

    almeno, domandiamocelo noi.

    : ))

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