Dalla prefazione di Camilla Ziglia: “Questa raccolta distilla come alambicco gocce di paradosso: la sensazione dell’estraneità promessa dal titolo è attinta proprio dal suo opposto ossia dal quotidiano e da ciò che più si crede affine e familiare. Colpisce che addirittura l’io lirico risulti estraneo a se stesso, nella distanza siderale con cui rilegge il vissuto. Antonella Sica percorre il campo di ricerca del lontano nel vicino in diverse direzioni suggerite ancora dal titolo (“corpi”) e secondo i tracciati dei capitoli: i corpi dei quattro membri di una famiglia, l’alterego o la coscienza in corpo di bambina […]”.
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Antonella Sica – Corpi estranei, ArcipelagoItaca ed. 2025
Nota di lettura Franca Alaimo
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La radice etimologica di “estraneo” indica chiaramente il sentirsi fuori da, come uno che piombi all’improvviso in una realtà altra in cui nessuno lo riconosca ed egli stesso non riconosca nulla come suo.
Quando questa percezione assedia anche chi vive in luoghi e fra persone conosciute, la lacerazione della propria integrità psichica non può essere che devastante.
È quanto esprime in versi densi, costruiti con grande perizia tecnica e addolorati echi sonori inseguiti fra assonanze, allitterazione, iterazioni, Antonella Sica nella sua recentissima silloge: < Corpi estranei >.
Il testo di apertura sulla morte della madre con il suo doloroso assillo segna da subito il tono dei successivi, pervasi dalla percezione di un’assenza relazionale con gli altri, a cominciare dai familiari ancora vivi che sembrano abitare le stanze della casa comune come “gabbie”, isolati, irraggiungibili, perfino, a volte, irritanti, come la nonna che trascina le pantofole o il padre che ingurgita cibo e vino come per “allattare” il dolore.
Tutti sembrano cercare un senso senza trovare altro che silenzi vuoti.
Una pausa si introduce a volte in così vasta, disperante mancanza, ed è la presenza delle cose solo nel momento in cui vengono separate da ogni sovrastruttura metaforica mostrandosi quali sono. Il lettore ha quasi la sensazione di trovarsi di fronte a dei quadri verbali, ormai fissati nella loro immobilità: si tratta in genere di interni, che fanno pensare a certi dipinti di Hopper (finestre e tende che separano dall’ ambiente esterno), o di descrizioni di cose o luoghi attente ai dettagli: “un cumulonembo orlato di luce / sul lungomare capovolto / capriole di vento, festa di lampi”, in cui prevale l’ atto puro del guardare, scisso da ogni tentazione filosofica, quando, come scrive la poeta, la gioia sta “nelle gambe” che, camminando, le fanno “gli occhi sazi / come chi non cerca niente”.
È il momento in cui parla quella bambina protagonista della terza delle cinque sezioni che strutturano la silloge, e che è facile identificare con la poesia stessa, se si colgono bene gli indizi seminati tra i versi: “il suo corpo è nuda cantilena”; “un nido di parole che scopro al mattino”; “satura l’ aria / di filastrocche in rima baciata”, anche se questa bambina nel testo che chiude la seconda sezione trascina “fra le mani una bambola rotta”, alludendo, dunque, alla stagione infantile. Come dire che la poesia appartiene all’ infanzia (non manca, del resto, nella silloge la presenza di bimbi che giocano) e che bisognerebbe ritrovare quella meraviglia ormai “rotta”.
Sebbene, insomma, l’atmosfera che si respira all’interno dei versi, sia perlopiù cupa, dolente, l’autrice sparge ogni tanto tracce di luce, di stupore, perfino di incanto, perché ad essi nessun poeta può sottrarsi, se considera l’ azione del versificare un atto di per sé riparatorio, non fosse altro che per la ricerca della musica che fanno le parole combinate sapientemente insieme. (Franca Alaimo)

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selezione testi
dalla sezione CORPI ESTRANEI
Madre di Luna pietra madre ragnatela
di capelli sul guanciale madre pallido
ansimare madre spenta nella parola
madre impiccata al sorriso
in bianco e nero madre
che non ricordo madre
impastata nel corpo madre
che sei andata via
come si spegne la luce
nella stanza di un bambino.
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Risale dal fondo della foschia
il volto perduto di una bambina
fra le mani una bambola rotta
l’afferra per i capelli ormai radi
la trascina, le dice che è la sua
bambina
la ama di schiena.
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dalla sezione HO UNA BAMBINA SULLA SCHIENA
La bambina sulla schiena canta
mentre guido nel traffico satura l’aria
di filastrocche in rima baciata
con l’unghia disegna farfalle di sangue
e si sorprende soffiando sul collo
non sgravino il volo i ritagli d’ali
prima d’entrare in ufficio m’imbroglia
i capelli al gioco del vento, poi preda
del sonno sussurra alla nuca:
«allora, mi ami?»
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da LA CONDANNA ALLA LUCE
Stormi che improvvisi
s’alzano in volo
asciugando il petto
in un bagliore
è una luce che s’annida
frantuma in lucciole
le ossa del giorno.
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C’è quel lenzuolo che gioca
a fare la vela tirato dal vento
tende al mare fibre bianche d’alcova
e quella maglia da educanda che freme
tutta sfrenata nella danza s’avvolge
alla corda da amante consumata
e c’è una donna appoggiata alla ringhiera
che sorride al vento che spariglia.
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dalla sezione DOVE NESSUNO CHIAMA
Sul precipizio domestico del letto
il silenzio è un rombo di valanga
uccide lentamente nel sonno
oltre la parete esposta al mare
la città si ostina a impazzire
fatica a pagare l’affitto
migliaia di luci elettriche
nascondono la morte delle stelle.
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La notte nasconde i colori
sotto la lingua
afasia dei vetri
i lampioni del portone di fronte
affilano gli alberi nei giardini
luci rosse d’allarme sui muri svaniti
lampeggiano l’attesa
costante di una perdita.
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