
All’inizio di aprile ho parlato di “First Memory/Primo ricordo”, una breve poesia di soli nove versi tratta dalla raccolta Ararat di Louise Glück, libro che ripercorre il suo viaggio interiore all’indomani della morte della sorella e del padre. All’ombra di queste morti, la poetessa si sforza di guardare al proprio passato per cercare di comprendere se stessa nel presente.
È un tentativo di affidarsi alla memoria per risolvere la sua crisi psicologica, un percorso in cui non mancheranno epifanie duramente guadagnate, come quella descritta in “Primo ricordo”, che è l’ultimo componimento del libro.
La poesia di oggi, intitolata “Parodos”, è la prima della raccolta. Anch’essa inizia con “Molto tempo fa, fui ferita”, un verso che riecheggia l’apertura di “First Memory” e introduce i temi unificanti dell’opera: memoria e dolore.
PARADOS
Long ago, I was wounded.
I learned
to exist, in reaction,
out of touch
with the world: I’ll tell you
what I meant to be-
a device that listened.
Not inert: still.
A piece of wood. A stone.
Why should I tire myself, debating, arguing?
Those people breathing in the other beds
could hardly follow, being
uncontrollable
like any dream-
Through the blinds, I watched
the moon in the night sky, shrinking and swelling-
I was born to a vocation:
to bear witness
to the great mysteries.
Now that I’ve seen both
birth and death, I know
to the dark nature these
are proofs, not
mysteries-
PARADOS
Molto tempo fa, fui ferita.
Imparai
a esistere, per reazione,
distaccata dal mondo: vi dirò
che cosa aspiravo a essere—
un congegno che ascoltava.
Non inerte: fermo.
Un pezzo di legno. Una pietra.
Perché dovrei stancarmi a discutere, a ribattere?
Quelli che respiravano negli altri letti
difficilmente avrebbero potuto seguirmi, essendo
incontrollabili
come qualunque sogno—
Attraverso le persiane, guardavo
nel cielo notturno la luna restringersi e gonfiarsi—
Sono nata con una vocazione:
testimoniare
i grandi misteri.
Ora che ho visto sia
la nascita che la morte,
so che, per la loro natura oscura,
esse sono prove, non
misteri—
(trad: L.Z.)
Louise Glück inizia a svelare il proprio conflitto interiore, quel tumulto che la rende immobile come un pezzo di legno o una pietra, incapace di reagire. Forse spera, dolorosamente, di risolverlo, pur romanticizzando il proprio distacco e i danni emotivi, giustificandosi con una disperata ammissione: come poetessa, è “nata con una vocazione: / testimoniare / i grandi misteri/… nascita e morte”. Tuttavia, le sue intenzioni si sono rivelate una dolorosa illusione, poiché si rende conto che nascita e morte sono, in realtà, “prove, non misteri”.
Il titolo della poesia, che ricorda da vicino la parola “paradosso”, potrebbe alludere a una fortificazione, come un terrapieno eretto dietro una trincea per proteggere i soldati da attacchi improvvisi provenienti dalle retrovie. In alternativa, potrebbe indicare l’entrata laterale degli antichi teatri greci, quella che conduceva al palco o all’orchestra, oppure la prima ode o canzone cantata dal Coro mentre entra in scena all’inizio dell’opera, subito dopo il prologo.
Immagine: Louise Glück nel 1977 (https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Louise_Gl%C3%BCck_circa_1977.jpg)
Che bella!
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Cara Francesca, sono felice di sapere che anche tu hai trovato questa poesia davvero bella!
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Buona poesia. Il dolore dona lo sguardo oggettivo, si vede il mondo costituito dai suoi elementi materiali, senza psichismo o soggettività. La vita e la morte diventano prove o anche dimostrazioni, forse l’intuizione dello svelamento del mistero che è l’uscire dal nulla per poi alla fine rientrarvi.
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Grazie per aver condiviso questa preziosa riflessione su una poesia tanto bella!
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A very beautiful poem. I loved “I was born to a vocation: to bear witness to the great mysteries.”
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resto perplesso e freddino (forse perché mi trovo molto raffreddato, eh… i mali di stagione, o forse perché l’incipit m’ha istintivamente rievocato il “Garibaldi fu ferito, fu ferito ad una gamba“)…
non riesco a cogliere corposi elementi di pulcritudine formale e, parimenti, m’appaiono piatta/mente bidimensionali i tormenti interiori della Glück.
è evidente, peraltro, che essendo nano, non posso essere all’altezza di commentare un premio Pulitzer… in ogni caso, come recita l’adagio latino, “non è da sputare sui gusti in autobus” e su questo penso che siamo tutti d’accordo.
: ))
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Grazie per aver condiviso le tue osservazioni: una divertente voce fuori dal coro 😉
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Beautiful!
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Thanks a lot ❤️
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…Sono nata con una vocazione:
testimoniare
i grandi misteri.
Ora che ho visto sia
la nascita che la morte,
so che, per la loro natura oscura,
esse sono prove, non
misteri—
Nascere e morire non sono misteri ma prove. Di cosa? Di un mistero piu grande. Ma essendo legati alla “Vita” si potrebbe pensare che sia questa la rappresentazione del mistero più grande. Anche della vita però si può dire che nasca e muoia nell’Universo.
E che dire del nascere e morire dell’Universo?
Se ammettiamo che dal nulla non nasca nulla si finisce in qualcosa che rimanda all’infinito alla quale l’esperienza umana della sofferenza viene risvegliata e a cui tenta di contrapporsi semplicemente come testimonianza senza possibilità di intervento, assurdamente ferma come una pietra ad ascoltare.
Si tratta dunque di un vano quanto paradossale tentativo di fermare l’irrefrenabile anche solo desiderandolo.
Pur non amando questo tipo di poesia devo ammettere che rappresenta una straordinaria sintesi di tanti temi che si agitano nella coscienza umana da millenni o così almeno mi pare. ciao
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Grazie!
Grazie di cuore per aver condiviso le tue preziose riflessioni
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