Simone Cocco – L’azzurro che impenna… – Inediti

L’AZZURRO CHE IMPENNA, LE ALBE D’ESTATE E TU, A RUOTA

L’azzurro che impenna
Le albe d’estate e tu, a ruota e
Ci fa specie un po’ tutto ma
Presumo ce la faremo ancora, ancora
Per il rotto delle cuffie buone – senza fili –

E quando ho gonfiato le gomme
Della bici, dillo: mica ci credevi
Che mi sarei fatto vento all’ora delle
Ultime stelle e del primo occhio mattino
Scorrazzando dentro il verde

Degli anni miei 50 e mezzo
Per andare a fare un tuffo
Alla prima fermata sul lungomare che,
A prenderlo così presto – il mare – ci si
Sorprende sospesi & felici per niente

E se avessi potuto sì, non lo nego:
Avrei evitato volentieri d’attraversarlo
Il deserto che dall’io conosciuto porta
Dritto per dritto in fondo al buio di nessuno,
Me lo sarei risparmiato già, ma qualcuno

Doveva pur farlo, e chi meglio di uno
Senza padri né carte né figli né santi
Chi meglio di uno che di punto in bianco
Gridi vino al vino e nero al nero, senza
Preoccuparsi tanto di cosa ne pensi il mondo, e oh

Tutto sta nel tentar di resistere, inventarsi
Un posto tra i possibili fiori ancor gentili e
Nel provare a farsi contro canto sull’inganno
Cantando, scrivendo sulle ali (o sui pedali)
Scrivendo, amoreggiando a distanza dai domani

Sicuri di niente, di un cazzo di niente
Lontani dalla messe regolata delle urgenze
Dai credo dai riti dai dottori dalle banche
Dalle fate dai pro dai contro dai sogni ricreativi
Dagli amici dai nemici dalle ansie degli affetti

Sicuri di niente, non nel dire, ma: nel dis-Fare
Tutto, a cominciar dal proprio interno
Fin quasi ad apparire a diavoli e madonne
Per incantare, farsi attesa d’assenza da pregare
Com’era nel principio, ora e sempre,

Nei secoli dei secoli &

Amen.

 

img simone cocco

 

RICORDI DAL FUTURO
 
Ci sono cose sacre.
E ce ne sono di profane, pare.
Si può tentar – giro vita chiudendo –
Di profanar le prime
E sacralizzare le seconde.
O – gioco vita girando –
Di lasciar fare alle cose
Il sacro e il profano, o meglio: il niente tutto che sono,
Fin dalla fine. Tra lo stupore d’ogni inizio senza meta.
 
*
Per esempio:
Sacra, è la parola che suona.
E mai spiega.
Hai presente un attimo di pioggia
Che gocciando si accade?
Ecco, puoi tentar di dire, insegnare ad altri
Il fenomeno. Fingendoti “imparato”, in quanto detto.
Ma, ed ecco il guasto d’ogni sacro profanato:
Quale saper puoi mai sapere, di ciò che non sei?
 
*
Potresti intendere sacra, immagino,
Qualsiasi sensazione, o idea a te superiore
-Dio, gli astri, gli inciampi del vento, il mistero delle calze perse-
E viceversa, “nominar” profana
Ogni domanda tradotta in risposta,
A beneficio d’uso (umano) quotidiano.
Così, puoi far di dio un “credo”, una religione, un’agenda,
Rendendo invero profano, ciò che intendevi
Elevare a sacro!
 
*
Quel che spieghi, rompi.
Quel che senti, godi.
Quel che sa, non può saper che le stolte parole parlate. O scritte!
Non basta un telescopio, o delle mappe “giuste”,
Per indovinar il senso delle stelle.
In questo assurdo urgente di pieno, mi par di avvertire oggi
Lo sberleffo a se stessa, di certa scienza “medica”.
È dentro un corpo malato, la cura:
Chiedi alla conchiglia della perla, prima di separarla, testa di pazzo!
 
*
L’intelletto, sarebbe bello usarlo
Per pelar patate, accendere e spegnere cose meccaniche,
Zuccherare o meno il caffè, levarsi il moccio dal naso;
Insomma, per ciò che sia utile al quotidiano (al profano, se vuoi).
Non certo mai, per tentar di conoscere.
Invece, tendenzialmente, il fatto umano
È propenso a fare il contrario:
Inizia ben presto ad insegnare ad un altro
(Al bambino, per lo più) a “come/dove pensare”. A “cosa sapere”.
 
*
Per questo motivo, suppongo,
Esistono: giornali, televisioni, corsi formativi.
E notizie, assessorati, guerre, piazze, galere.
Leggi. Regole sociali. Giustizia giusta, o ingiusta.
Ordinamenti, albi, parenti, giornate titolate, notai, pastiglie, divieti.
Diritti, doveri, meriti, colpe, generi, razze, ginocchi famosi.
Tutte conseguenze dell’uso intellettuale
Dell’intelletto. Pompini autorefenziali, via dalle bocche.
Libertà forzate. Potere d’impotenza. Curriculum mortem.
 
*
Io proprio non so,
Cosa sia l’amore.
Né so per quale motivo si venga
A passeggiare in questo posto qui,
Con questo corpo, in questo tempo tanto largo & scuro & chiaro.
Non so del perché del talento dio profano
Di Michelangelo, Charlie Chaplin, Gurdjieff, o Battiato.
Non lo so davvero, il perché di tante cose.
Tra vedere e non vedere, provo a sentire.
 
*
A godere.
Illudendomi di non giustificarmi addosso, o fuori,
Il piacer più vano possibile.
 
*
Non penso, possa farti male.
Non penso, mi faccia male.
E poi, esiste forse un “male”
Al quale sia precluso il bene?
O esiste un bene che scarichi il barile del cuore, al male?
 
*
Basta,
Son stanco di scrivere.
Vorrei riuscire a farlo
Con più suono:
Senza farlo.
Scrivere sull’acqua.
Ricordare dal futuro.
 
*

SCARPE DI BAMBINI

Stanotte
Ci son stelle che parlano piano
Per non svegliare i sogni del plumbago,
Suppongo

E ce ne sono delle altre
Che s’attaccano ai vetri delle finestre
Così forte da far pensare sia Natale
(E non il 30 di giugno)

Stanotte
I film di Truffaut escono dai cofanetti
E un po’ scappa la pipì, sì, ma il bagno è occupato
Dall’ombra di Fanny che gioca con il phone

E fa un po’ specie ma non tanto
Il fatto che nei periodi di magra
La fantasia smuova voci d’oltre all’ingrasso
Bisbigliando cose capaci d’accadere da sole

Per esempio stanotte
La scala a chiocciola che porta su in terrazza
È piena di scarpe di bambini e più di un lampo
Avvisa che la guerra no, non finirà mai

E ci sarebbe da piangere
Se questa vita già non sapesse che – in un’altra –
Le stesse anime di adesso torneranno con piedi nuovi
A riprendersi il tempo l’onore e le scarpe

E stanotte dai fogli
Le canzoni vengon fuori già cantate
Quasi fossero rampicanti discesi dal buio, le note
E bocconi incastrati in gole di vento, le parole

E ci sarebbe da perdere
Non dico alla grande ma almeno con sportività
Considerato che questo mondo fa un po’ schifo
Tutto sommato, o tutto sottratto

E vincerci sopra e in mezzo
Dovrebbe quanto meno far provare vergogna
Ma vergogna a chi? E poi per cosa?
Siamo vanto di fango, passe-partout d’inferno

Basta un goccio di sperma
Un ritorno improvviso di ridarella
A toglierci di dosso ogni imbarazzo
In cambio di un moto d’io voglio ergo sono
Del cazzo.

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