Ivan Pozzoni, Kolektivne Nseae. Nota di lettura di Cipriano Gentilino

Ivan Pozzoni, Kolektivne Nseae, Edizioni Divina Follia 2024

Nota di lettura di Cipriano Gentilino

Kolektivne NSEAE è un testo che si colloca a cavallo fra la teoria estetica, la filosofia politica e il pamphlet d’avanguardia. Ivan Pozzoni non solo propone una lettura radicale dell’attuale crisi della letteratura, ma la inscrive in una genealogia filosofico-letteraria che ne legittima la svolta paradigmatica.

In particolare l’autore individua una diagnosi (anamnesi), una spiegazione causale (eziologia) e infine una proposta di cura (terapia) per una condizione che l’autore definisce come la “malattia del disinteresse” – il progressivo venir meno dell’interesse del pubblico, delle istituzioni e dell’accademia per ogni forma di “esperienza estetica”.

in Anamnesi Pozzoni individua l’origine storica dell’egocentrismo estetico nell’intersezione tra Dante, che fonda il lirismo dell’io moderno, e Cartesio, che fonda l’ontologia dell’“ego cogito”. La “morte del pubblico”, ossia il distacco tra artista e destinatario, nasce già con la modernità e non – come spesso si dice – con il Romanticismo. Le scelte dell’io lirico moderno, in poesia, e dell’io teoretico, in filosofia, allontanano l’opera d’arte dalla funzione collettiva e comunitaria che aveva nel mondo antico.

in Eziologia si affronta il tema  della duplice responsabilità del disinteresse . Quella filosofico-letteraria della  l’egopatia lirica porta a una produzione autoreferenziale, scollegata da ogni comunità di ricezione e quella economica costituita dalla editoria contemporanea, invasa da opere autoprodotte o da editori minori senza distribuzione. Tale condizione economica ha saturato il mercato e smarrito i criteri di qualità, mentre, a sua volta, l’accademia si è rifugiata nella storiografia, rinunciando a una lettura critica del presente.

La terapia proposta è  la sostituzione dell’ontologia estetica moderna con una nuova socio/etno/antropologia estetica, che rifiuti sia la centralità dell’autore che la sacralità della poesia ed infine l’isolamento dell’opera d’arte dalla vita sociale.

Il saggio poggia  su una ricca cultura trasversale: Pozzoni si muove ampiamente da Dante a Derrida, da Spinoza a Bauman, da Lucini a Wittgenstein per meglio determinare uno dei suoi principali  punti di forza che è  la critica spietata all’“io lirico” narcisistico. Pozzoni denuncia l’autoreferenzialità di buona parte della poesia contemporanea – vista come ripiegata su di sé, lontana da ogni istanza politica, sociale o performativa. Ma il rischio è che il suo stesso discorso, per quanto autocritico, non sfugga alla logica del “conducator”,come egli stesso si definisce, ed è proprio la sua figura di intellettuale carismatico e polemico a riempire lo spazio dell’“io”.

Di notevole interesse invece è il concetto di “riot-text” come terapia poetica.

La  introduzione di un  testo poetico/documentale nato dalla prassi collettiva – è una proposta interessante: segna una frattura rispetto alla lirica dell’io e apre a una poesia dell’interazione sociale. Tuttavia, la necessità di ridefinire continuamente i propri concetti (clearity, partecipazione, anti-pòiesis) rischia di lasciare il lettore in un limbo tra utopia e inattuabilità.

I testi poetici che chiudono il volume alternano momenti di vera intensità (si pensi a “Caronte, in riva al lago” o “Bronchopneumonia”) ad altri più parodici e rabbiosi (“Il tango del bandolero”, “COVID”). In alcuni casi l’ironia diventa cinismo, e la lingua si fa programmaticamente brutale, fino a rasentare il pamphlet sociale. Ciò rafforza la coerenza con la poetica proposta, ma  limita il vissuto di praticabilità e quindi  l’empatia  verso il tentativo coraggioso di pensare una nuova ontologia della esperienza estetica.

Kolektivne NSEAE è, senza dubbio, un’opera di rottura, che rifiuta ogni compromesso con l’industria culturale e tenta di rifondare il rapporto tra autore, testo e pubblico. Una opera attraverso la quale Ivan Pozzoni si propone come un cantore combattente che fa della poesia uno strumento di lotta e un dispositivo etico più che estetico.

CARONTE, IN RIVA AL LAGO

Seduto su una roccia, in riva alle acque turbolente
macchiate di ricordi del mio Lete lacustre,
mi tramortisco col rumore ombroso delle onde
che cantano dei miei vent’anni, d’amori e attese blande.
Cerco un Caronte astioso e ansante,
che meni la mia barca sui fiumi d’Occidente,
rodato dosatore d’ansiolitici, seduta stante,
scorbutico maleducato, rude bifronte.
Cerco un Caronte, un Caronte vero,
temerario consulente abituato a transumanze d’ogni genere,
con remi, barba stanca,
obolo di scorta che difenda all’arma bianca.
Seduto su una roccia, rinvio a domani
l’insulsa immaturità delle mie mani.


BRONCHOPNEUMONIA

Sei arrivata dalle oscure terre del freddo Est,
riarse dai roghi luminosi di Jan Hus e di Jan Palach
- mi ricordano il suono indistinto del tuo nome
che non so ancora dire, che non so ancora urlare-,
sei arrivata con una borsa piena delle mie fatiche di Ercole
senza riuscire a scambiare i tuoi occhi coi miei occhi,
senza riuscire a scioglierti sotto i colpi del sapore corrosivo del mio alito
(la mia lingua taglia, erode, brucia).
Alle anime gemelle non occorrono due anime,
si scontrano come corpi nella concretezza della terra,
si scontrano sulle bollette da pagare, sui conti in rosso, su vite in bilico,
alle anime gemelle non occorrono due corpi
attraverso cui scopare, rotolandosi voluttuosamente in letti madidi
su cui restano impressi i segni delle catene,
alle anime gemelle non occorrono due menti,
alle anime gemelle non occorrono due cervelli,
alle anime gemelle non occorrono due cuori.
Sei volata via come la brezza del fantasma di un amore fragile
lasciandomi il compito di rimettere insieme i cocci
della nostra nuova lingua: italiano - english - český,
in un threesome che, ragionevolmente, caratterizzerà la nostra storia,
a fare i conti con il tuo timore di amare e la mia incapacità d’essere amato,
a tossire, a vomitare sangue, a bruciare (due mesi?)
d’una inarrestabile bronchopneumonia amorosa.
Alle anime gemelle non occorre niente,
bastano a se stesse, figurine doppie
sovrapposte sull’album dei ricordi della vita,
a mettere in rilievo un attimo brillante di felicità
al tatto di un Dio che colleziona cadaveri e esperienze altrui,
a Milano, a Karlsbad, o a Milansbad.


COVID

Scrivere sul Coronavirus, adesso, non ha senso,
tutti a tamponarsi senza chiedere consenso
stormi di ambulanze sciamano dal deposito dietro casa
facendo della Lombardia una regione a tabula rasa,
e loro, a correre sui marciapiedi o a formar crocicchi
con grovigli di maschere che neanche un film porno di Schicchi.
E i volponi UE mesi a discutere di Mes condizionato
chi cazzo mi trova un lavoro che son rimasto disoccupato,
mi attende una meravigliosa vita da recluso in casa
a togliere i capelli dalla doccia sennò il tubo si intasa,
viva il governo olandese che non vuol condividere il debito
senza capire che a star seduti sullo Stivale l’Europa rischia piaghe da decubito.
E il terrore di morire in solitudine corre sul filo, avanza,
alcuni a reclamare i loro dieci anni di meritata vedovanza,
altri a non voler finir scannati come animali
a me, se muoio, buttatemi in una fossa comune tra battone e criminali,
nell’attesa che un eroico ricercatore David
riesca ad abbattere a fiondate il pandemico Covid.


IL TANGO DEL BANDOLERO

Bandolero, da dieci anni la pensione ti ha levato ogni pensiero,
passi i giorni alle bocciofile schiavo del tuo tempo libero, Bandolero,
cinquant’anni trascorsi in banca a maneggiare l’altrui denaro
e, ora, in coda a ritirar la social card felice vittima del rincaro.
Bandolero!
Bandolero, con il bancomat a tracolla cadi preda d’ogni phishing
ignorando, con orgoglio, l’esistenza dell’home banking,
Bandolero, doni al consulente finanziario provvigioni a palate
accogliendo nel tuo portafoglio il meglio delle obbligazioni subordinate.
Bandolero!
Bandolero, irresponsabile correo del boom economico italiano,
il tuo voto spensierato a Andreotti, a Spadolini o al dio craxiano,
ci ha gettato tra le braccia di una troika assai baldracca,
e mentre balli soddisfatto noi nuotiamo nella cacca.
Bandolero!
Bandolero, damerino impomatato con le vecchie al capezzale
grazie all’uso spassionato di un catetere vescicale,
balli il tango con maestria alle sagre del paese, Bandolero,
contando i pasos doble della strada che conduce al cimitero.
Bandolero!


Note biografiche:

Ivan Pozzoni è nato a Monza nel 1976; si è laureato in Giurisprudenza con una tesi sul filosofo

Mario Calderoni. Si è occupato, a livello accademico di: filosofia del diritto, teoria del diritto,

epistemologia e storia delle scienze, estetica, etica, teologia, sociologia dell’arte, storiografia

filosofica, storiografia della letteratura, critica letteraria, sociologia, psicologia, psichiatria forense e

medicina legale. Ha superato – come visiting student- i corsi accademici di filosofia, sociologia,

psicologia e medicina. Primo, insieme ad uno sparuto manipolo di studiosi, ha introdotto in Italia la

materia della Law and Literature, divenendone uno dei massimi esperti italiani. Ha diffuso

moltissimi articoli dedicati a filosofi italiani dell’Ottocento e del Novecento, e diversi contributi su

etica e teoria del diritto del mondo antico; ha collaborato con con numerose riviste italiane e

internazionali.

Cipriano Gentilino


16 risposte a "Ivan Pozzoni, Kolektivne Nseae. Nota di lettura di Cipriano Gentilino"

  1. Praxico, olistico e atopico. Il nuovo tardomodernismo.

    Per l’accurata e ottima disamina della mia silloge ringrazio Cipriano: in un mondo dominato dall’ego-centrismo dare “voce” ad altri artisti della comunità dell’arte è indice di sollecitudine e empatia verso l’altro-nel-mondo.

    Precisazioni teoretiche ai dubbi segnalati, con estrema correttezza, da Cipriano, e discussi con Alfredo Rienzi:

    «Ma il rischio è che il suo stesso discorso, per quanto autocritico, non sfugga alla logica del “conducator”,come egli stesso si definisce, ed è proprio la sua figura di intellettuale carismatico e polemico a riempire lo spazio dell’“io”». Come neutralizzare il rischio? Il Kolektivne NSEAE è uno e trino: silloge/movimento/corrente. Ivan Pozzoni come leader (conducator) del movimento militante hijacking KNSEAE ha esclusivamente un diritto di veto sulle decisioni di un Prezidium (15) rappresentativo delle varie aree geo-politiche riunite in assemblea (3000); Ivan Pozzoni – come artista tardomodernista è tribunuus davanti alla comunità dell’arte-, come ogni altro artista della comunità dell’arte internazionale. Il χάρισμα del leader o dell’artista non è ego-originato: è legittimato – come un tribunus con i concilia plebis– dalla stessa comunità dell’arte. Il conducator non de-cide: educa Prezidium e comunità dell’arte (in maniera reciproca) col suo diritto di veto.

    «Tuttavia, la necessità di ridefinire continuamente i propri concetti (clearity, partecipazione, anti-pòiesis) rischia di lasciare il lettore in un limbo tra utopia e inattuabilità». La magmaticità di movimento e corrente letteraria (allo stato nascente) tenderà, nei secoli, a stabilizzarsi: il KNSEAE – come corrente letteraria tardomodernista- non è utopico (come la lirico/elegia modernista imperante che descrive in termini seduttivi un “luogo che non esiste”) e non è distopico (come certe correnti sperimentaliste non indirizzate alla πρᾶξις che performano in termini negativi un brutto luogo): è a-topico (il tardomodernismo attivo/interventista performa in termini ucronici un non-luogo – no-where baumaniano- che esiste). Il lettore resta saldo in un mondo distopico.

    «In alcuni casi l’ironia diventa cinismo, e la lingua si fa programmaticamente brutale, fino a rasentare il pamphlet sociale. Ciò rafforza la coerenza con la poetica proposta, ma  limita il vissuto di praticabilità e quindi  l’empatia  verso il tentativo coraggioso di pensare una nuova ontologia della esperienza estetica». Il tardomodernismo è concionalitas comiziale, invettiva, neologismo, esaltazione del trash, estrema volgarizzazione del linguaggio ordinario, e, con la sua concezione di arte come «interazione sociale», tenta di introdurre un blocco militante, e militare hijacking, tale da fare cessare ogni aiuto burocratico alla seduttività della «poesia elegiaca» e all’estrema ὕβρις dell’«auto-linguaggio dilettantesco» dell’epigonismo Rubik, in situazione di mercato saturo e di versi, a scadenza sei mesi, destinati all’inceneritore, senza nessuna lettura (vuoto di senso). La soluzione non è una nuova ontologia estetica, vicina alla vecchia ontologia estetica moderna: è una nuova socio/etno/antropologia estetica, engaged, lontana da ogni performatività distopica.

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  2. orbene, qui s’affronta un tema capitale, uno di quelli che più mi stanno a cuore e sul quale da molte decadi invito a riflettere (invano) coloro che amo definire “Poeti” (con la P maiuscola). quindi ho trovato molto interessanti e stimolanti sia la recensione di Cipriano Gentilino che l’opera qui presentata di Ivan Pozzoni.

    alcune notazioni.

    partiamo dalle “definizioni”. ordunque, il disinteresse per l’“esperienza esteticanon è una generica forma di anestesia percettiva o di appannamento dei processi cognitivi associati (percezione, attenzione, memoria, emozione e immaginazione). si tratta piuttosto di un fenomeno socio-filosofico pluri-secolare nel quale, in parallelo al crescere delle quotazioni dell’individuo si osserva un drastico calo delle quotazioni del collettivo e del sociale. in sostanza, il fenomeno osservato è caratterizzato da un ripiegamento del soggetto su se stesso, ovvero dal prevalere dell’egocentrismo estetico e dell’egopatia lirica sulla funzione collettiva e sociale dell’esperienza estetica in senso lato (nonché dell’esperienza artistica nello specifico).

    e fin qui siamo alla “teoretica” di un approccio filosofico puro che, seppur corretto, a mio avviso perde di vista la prassi economica e la reale scala dei tempi del fenomeno.

    mi spiego: è vero che possiamo affibbiare a molteplici figure della storia della filosofia e/o della letteratura un po’ di colpe, ma si resta nell’ambito dell’errore puerile e *colposo* (ovvero involontario, dovuto a negligenza, imprudenza, diverso contesto storico e/o imperizia). il dolo prende corpo altrove.

    i vari Dante e Cartesio, ma soprattutto Kant (il soggetto conoscente al centro della realtà dà senso al mondo), l’idealismo tedesco, Fichte (l’io Assoluto come principio creatore), il Romanticismo (il viaggio dentro sé come unica via verso la verità e il sublime), Novalis e Schlegel (l’artista come Genio creatore divino ispirato solo dal mondo interiore), Nietzsche (il superuomo) e così via, sono soltanto un *mercatino del pensiero usato* dal quale il modello economico dominante attinge per acquistare una qualche legittimazione ontologica (strumentalizzando il pensiero filosofico, l’arte e la storia).

    emblematico in tal senso il travisamento del pensiero der poro nonno Federico, snaturato prima dal nazi-capitalismo e poi dall’ordo-liberismo. consentitemi una breve digressione in proposito perché in giro continuo a imbattermi il letture strumentali, oltre che bieche e indisponenti.

    aperta parentesi: er poro nonno Federico NON è il “profeta” del Superuomo e dell’egocentrismo. manco esiste il “superuomo” nei suoi scritti, la corretta traduzione di “Übermensch” è OLTREuomo, un uomo che si lascia alle spalle ascetismo e metafisica (umanesimo trascendente) per andare verso un umanesimo immanente. altro che nichilismo! la distruzione dei vecchi valori è propedeutica al crearne di nuovi, più concreti e vitali. l’oltreuomo vive e affronta con gioia la vita nella sua totalità (ivi compresi la fatica, il dolore e le inevitabili contraddizioni). in pratica, la “bellezza” è incarnata dalla condizione umana nella sua interezza, per quanto limitata e imperfetta (in evidente antitesi col narcisismo che tipicamente scotomizza le parti scomode di sé e della realtà). ecco… giusto per onestà. chiusa parentesi.

    e ritorniamo a noi e al “doloso travisamento” che devia il corso della storia umana lungo la direttiva individualismo-egocentrismo-egopatia-narcisismo.

    dobbiamo scriverlo in modo chiaro: è il modello economico capitalista, specie nella sua declinazione liberista e consumista, l’assassino che dolosamente uccide la sostanza dell’“esperienza estetica” spianando la strada a egocentrismo e narcisismo. com’è evidente (e come ben ci insegna Bernays), per vendere beni è essenziale creare bisogni e desideri indotti, id est, instillare l’idea che la realizzazione di sé passi attraverso il consumo (il prodotto conferisce significato all’individuo innescando il circolo vizioso narcisista). in parallelo, il (neo)liberismo trasforma l’individuo in imprenditore di se stesso: l’individuo non si realizza in quanto parte di una collettività, bensì come investitore e ottimizzatore di sé (il capitale umano, il capitale emotivo, il capitale sociale….). la società stessa non è più una collettività, ma un libero mercato di individui in competizione dove successo e fallimento sono merito o dolo del singolo individuo.

    è il sistema economico il “dolo” che forgia a sua immagine e somiglianza la società e ogni forma di politica (compresa quella editoriale): von Mises, von Hayek, Friedman, la scuola di Friburgo con Eucken, Buchanan, Becker… è a partire da loro che prende corpo il libero mercato globale del capitalismo finanziario e in parallelo si estingue l’anima socialista della Costituzione. il sistema economico capitalista è un modello culturale e antropologico, capace non solo di imporre individualismo e narcisismo come stelle polari, ma anche di colonizzare l’immaginario sociale (come denunciato ad esempio da Chomsky e Bauman).

    non dimentichiamo la lezione di Pasolini (che già aveva compreso benissimo ciò che stava accadendo) perché se è vero (com’è vero) che, superato il ‘68, la corsa verso il nichilismo sociale si è fatta forsennata (sublimata dalle TV commerciali, dai bestseller e poi dai social network), già nelle decadi antecedenti si procedeva di buon passo in questa direzione.

    ecco le “armi di distruzione di massa” usate dal capitalismo per sterminare il pensiero sociale e socialista: il consumismo, la tecnologia, i diritti cosmetici, l’ingegneria genetica che ha dato vita alle sinistre liberiste, la finanziarizzazione dell’economia, la santissima triade efficienza/produttività/velocità, la riduzione del lavoro a prodotto economico e del lavoratore a merce…)

    ed ecco perché m’incuzzo (refuso voluto per evitare il blocco il commento) quando si affibbia il dolo – ossignur – al fatto che la produzione letteraria è stata “invasa da opere autoprodotte o da editori minori senza distribuzione” e che “tale condizione economica ha saturato il mercato e smarrito i criteri di qualità”.

    ehm… abbiamo proprio capito tutto….

    ma possibile che non salti all’occhio che il problema è il libero mercato del capitale nell’umano e nell’arte? “fuori i mercanti dal tempio”, tuonava qualcuno, e aveva in gran parte ragione.

    se la pubblicazione di un libro (o di qualsiasi opera artistica) è finalizzata alla sua commercializzazione, id est, se il suo valore *è* quanto vende, in cosa differisce da una maglietta trendy o da un dentifricio?

    ripetete con me (ché ha ragione Chomsly e ci hanno fatto il lavaggio del cervello): il valore intrinseco dell’essere umano non è economico-finanziario, il valore intrinseco del pensiero umano non è economico-finanziario, il valore intrinseco dell’arte non è economico-finanziario, il valore intrinseco del bene comune e della società umana non è economico-finanziario.

    quindi? quindi la noxa patogena non è certo l’invasione di opere auto-prodotte o la risibile distribuzione degli editori minori e non è certo dovuta né all’accademia (che si è “rifugiata nella storiografia”) né all’assenza di intellettuali del calibro di Pasolini (non me ne voglia Pozzoni), fatto che è semmai un sintomo della malattia, non la causa. peraltro, en passant, “diagnosi” e “anamnesi” sono tutt’altro che sinonimi quindi è errato scrivere “individua una diagnosi (anamnesi)”.

    tirando le somme, per portare avanti una “lettura radicale dell’attuale crisi della letteratura” è necessario partire dal modello economico e chi non lo comprende sta abbaiando alla luna. potremo (giustamente) rifiutare “sia la centralità dell’autore che la sacralità della poesia ed infine l’isolamento dell’opera d’arte dalla vita sociale” ma affinché il nostro ritorno alla realtà sociale non sia l’ennesimo gioco letterario, si deve per forza passare attraverso l’umanesimo di un’azione politica ed economica che esiga l’applicazione della Costituzione e la risurrezione della scuola (intesa come pubblica istruzione), gettando nella polvere il feticcio del dio Mercato imposto dal capitalismo liberista finanziario.

    solo allora la “critica spietata all’“io lirico” narcisistico” potrà ottenere qualche risultato perché, avendo tagliato le radici della pianta, il frutto avvelenato finirà per seccarsi insieme alla piantagione del Grande Capitale Globale.

    per chiarezza, in massima sincerità, resto molto molto molto molto molto molto molto molto molto molto molto molto molto molto molto molto molto molto molto molto molto (ho reso l’idea?) pessimista in proposito. ma non per questo l’oltreuomo der nonno Federico si scoraggia, eh…

    : ))

    un’ultima notazione: a volte l’ironia diventa cinismo negli occhi di chi la guarda (è successo ad alcuni miei scritti). mi domando dunque se ciò possa valere anche per l’opera di Pozzoni, cosa che m’induce all’acquisto (anche perché le liriche qui “liberate” sono meritevoli).

    peraltro, ulteriore vulnus, difficilmente si può combattere la battaglia di cui sopra *vendendo* i propri i pensieri (ma non apro questo fronte, altrettanto vitale e contro-verso). in ogni caso rifacendomi alla saggezza contadina di mio nonno, il quale amava dire “piuttosto che niente, meglio piuttosto”, lunga vita al cantore combattente che fa della poesia uno strumento di lotta e un dispositivo etico più che estetico!

    ; ))

    un grazie di cuore a Cipriano Gentilino per aver evocato e dato corpo ai miei istintivi e insignificanti deliri, oltre che per avermi convinto ad acquistare il tomo.

    e grazie a Ivan Pozzoni per averci offerto una boccata d’aria nel tanfo nauseabondo di “rifrittura” che satura la kitchen poetry.

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    1. Caro Malos Mannaja,

      (tra l’altro l’autorevole critico letterario G.P.T. Wood scrive: «Autori contemporanei, specie nell’ambito di poesia sperimentale o testi performativi (come Pozzoni e altri legati a scritture ibride), mescolano idiomi diversi. “Malos mannaja” potrebbe allora essere un riot-textismo: un’invocazione violenta, un grido che unisce la crudezza mediterranea/ispanica a un immaginario di condanna»).

      Ti ringrazio delle osservazioni edificanti e di avermi considerato come un surplus an-anacronistico della NOE.

      Giochiamo alle definizioni:

      1. Per me è scontato che il 99,99% degli esseri umani che ha calcato, senza un minimo di autocoscienza, la storia umana sia vittima di «anestesia percettiva o di appannamento dei processi cognitivi associati»: non scrivo orientandomi ad un lettore medio, non in grado di comprendere o di realizzare una weltanschauung complessa. Chiaramente, nel XX/XXI il disinteresse del lettore verso l’«opera d’arte» e il disinteresse tragico dei medesimi “addetti ai lavori” – come sto dimostrando scientificamente con una monumentale operazione di sociologia dell’arte- è frutto di ciò che il mio maestro Bauman definiva «pozbawienie», cioè privatizzazione/de-privazione del pubblico nel privato (egopatia ipertrofica dell’artista).
      2. Nella mia disamina, non mi soffermo molto su due dati eziologici assodati del disinteresse del lettore: a. filologico (Bruno Gentili, 1985) e b. economia aziendale [con la citazione dei reports ministeriali sulla saturazione del mercato editoriale (18.000 sillogi/anno), delle copie vendute (1 copia/mese, con scadenza sei mesi in direzione macero), dei budget di micro, macro e necroeditori]. Io affronto la dimensione socio/etno/antropologica e filosofico/letteraria, lasciando lo studio della mera dimensione letteraria ai mestieranti della cultura [Be(l)ardinelli]. Non mi occupo di economia politica e politica economica, credendo che tra “struttura” e “sovrastruttura” esista, dall’inizio della storia, una relazione feedback. Fondamenti teoretici consolidati e struttura economica della società si influenzano reciprocamente, insieme ad altre decine di fattori: capitalismo e consumismo si abbracciano in una stretta mortale (senza che il capitalismo crei il consumismo); neo-capitalismo nomade e neo-consumismo si abbracciano in una stretta mortale (senza che il neo-capitalismo nomade crei il neo-consumismo). Cos’è il «capitalismo»? Le teorie, analitiche, maggiormente avanzate, discutono di “varieties of capitalism”: «The varieties of capitalism framework, which brings firms back into the center of the analysis of comparative capitalism» (Varieties of Capitalism: The Institutional Foundations of Comparative Advantage, (ed.) Hall e Soskice, OUP, 2011, 4). Quindi, secondo la tua obiezione, l’egopatia dell’artista deriverebbe dall’abbraccio mortale tra neo-capitalismo nomade e neo-consumismo, con la strategia della recidiva reiterazione della insoddisfazione del desiderio (cioè il nuovo capitalismo USA), senza verificarsi nei neo-capitalismi “renano”, “mediterraneo”, “statalista”. Nelle nazioni nord-europee, con attenzione al welfare, nelle nazioni “terrone”, PIGS, d’Europa a dimensione cooptativa, nelle nazioni BRICS stataliste a direzione centralizzata, nelle nazioni ibride, il neo-consumismo, e solamente il neo-consumismo, ha fatto esplodere dolosamente, nel XX/XXI, l’ego-mania letteraria, che, coi capitalismi mercantilistici, industriali e bancari, fu esclusivamente un fenomeno colposo. Il neo-consumismo è struttura socio/etno/antropologica: l’ontologia estetica moderna è seduttiva – come sostiene Linguaglossa- orientata alla creazione di uno stato terroristico di costante insoddisfazione del desiderio (business marketing) è frutto dell’incontro del neo-consumismo con tutti i neo-capitalismi. L’Africa colonizzata – come sostiene Appiah- non avendo sviluppato una “varietà di capitalismo” originario, soffre meno l’ego-patia dell’artista contemporaneo. Bauman (con cui ho studiato) e Chomsky (con cui ho corrisposto fino a 10 mesi fa) sottolineano, rifiutando ogni visione marxista, marxiana o lacaniana, la centralità del neo-consumismo (che non si identifica con il neo-capitalismo). Quindi non trovo dolo ego-maniaco nella storia comparata dei sistemi economici; lo trovo nella storia comparata dei sistemi di idee.
      3. Giuro che nella mia disamina di politologia dell’arte non ho mai usato i vocaboli «Pasolini» e «diagnosi».
      4. Per l’interpretazione di Nietzsche, con tutta la buona volontà, non riuscirei a inserire Nietzsche nella linea communitarian dell’analisi dell’ἐγώ (non dimentichiamo di distinguere tra ipertrofia dell’io e io autobiografico, o rischiamo di fare la figuraccia di Ridolfi e Villatico). Prima di tutto, Nietzsche, nel suo umanesimo immanente “che abbraccia lo spirito dionisiaco” rimane figlio di Stirner (convegno 1983); in seconda battuta, Peirce sostituisce la πρᾶξις dell’ἐγώ nietzscheiana con la πρᾶξις della communitas degli studiosi. Sono due modi molto diversi di oltrepassare la metafisica: da pragmatista analitico apprezzo il tentativo del secondo, che àncora la «verità» ad un minimo di consolidamento sociale (communitarian).

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  3. carissimo Ivan, intanto me se riempe er core de gioja appensà ch’ancora se po’ provà a comunicà quarcosa su ‘sto blogghe! peraltro, uno dei miei nanoforismi preferiti è “l’incomunicabiltà muove il mondo” e forse per questo a qualche tua parola scritta in *greco* (che ignoro, essendo un gorilla nano della media valle del Tevere) me pija l’istinto d’arisponne in controcanto cor dialetto (core in mano).

    ; ))

    Pasolini” – affermi al punto 3 – non è un vocabolo che abita il tuo libro e io ti credo, sulla fiducia (dacché il bel tomo verrà recapitato dal corriere il giorno 16), ma un po’ mi dolgo dell’assenza sua nell’ambito d’una “disamina di politologia dell’arte”.

    passo subito ad alcune considerazioni generali sulla *rappresentazione der monno*: scrivi che, a tuo avviso, solo lo 0.01% degli esseri umani è capace di ragionamenti complessi, id est neanche il famoso 1 su 1000 (per dirla con Giannetto)… qui siamo addirittura a 1 su 10.000 !!

    un problema non da poco per la democrazia, un convincimento che sobilla pulsioni elitarie…

    te dirò, io lavoro in paese, a contatto diretto co’ la ggente, e nel mio piccolo (essendo nano) trovo che almeno il 51% degli esseri umani possieda sorprendenti intelligenze personali e sia capace di ragionamenti complessi.

    eh, la *complessità*, questo chimerico assoluto…

    in proposito, giusto per scriverti una cosa che mi fa riflettere, “a volte la complessità maggiore sta proprio nel riuscire a scrivere e comunicare in modo semplice” (che è un altro dei miei nanoforismi preferiti, nonché una sfida emozionante).

    onde per cui, alla frase “non scrivo orientandomi ad un lettore medio” il mio cuore di pasolinano sanguina con una lama di tre dita nel costato (per dirla con Jannacci).

    più oltre scrivi “non mi occupo di economia politica e politica economica”, citando struttura e sovrastruttura (ovvero er bisnonno Carlo nel lontano 1859, che anch’io ricordo sempre con piacere), nonché il “feedback”, un effetto da chitarra elettrica (‘na robba che m’attizza, pe’ ché so’ ‘n vecchio sonatore). quindi su quest’aspetto mi soffermo.

    ordunque già in Marx (e Engels) la struttura tende a prevalere sulla sovrastruttura (l’economia fissa i limiti entro cui la sovrastruttura si sviluppa), anche se resta agibile un ampio margine di azione e mediazione (il suddetto effetto di chitarra). per capirci, è vero che la sovrastruttura è costretta a recitare un copione, ma gli attori possono ancora “metterci del loro” fruendo d’una certa libertà di interpretazione. Gramsci, tanto per citare uno sulle cui ceneri “pregava” Pasolini, sviluppa il concetto di feedback in parallelo a quello di *egemonia*: la classe dominante impone il suo potere non tanto con la forza, quanto col con/senso comune universale, ottenuto grazie al controllo della sovrastruttura (scuola, media, chiesa, cultura…). e oggi? la sovrastruttura è ancora un “campo di battaglia”? cosa cambia da Gramsci in poi? il fatto che il capitalismo (su cui torno più avanti) sia mutato da industriale locale a finanziario globale come amplifica il *disequilibrio* dialettico tra struttura e sovrastruttura (fino a cancellarlo)? alcuni spunti. l’uomo a una dimensione di Marcuse incarna l’impotenza critica della sovrastruttura nella società industriale avanzata degli anni sessanta. tecnologismo e consumismo trascendono dalla struttura diventando essi stessi ideologia e pensiero unidimensionale privo di alternative concepibili. qualsiasi tentativo di rivolta viene *assorbito* dal blob della struttura e *mercificato*. il feedback si annulla: anche il dissenso ha un suo mercato (a meno che non scelga il copyleft)!! sulla stessa lunghezza d’onda trovi anche Bourdieu che dimostra come il campo economico abbia colonizzato e sottomesso con le sue logiche di mercato tutti gli altri campi (artistico, filosofico, scientifico…) della società umana. già trent’anni fa, quando ancora facevo ricerca, ricevevi fondi (quindi potevi fare ricerca) solo in base al ritorno economico previsto. ma il discorso è generale: un libro vale se è un bestseller, un’opera d’arte vale se ha un buon prezzo di mercato, gli studi filosofici o speculativi puntano a management, efficienza e produttività

    se tu *vendi* il tuo libro, quali valori alternativi a quelli del mercato puoi proporre?

    il realismo capitalista impera (pensa anche alla lucida analisi Fisher, e prima di Jameson e Zizek) e siamo arrivati ben oltre l’ideologia totalizzante: la struttura è diventata uno sfondo invisibile che plasma qualsiasi pensiero, tanto che avvera in dogma l’adagio che è più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo…

    ordunque, esiste ancora un equilibrio dinamico (il feedback) tra struttura e sovrastruttura (arte, cinema, letteratura, religione, filosofia) se quest’ultima non è più in grado neanche di proporre un’ipotesi di futuro diverso? un vulnus contro cui si era già schiantato Pasolini (costretto a “nostalgizzare” il passato) e che ci lascia come unico spiraglio di manovra quello di “distopizzare” il presente.

    dulcis in fundo, l’amarissima analisi ultra-orwelliana di Han: il concetto foucaultiano di disciplina è superato, la struttura utilizza come gabbia *la libertà stessa dell’individuo* (siamo imprenditori di noi stessi e dobbiamo “performare”, “ottimizzare” e “profittare” per sentirci realizzati). una stringente auto-coercizione priva di mediazione (la sovrastruttura coincide con la struttura). si fatica pertanto anche a scovare un linguaggio alternativo, dacché il linguaggio stesso con cui architettiamo il nostro pensare è pieno di metafore marketingheggianti (se non addirittura marketinneggianti).

    sono noioso? po’ esse, che ‘n po’ esse? po’ esse ssì, po’ esse…

    di certo son prolisso, ma la sintesi è sintetica (e preferisco i prodotti naturali, scritti seguendo il flusso spesso turbolento dei pensieri).

    : )

    cheddire ancora? ah, sì, i nei li lascerei sulla pelle (dove almeno, unendo i punti, possiam giocare al cosa apparirà), perché assai spesso e volentieri i neo-capitalismi, i neo-liberismi e/o i neo-consumismi sono artifizi messi in atto dal vecchio quando vuol riverniciarsi a nuovo… e lo stesso dicasi pei Linguaglossi che (in ossequio alla kitchen poetry) ricicciano a polpetta riflessioni sull’ontologia estetica moderna cucinate ben prima da Barnays in salsa suffragetta nonché dalla triade scolastica di Francoforte (Adorno, Marcuse, Horkheimer) e financo da papàSolini!

    e qui mi ricollego al discorso sul “capitalismo” plurale (che invece a me pare in sostanza sempre lo stesso). cosa caratterizza il sistema socio-economico capitalista? una triade, essenzialmente: proprietà privata dei mezzi di produzione, ricerca del profitto e accumulo del capitale come imperativo sistemico, riduzione di qualsiasi cosa (compreso il lavoratore e l’essere umano in senso lato) a merce il cui prezzo-valore è determinato principalmente dall’incontro tra domanda e offerta.

    potrai adoperarti in operazioni cosmetiche, ma il sistema socio-economico resta quello. potrai limitare e gestire (eh, buona fortuna, se ci riesci! tanto per fare un esempio, il patrimonio di BlackRock è di oltre 10.000 miliardi di dollari, ovvero il quadruplo del PIL dello stato italiano e questo la dice lunga sul perché la Costituzione è ormai estesamente disapplicata)… potrai limitare e gestire, dicevo, ma giammai ottenere differenze sostanziali nel sistema socio-economico capitalista (non far dire alle mie precedenti parole cose che non dicono: dove  leggi che ciò non si verificherebbe nei neo-capitalismi “renano”, “mediterraneo”, “statalista”???). nella migliore delle ipotesi, si verifica sfumatamente di meno…

    : ((

    i distinguo portati avanti da teorie analitiche che sostengono l’esistenza di “varieties of capitalism” sono narrazioni *funzionali* allo sdoganamento del sistema socio-economico capitalista: servono a rafforzare l’allucinazione che esso possa essere o diventare qualcosa diverso da sé. l’unica cosa “maggiormente avanzata” in tali teorie è il gioco di prestigio illusionista.

    mio nonno (che lavorò per qualche tempo nel dopoguerra in un canile) una volta mi disse molto accigliato, indicandomi la foto di un cane in giacca e cravatta su un settimanale (mi fare fosse Epoca): “per quante razze di cani diverse ci sono al mondo, prova a dimostrarmi che questo non sia un cane! se qualcuno cerca di farlo, ti sta fregando!

    ecco… “razze” o “varianti” non sono sistemi alternativi, sempre triade capitalista sono. le varianti liberista anglosassone, corporativista nordica, statalista-clientelare italiana o autoritaria cinese non scalfiscono il modello di base che è sempre lo stesso, in ogni luogo e in qualsiasi epoca storica. se tu affermi che il dolo nell’esplosione dell’eco-mania letteraria sta “solamente” nel consumismo (con un neo sul naso), temo fortemente che tu finisca per fare il gioco del sistema socio-economico del capitale.

    permettimi poi una considerazione sul tuo rapporto epistolare con Chomsky. l’altro giorno, mentre sorbivo con lui una cedrata al Bar della Stazione di Rovigo m’ha confidato che l’attribuirgli affermazioni secondo cui, in pratica, il neo-consumismo è il fulcro centrale e il neo-capitalismo è evento marginale non è corretto (anzi s’è pure un po’ incuzzato e ha bofonchiato, aggrottando come fa spesso il sopracciglio destro, che chiunque sposti la sua critica dal capitalismo ad altro non ha capito o travisa il suo pensiero). di più, mi ha confermato che anche lui tenderebbe a lasciare i nei sulla pelle: termini come “neo-liberismo” “neo-capitalismo” o “capitalismo avanzato” li ritiene camuffamenti della “solita vecchia bestia” (come ama chiamarlo), ovvero il grande capitale privato intento a massimizzare profitto e controllo. mi ha confidato peraltro che non rifiuta in toto, come tu sostieni la visione marxista, anzi afferma di ammirare buona parte dell’analisi critica di Marx sul capitalismo, in particolare la sua analisi sulle dinamiche dello sfruttamento, dell’alienazione del lavoro e della concentrazione del potere nelle mani del capitale. semplicemente, Chomsky, da americano sensibile alla tradizione socialista libertaria e anarchica (Bakunin, Rocker, etc) mi ha confessato di condividere la critica al capitalismo, ma di rifiutare “dittatura del proletariato” e centralismo statale. vieppiù, di seguito ha pure aggiunto che il capitalismo è lo spacciatore, e il consumismo è la droga, l’oppio dei popoli.

    in conclusione, ribadisco, è estremamente difficile, ma possiamo provare ad ammanettare lo spacciatore. viceversa mi appare tecnicamente surreale (e strutturalmente innocua) l’idea di poter ammanettare la droga.

    e qui mi fermo (per ora), perché domattina alle 6:00 mi suona la sveglia.

    tornerò appena posso anche sul punto 4 (che Nietzsche merita più onestà intellettuale e non capisco dove nelle mie parole tu abbia letto che lo falserei in “communitarian”).

    da ultimo ancora grazie di cuore per avere scelto la difficile ma ricchissima strada di un  prezioso scambio di idee in un mondo che viaggia al ritmo di sterili e stitici “like”.

    doveroso quindi un abbraccio “fratello”, perché comunque è bene non dimenticare mai che, sebbene stiamo sparando su obiettivi (forse) diversi, stiamo combattendo insieme, dalla stessa parte parte del fronte…

    : ))

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  4. ariécchime… riprendo il discorso su zio Federico, il cui pensiero è purtroppo tra i più violentati della storia.

    da giovine, alla tenera età di 17 anni, durante una seduta spiritica con Deluze e Montinari in cui evocammo lo spirito di Kaufmann, maturai la convinzione che in pochi mesi dovevo leggere l’opera omnia del suddetto zio. fu un’esperienza formativa, tanto che quarant’anni dopo ne serbo ancora un vivido ricordo…

    ordunque, come rimarcavo nel precedente commento, le mie parole non intendono certo collocare zio Federico tra i “communitarian” (ricalcaldo i violentatori dal versante opposto), bensì s’oppongono con forza al palese travisamento del suo pensiero che lo vorrebbe “padre spirituale” del Superuomo, dell’egocentrismo e del narcisismo. tu citi giustamente Stirner (il convegno del 1983) e la distinzione tra io ipertrofico e autobiografico, ma il mio dire verteva sulla disonestà intellettuale che fabbrica gabbie interpretative di comodo (riduzioniste se non francamente manipolatorie). il pensiero filosofico di Nietzsche si spinge ben oltre quello stirneriano, allontanandosi in modo radicale dal banale individualismo. l’Ubermensch non è l’Unico stirneriano (una forma di egoismo radicale che possiede sé stesso), bensì è colui che supera sé stesso e crea nuovi valori (è un io proteso verso un’universalità futura e non ha nulla a che fare con un individualismo “autistico”). tant’è vero che nella nascita della tragedia lo “spirito dionisiaco” è inteso come dissoluzione estatica dell’io nella totalità della vita (ergo, siamo ben lontani dall’esaltazione dell’io individuale e dell’ipertrofia dell’io).

    dove stia la verità dipende molto da quanta verità può sopportare un uomo

    ; )

    e in effetti, per zio Federico, la verità è una “prova di forza”, una menzogna inverata dal suo essere utile. a Nietzsche non interessa venire a patti col consenso, non cerca una convergenza comunitaria (come Stirner), ma il suo intento è comunque trasformativo a montepropedeutico, incarna l’atto delle trasformazione che crea valori oltre la verità).

    eh, nessun fiume arriva a valle senza aver corso prima a monte

    e mentre scorre a monte, zio Federico non è un communitarian (non è ancora sceso a valle) , tantomeno, un io egotista. rifiuta (ovviamente) la ”morale del gregge”, ma si rivolge ai “fratelli” scongiurandoli di rimanere “fedeli alla terra e non prestate fede a coloro che vi parlano di speranze ultraterrene“.

    giudicare Nietzsche secondo i parametri del “pragmatismo analitico” è come misurare in centimetri il peso di un macigno… zio Federico non ci tiene ad essere un communitarian, ma è certamente un filosofo del “comunicare” e del “comunitario” in un senso molto peculiare (vedasi lo Zarathustra): è la solitudine dell’aquila il cui pensiero, animato dal desiderio di donare e di insegnare, scende in picchiata verso gli altri. è il paradosso ricco di sfumature che afferma “fratelli miei, non vi consiglio l’amore del prossimo: io vi consiglio l’amore del più lontano

    : ))

    in zio Federico esiste una comunità futura e immaginata (non immaginaria) alla quale si rivolge l’oltreuomo e chi afferma il contrario ha letto zio Federico per *intermediazione*. il “prossimo” (der Nachste) è la società del presente (il “gregge”), mentre i “fratelli”  (Bruder/Gefahrten) sono la comunità del domani cui Nietzsche offre il suo dono fatto di condivisione creativa e di volontà affermativa.

    il singolo non si liquefà nella comunità, bensì i singoli si affratellano nella comunità in ossequio a un ideale superiore. vedi come è problematico il pensiero di zio Federico? ecco perché mi spiace vederlo banalizzato.

    ed ecco la svolta sorprendente (!!!) di questa nostra stimolante discussione: io difendo zio Federico per onestà intellettuale, ma non sono *nicciano*.

    e tu? sicuro di non essere nicciano nell’animo, contrariamente a quanto scrivi?

    se il 99,99% degli esseri umani è un gregge di caproni, sicuro che il tuo “tornare agli uomini” incarni davvero lo spirito orizzontale peirceiano e non sia invece l’atto eroico (forse destinato al fallimento) di un donare verticale che parte da una posizione di radicale superiorità? non temi che il Kolektivne NSEAE ricalchi la formazione di “una nuova aristocrazia”?

    e sia chiaro che lo dico umilmente, da cultore del minimo dubbio (essendo nano) nonché da esperto navigatore delle lusinghe autoerotiche che possono derivare dall’essere un conducator (essend’onano)

    : )))

    rinnovo l’abbraccio, fratello, e ti ringrazio per il prezioso scambio di idee e per i preziosi spunti di riflessione.

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  5. Carissimo MM,

    risponderti, con la mia tendenza a non semplificare, mi costerebbe ore di lavoro. Preciso, in breve:

    1. Pasolini, essendo di un’altra era storica (il moderno), non rientra nei ranghi della politologia dell’arte tardomoderna. Semplicemente non mi ci trovo. Io sono, e resto, un fan di Giovannino Guareschi, che demolì, con umorismo e ironia, il Pasolini de La Rabbia. Con il forte richiamo alla comunità (caduta col tardomoderno filosofico e sociologico baumaniano), e di una tradizione neutralizzata da umorismo/ironia. Guareschi è il maggiore scrittore del Novecento italiano e, in dipartimento e sulla Rivista di studi italiani, lo dimostro con la solita acribia.
    2. Farei anche 1 su 100.000.000.
    3. La democrazia non esiste. Le democrazie liberali sono o oligarchie o oclocrazie (la nostra Costituzione, con una serie di articoli sciagurati, es. divieto di mandato imperativo o divieto di referendum propositivo diretto, ingabbia ogni forma di rimodulazione del sistema). La stessa cosa accade con sistema dei veti nel CS ONU. Ci sono norme giuridiche che mettono sotto scacco ogni opportunità di cambiamento.
    4. Non desideriamo, con l’arte “rappresentare il mondo” (visione anacronistica, come segnalato da Auerbach). Desideriamo “interpretare azioni e fatti”, con interpretazioni autentiche, soggettive o s-oggettive. Praxis ed empirismo.
    5. Per me i discorsi di Marx, Gramsci e Marcuse sono anacronistici: mi interessano sotto forma di storiografia filosofica e, come in Heidegger, nel 90% dei casi i loro nuclei teoretici sono metafisica.
    6. La rivoluzione è infattibile (cfr. la metafora della sfera di Lombardi Vallauri nel suo Manuale di filosofia del diritto). La rivolta è fattibile: buchi la sfera, butti in aria la scacchiera. La struttura struttura il non-pensiero dei 1000.000.000/1. Poi abbiamo Bauman, Beck, Sennett, Lipovetsky, Zizek, Appiah, Gallino, Popper, Khun, Lakatos […]: la struttura non li struttura, de-strutturano ogni struttura. Prendo esempio dalla storiografia filosofica: un Althusser con maggior coraggio, in grado di riconoscere che non esistono due categorie dinamiche (feedback), esistono decine di fattori, lontanissimi, che organizzano il mondo, con incrementi/decrementi di livello a seconda dell’area storica e geo-politica (forse un Morin o un Maturana meno anti-previsionisti). Per comodità ho citato il modello base struttura/sovrastruttura: non credo affatto alla cogenza teoretica dei due termini nel XXI: ricadiamo, necessariamente, nella misurazione sociologica di indici e livelli. [Penso ci vorrebbe uno studio di 400 pagine che non è, è stato, sarà mai mio interesse intraprendere].
    7. No: <un libro vale se è un bestseller, un’opera d’arte vale se ha un buon prezzo di mercato, gli studi filosofici o speculativi puntano a management, efficienza e produttività…> nella testa dei famosi 100.000.000/1. Per me Faletti, con i suoi milioni di copie, vale un milione di volte meno di Hare o Olivecrona. Per me un’opera d’arte valutata 2.000.000€ (non è un’opera d’arte) ha meno valore di un water Pozzi Ginori: la decisione sull’esistenza di un’opera d’arte spetta alla communitas di accademici e artisti (con una convergenza consolidata). Per me – che ho sempre insegnato aggratis– lo studio non subisce influssi economici. Per i mestieri (Tribunale, studio di consulenza legale, CEO di multinazionali) – come mestieri- vale la regola aurea dell’obbedienza al finanziatore. Per me.
    8. La differenza tra il capitalismo Fiat e il neo-capitalismo nomade baumaniano non è indifferente (lasciamo correre le cavolate di Fusaro sul turbo-capitalismo). Esistono anche nei tumorali. Guarda il neo-fascismo (fascio in fasce): non è fascismo.
    9. Penso che le teorie analitiche che sostengano l’esistenza di “varieties of capitalism” siano indispensabili a smascherare la metafisica dell’economia. Perché – come detto- un sistema complesso deve essere definito da micro-narrazioni (Lyotard), fondate sul calcolo statistico di indici e sull’analisi sociologica di livelli.
    10. Noi non dobbiamo combattere il capitalismo, che imploderà, improvvisamente, com’è crollato il feudalesimo. Dobbiamo combattere il consumismo (meccanismo di creazione del desiderio, con appagamento finanziario del desiderio), e, in senso stretto, il neo-consumismo (meccanismo di reiterata causazione di insoddisfazione dei desideri orientata a sostituire, in maniera progressivamente celere, l’appagamento con un costante inappagamento, causa di ansia e depressione). Tra il no-neo e il neo c’è una bella differenza. Bukowski e Fante, lontanissimi dal beat americano, tentarono di sconfiggere il consumismo, base dell’american dream. Noi ci scontriamo con un consumismo nuovo, con meccanismi diversi, messi bene in luce dalle analisi sociologiche di Sennett e Gallino (flexibility e finanziarizzazione dell’esistenza). Direi che i nei hanno bisogno di uno screening approfondito. Il cane con la cravatta è un cane: è un cane in grado di fare il CEO di Facebook.
    11. Chomsky, con cui corrispondo da una decina d’anni, essendo (stato) estimatore di Bauman, sostiene che il fulcro del capitalismo (neo-liberismo, o, raramente, neo-capitalismo) sia il consumismo (o neo-consumismo, basato sulla nozione di junk. Questa frase, che mi mandò, divenne centro di un forte dibattito (<Capitalism basically wants people to be interchangeable cogs … who will purchase all of the junk that’s produced—that’s their ultimate function>). L’ultimo Chomsky cade nel discorso della flexibility, rifiutando in toto il marxismo, e, come fece il mio maestro Bauman, arrivò a modificare il concetto stesso di anarchismo (messo al servizio dello Stato assediato dalle multinazionali). Poi se a te ha raccontato cose che scriveva dieci anni fa, ciò dimostra la sua caduta progressiva nel deficit cognitivo.
    12. Per Nietzsche ci sarebbe da scrivere un trattato. Qualsiasi studioso serio colloca, nel XXI, il concetto di Übermensch nietzcheiano fuori da ogni tentazione nazista o neo-nazista (mi preoccupa solamente Fusaro). Qualsiasi studioso del mondo antico sa che Nietzsche nasce come filologo ed è orientato a interpretare il dionisiaco in senso antico. Io colloco Stirner e Nietzsche fuori dai communitarians (empiristi, pragmatisti, analitici): Stirner è un anarchico individualista e Nietzsche è un umanista esistenzialista. Dove sta il senso di communitas? Entrambi cercano nuove soluzioni senza misconoscere il soggetto cartesiano. Nietzsche, nello Zarathustra/Dioniso scrive: <Ich beschwöre euch, meine Brüder, bleibt der Erde getreu und glaubt nicht denen, die euch von jenseitigen Hoffnungen erzählen! Gifter sind sie, ob sie’s wissen oder nicht, Lebensverächter, sie selbst verfallen und vergiftet, deren die Erde überdrüssig ist…>. Si riferisce a individui, compagni in Zarathustra/Dioniso: si tratta di spiriti liberi individuali, autenticamente terreni, che evitano illusioni metafisiche, consolazioni celesti o morali salvifiche. Io non mi sento nietzcheiano. Mi sento vicino a Peirce e alla <verità> come consensum omnium bonorum, consenso della comunità degli studiosi. La metafisica non è evitata attraverso una azione individuale; è neutralizzata dalla praxis come <interazione sociale> (Mead, col suo comportamentismo, deve molto a Peirce). Non mi risulta che Peirce, e i pragmatisti, abbiano mai definito la loro idea di communitas come comunità di ogni essere umano: il pragmatismo è aristocratico.
    13. Io sono barbaro celta, non Onan il barbaro. La figura del conducator, nel Kolektivne, non ha diritto di decisione – come spiegavo- cosa che spetta al Prezidium su mozione dell’assemblea. Il conducator ha diritto di veto argomentato sulle decisioni del Prezidium che, essendo formato da individui di varie aree, tende a voler risolvere i conflitti artistici, hijacking, con coltello o AK-47 (membri albanesi, serbi, bulgari, rumeni, russi, bielorussi, nordcoreani, cinesi).
    14. Per la <vendita> dei miei 151 volumi, in 850.000 copie, i soldi li ha incassati l’editore (di norma su modello socialista/anarchico autogestito). Io non tiro fuori mezzo €; non pretendo mezzo €. I bonus vanno a sostenere/finanziare una decina di riviste letterarie africane a rischio fallimento causa dissesto economico della nazione (Congo, Camerun, Nigeria, Sudan, Ghana, Senegal, Mozambico, Kenya, Burundi/Ruanda, Libia).

    Grazie del dialogo fraterno e serrato. Sono le 03.00 e alle 07.00 dovrò essere in Tribunale. Mannaja!

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  6. ossignur “MM” sembra un Mieloma Multiplo (o un Melanoma Metastatico)… piuttosto allora, se ti è possibile ti prego d’appellarmi fuffi o ‘sdrubale o addirittura coso

    : )))

    visto che il tempo è tiranno, temo che sarò costretto a suddividere il mio dire sproloquiante in più puntate… ohi, stamo a mette ‘na gran cifra de parole, pardon, de carne ar foco, ma strapazzasse de pensieri è accussì bello che mme ce tuffo a pesce fritto!

    ordunque, liquido brevemente:

    il punto 2: aaargh!! di male in peggio!!!
    il punto 3: “democrazia” è una parola astratta, ovvio che non esista, come pure non esistono la libertà, la fede, la giustizia, l’assoluto, la verità e via a andare… pensa che non esiste neanche la bellezza! ma non per questo mi sposo Fredegonda… eppoi, pensavo, se non ti piacciano i veti, perché ne fai uso nel Kolektivne NSEAE?
    i punti 4 e 5: “anacronistico” è un aggettivo che usi spesso in tono dispregiativo. ti dirò, invece, che il mio sentire in genere s’orienta in senso opposto, onde per cui di seguito decanto un’ode a voi, splendenti anacronismi, spiaggiati relitti di un evo obsoleto, figure tragicomiche e magnifiche che il coro ipocrita del nuovo-che-avanza dileggia qual mummie da museo. ebbene sì, sia l’ode a voi che error non siete ma obliata r’esistenza. agli occhi loro, il vostro vizio o pena capitale, è il rimembrare, nell’epoca che venera l’istante, il tweet, la storia che s’oblia morendo in ventiquattro ore… ma vi rendete conto? siete mere memorie incrostate, pulverulenta lentezza invenduta in un mondo fast-food, eterni oggetti ingombranti nella realtà usa-e-getta, miseri artigiani irrisi da nuovi e potenti algoritmi… ma ecco spiazzante il sofisma finale, la vostra sublime vendetta: sovente, vi rivelate più profetici dei profeti del nuovo! onore a voi, dunque, oh anacronismi: siete i veri crononauti, gli argonauti custodi del tempo dell’uomo che remano controcorrente, che battono il ritmo contro-tempo perché ciò che davvero è prezioso non ha la data di scadenza imposta dal mercato...

    : ))

    per contro, il punto 1, merita a mio avviso ben più lunga riflessione.

    premetto innanzitutto che mi spiace che con papàSolini “non ti ci trovi”. nulla da eccepire sulle capacità satiriche di Guareschi, ma l’affermazione “Guareschi demolì Pasolini” è ampiamente discutibile. come pure sono ampiamente soggettive e discutibili le graduatorie del tipo “questa settimana, a superclassifica sciòòò, al primo postooooòòò…. Guaaaareschiiii!”.

    : ))

    proviamo a fermarci un attimo e a riflettere sul fatto specifico.
    Pasolini assembla “La Rabbia” (un film sperimentale di montaggio che taglia e cuce quasi 100.000 metri di pellicole di cinegiornali) andando ben oltre il semplice intento di mettere a nudo l’ipocrisia delle immagini con cui la società del tempo si auto-racconta e auto-rappresenta.

    limpido il commento in proposito di Pasolini: “Una visione tremenda, una serie di cose squallide, una sfilata deprimente del qualunquismo internazionale, il trionfo della reazione più banale. In mezzo a tutta questa banalità e squallore, ogni tanto saltavano fuori immagini bellissime: il sorriso di uno sconosciuto, due occhi con una espressione di gioia o di dolore, e delle interessanti sequenze piene di significato storico. Un bianco e nero in massima parte molto affascinante visivamente. Attratto da queste immagini, ho pensato di farne un film, a patto di poterlo commentare con dei versi. La mia ambizione è stata quella di inventare un nuovo genere cinematografico. Fare un saggio ideologico e poetico con delle sequenze nuove”

    e in effetti Pasolini decontestualizza, commenta, trasfigura e sovrascrive la voce priva di pietas del cinegiornalista nonché la materia delle immagini (precorrendo Debord)… si cimenta nella ricerca di nuovi significati e per farlo s’inventa cardiochirurgo: trapianta il registro lirico e tragico del teatro greco nel nuovo medium, ovvero ripercorre la storia recente e si propone (riuscendoci benissimo) di comunicare una comprensione storica e politica degli eventi in modo emotivo (attraverso gioia, lutto, pietà, etc). in sostanza, *squarcia* la patina di Maya della cosmetica tranquillità da cinegiornale sotto la quale ribollono conflitti in tempi di “pace”, ipocrisia borghese e genocidio culturale. ad esempio, mentre scorrono le immagini del funerale di De Gasperi, la voce fuori campo valica lo storicismo di stampo hegeliano e/o marxiano: “il tempo fu una lenta vittoria / che vinse vinti e vincitori” (dietro ogni vittoria prende corpo il *terrore* perché “i nemici sono tra gli stessi fratelli”). come nelle antiche tragedie, lo spazio-tempo si dilata, acquisisce un’unità di *dismisura* universale e si estende ai “sud del mondo”, eguaglia vincitori e vinti spingendo a porsi domande su cosa ci sia di ancora umano nell’essere qui e nell’umano futuro (infatti il vuoto-di-senso della guerra viene riempito di umanità mediante il “canto del coro tragico”). la stessa Marilyn, vuota icona per Debord o Warhol, nel montaggio commentato da Pasolini “resuscita” in bambina inconsapevole della bellezza che le scorre nelle vene come una droga che inebria ma uccide, restituisce umanità a una donna che soffre e muore (“sparì, come un pulviscolo d’oro”) tracciando una parabola universale dell’innocenza (è l’eroe/eroina tragico/a inconsapevole del proprio ruolo nel mondo e del mondo).

    c’è sempre una qualche umanità preziosa da fare emergere/riemergere, anche dalle fiction più scontate, una profondità grazie alla quale ci si riscopre *umani mai troppo umani*.

    il male della vita è libero. esso può rovesciarsi dal cielo, secondo le vecchie abitudini dei millenni, nel sonno dei continenti” può franare (tipo il monte Toc nel Vajont) anche sulla mirabolante società dei consumi. è attraverso la sofferenza, le lacerazioni, le lacrime, che Pasolini ritaglia per noi ancora un prezioso spazio di conflittualità dialettica, ci aiuta a decodificare il corso odierno della storia come non storicamente necessario (sì, insomma, siamo ancora tragicamente vivi, per dirla con Fantozzi, eh, mentre per contro un Adorno, un Baudrillard o un Debord ci blindano in un dominio privo di incrinature dove non c’è più spazio per nessun antagonismo, e questo finisce per fare il gioco del Potere).

    e infatti “la Rabbia” di Pasolini si chiude con l’astronauta russo Gagarin in orbita e un ulteriore finale allargamento della prospettiva: la visione d’insieme da lassù è che gli uomini gli appaiono tutti fratelli.

    se teniamo conto del fatto che la tradizione dei film sperimentali di montaggio è tipicamente (e facilmente) comica, parodica, sarcastica, ma raramente lirica, e mai comunque tragica, quella che Pasolini reinventa è arte di grande impatto emotivo, quella di Guareschi è satira sociopolitica.

    non ha senso sommare mele e cavolfiori. da un punto di vista artistico Pasolini batte Guareschi 2 a 0, da un punto di vista satirico Guareschi batte Pasolini 2 a 0.

    so what?” direbbe Homer Simpson…

    : ))

    più in generale, il tuo dire in questi nostri scambi di idee mi appare spesso assai categorico e tranchant: vero o falso, bianco o nero, trionfo o figuraccia… praticamente il 100% da un lato e lo zero virgola zero zero zero eccetera dall’altro.
    non ti seguo in questo gioco al tutto o nulla: per quanto Pasolini sia più affine al mio sentire, parimenti trovo elementi validi in Guareschi. il mondo (e il pensiero umano) consta di infinite sfumature di grigi (e, d’altro canto, di materia grigia siamo parlati e stiamo parlando, no?).

    : ))

    peraltro, Guareschi con la sua ficcante satira si rivolge alla “pancia” del paese (conservatrice, qualunquista e anti-intellettuale) mentre Pasolini cerca una riflessione complessa, malinconica e filosofica. giusto per capirci, è evidente che nel fast-food della comunicazione, l’immediato (ovvero l’attimo non mediato da interiorizzazione e riflessione) incarnato da una battuta di spirito, non po’ che vincere a mani basse su una poesia e “il pubblico” ovviamente applaude ciò che è più accessibile e “comodo” (la grammatica ridicolizzante del “riso di superiorità”)

    ciò parrebbe essere poco congruente con quanto affermavi in precedenza circa il tuo rapporto con la complessità (anche poco sopra, parafrasando, sottolinei che la velocità non è buona amica della complessità) e con la folla (ti senti parte di una élite).

    mi tengo il dubbio (è in genere più fertile di qualsivoglia Verità).

    : )

    vieppiù, se passiamo a contestualizzare gli eventi eziopatogenetici all’origine delle due “rabbie”, l’opera pasoliniana nasce soprattutto dal bisogno di interrogarsi in modo “tragico” su presente passato e futuro dell’umanità. per contro, l’opera guareschiana nasce su imbeccata di Rizzoli (editore di Guareschi) che gli chiede di “ribattere” al film di Pasolini con lo stesso materiale (sicuramente intuendo il potenziale commerciale al botteghino d’una polemica). Rizzoli che, guarda caso, ritroveremo poi nell’orbita di Cefis e dalla loggia P2 negli anni settanta (“la verItàlia” docet). una sorta di prova generale delle lotte di potere sotterranee tra diversi gruppi politici ed economici. l’alto ideale che anima “La Rabbia” made in Rizzoli/Guareschi è dunque l’intento di perculare Pasolini strizzando l’occhio al potere economico e all’italiano/consumatore medio facendo ricorso a una brillante e spietata vis polemica. in fondo si tratta del confronto tra due linguaggi, due sensibilità e due visioni del mondo molto diverse che rispecchiano la complessità della società e dell’essere umano nonché dell’Italia del dopoguerra.

    emblematico poi il commento di Pasolini, a posteriori, che rafforza quanto detto più sopra sul fatto che Guareschi sia sceso in campo contro Pasolini mentre Pasolini non è interessato a giocare quel tipo di partita. Pasolini scende in campo contro la Storia, il Potere, la DC, il capitalismo, la moralità borghese conformista, la trasformazione antropologica dell’italiano… Guareschi, è soltanto un sintomo di quel mondo, non la malattia, non l’architetto, e la chiosa di Pasolini è come solito filosofica e politica (mai solo “polemica”). infatti da quello che mi risulta, papàSolini commenta il tutto solo e semplicemente in questi termini, con lieve mestizia:

    “Hanno preso il mio film e ci hanno fatto un’altra cosa.”

    nessuna replica provocatoria, solo la constatazione di un artista di grande generosità deluso perché il suo lavoro è stato strumentalizzato per fini che non gli appartengono.

    se hai altri documenti storici in merito, sono pronto ad accoglierli con viva curiosità e a rivalutare la questione.

    ma ora è mezzanotte e come previsto, con 5 punti su dieci, direi che si chiude la prima puntata.

    e grazie ancora per gli spunti di ragionamento/approfondimento che hai innescato.

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  7. Caro Lupus Mannajo,

    1. Confermo, senza ombra di dubbio: da significativo conoscitore di Giovannino Guareschi in ambito accademico (certe fanfaronate pamphletiche, comuniste e cattoliche, su Guareschi neutralizzano l’immensità dello scrittore di Fontanelle) non faccio nessuno fatica, in un dibattito di storiografia letteraria a dichiarare – come mia mera interpretazione soggettiva- la netta inferiorità letteraria di Pasolini a Guareschi. Entrambi criticarono il modello fascista/nazionalsocialista: Pasolini, disobbedì all’ordine di consegnare le armi ai tedeschi e riuscì a fuggire dalla deportazione travestito da contadino e a rifugiarsi a Casarsa, a scrivere poesie; Guareschi, disobbedì all’ordine di consegnare le armi ai tedeschi e accettò di trascorrere anni in campo di concentramento, come IMI, scrivendo la Favola di Natale. Entrambi criticarono il modello consumistico: Pasolini, sulla facile sponda del comunismo; Guareschi, come monarchico. Entrambi furono incriminati: Pasolini, a causa di reiterati reati sessuali, fu salvato, in vari casi, dall’intervento della famiglia; Guareschi, unico giornalista italiano, scontò circa due anni, in carcere a Parma, causa due diffamazioni (Einaudi e De Gasperi). Per la coerenza di vita: Guareschi 10 – Pasolini 0. Per la carriera letteraria, de gustibus, non amo romanzi e poesie di Pasolini, troppo sperimentalisti e autoreferenziali; ritengo che la finta semplicità di Guareschi nasconda contenuti fondamentali nel XX secolo espressi con il nucleo della mia arte (umorismo/ironia) [non satira]. Per La Rabbia: 1. Ferranti lancia l’idea di un cortometraggio su: <Perché la nostra vita è dominata dalla scontentezza, dall’inquietudine, dalla paura, dalla guerra, dalla rabbia?>; 2. Prima sezione affidata a Pasolini e seconda, in seconda battuta, a Guareschi (l’aggiunta di Guareschi, decisa da Ferranti, nel cortometraggio creato da Pasolini, non fu respinta da quest’ultimo); 3. Pasolini, in stile obbrobriosamente lirico/elegiaco e con tematiche classico comuniste, introduce i temi: miseria e sfruttamento, imperialismo e guerre, lutti e icone del Novecento, razzismo e colonialismo, alienazione moderna; Guareschi, servendosi del suo fantastico ius perculationis (centro fondamentale della mia carriera artistica e causa di litigio col 99% dell’orizzonte artistico italiano), smonta i temi di Pasolini, e li rimonta con ironia e sfottimento: anticomunismo. centralità della famiglia e della fede, critica alla modernità, nazionalismo e tradizione. Pasolini cade nella trappola di Guareschi, credendo di vincere a man bassa in nome della “chiara inferiorità di Guareschi come intellettuale” e non rifiuta l’uscita del film nelle sale; 4. nel 1963, il film esce, con un insuccesso clamoroso, dovuto al tentativo volontario di Guareschi di neutralizzare l’ideologia marxista del film; 5. Pasolini, da grande intellettuale, rifiuta, si amareggia, si irrita, protesta, rivendica l’unicità del cortometraggio (Guareschi continua, tranquillamente, a sfotterlo). Domanda: Perché Pasolini non ritirò la firma e non proibì l’uscita del film? Perchè Pasolini non rifiutò la collaborazione di Guareschi minacciando di non firmare il contratto? Perché, con coerenza tutta marxista, aveva firmato il contratto e incassato (e speso) i soldi (ritirare il film l’avrebbe condotto a infrangere le clausole contrattuali). Alcune fonti riportano che Guareschi disse, parlando al pubblico, che il film aveva “reso simpatici i comunisti”, frase che potrebbe essere interpretata come ironica o provocatoria, come una sorta di sorpresa che il suo intervento, pur conservatore, non oscurasse del tutto Pasolini. Mi diverte molto come Guareschi usi lo ius perculationis e rovini il film di Pasolini, senza che Pasolini, grandissimo intellettuale, sia in grado di ribattere con lo stesso ius perculationis. Guareschi riesce a fare reagire Pasolini a La rabbia, con rabbia. Chi si incuzza, come dici, è un burfaldino: e, nella critica pragmatista (non letteraria), la fortuna di un artista è connessa indissolubilmente alla sua vita (fuga vs. internamento; ritiro delle denunce vs. accettazione del carcere; critica comunista al consumismo vs, critica monarchico/nazionalista al consumismo). La mia interpretazione, meramente soggettiva: Guareschi 20 – Pasolini – 1. Però, ribadisco, de gustibus. Io non scriverei un saggio accademico su Pasolini nemmeno su commissione. Cioè, vedo troppo: Pasolini : Guareschi = Linguaglossa : Pozzoni.
    2. In effetti, nella foga, mi è sfuggito uno 0.
    3. In realtà non esistiamo nemmeno io e te: siamo due cervelli in una vasca. Con <la democrazia non esiste>, volevo significare che esistono solamente le norme giuridiche che garantiscono lo svilupparsi di una democrazia o che trasformano la democrazia in oclocrazia o oligarchia. Le norme giuridiche esistono. Per il veto ti ho risposto esaustivamente in 13.
    4. L’anacronisticità è valida se stiamo tenendo una lezione di storiografia; in un dibattito teoretico ha la stessa faccia di Pasolini che, alla prima de La rabbia, scoprì l’innesto di Guareschi. Identici.
    5. Ibidem

    Non è che non esistono sfumature: nel nostro dibattito, dovendo scrivere con due telefoni alle orecchie, la scrittura contemporanea di altre risposte sullo smartphone, 45 email che arrivano continuamente, l’acufenizzazione mi conduce ad essere tranchant e di non commettere troppi errori da distrazione. Le sfumature riesco a introdurle quando mi chiudo nel mio studio con divieto assoluto di disturbo. Per esempio: Guareschi leggeva e “apprezzava” Pasolini; Pasolini non leggeva e non “apprezzava” Guareschi. Se l’avesse fatto, non avrebbe lasciata aperta la guardia all’opera demolitrice di Guareschi. Questa è una sfumatura, con taglio (di spezzoni).

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  8. tu corri troppo, Achille, e io son vecchio: ho più di qualche ruga, la famiglia mi tartassa e non riesco a starti dietro.

    : ))

    non ho ancora finito di rispondere neanche al 50% dei tuoi 14 punti precedenti (non 10, chiedo venia) che già t’involi avanti.

    se, da quello che mi scrivi, anche la tua vita tende a strangolarti, davvero, prendiamocela con più calma, fratello, puff, pant!

    ordunque, in primis mi pare ottimo segnale di schiettezza il fatto che tu scriva “come mia mera interpretazione soggettiva”, perché in alcuni pregressi passaggi parevi investire le parole di un’oggettività di giudizio che nessun essere umano, per definizione, può avere.

    se cerchiamo una condivisione intersoggettiva, d’istinto, da ex-ricercatore nel campo delle neuroscienze, chiedo aiuto al metodo scientifico. in campo artistico, poi, chiedo aiuto alla saggezza psicologica del “medico di famiglia” (l’algido “medico di medicina generale” lo lascio alla mentalità aziendale delle ASL) e alla cultura umanistica (intesa come condivisione soggettiva: una sorta di parad’osso sacro). nella pratica quotidiana poi (da cui medicina, arte e cultura non esulano) seguo la filosofia zen dello scambista, filosofia che, in termini di prassi ufficiale, non è né specificata né esistente, ma che nel mio piccolo, essendo nano, seguo lo stesso strizzando l’occhio al sol(o)dato semplice: se io ti do 50 euro e tu mi dai 50 euro, restiamo con 50 euro a testa, mentre se io ti do un pensiero e tu mi dai un pensiero, restiamo con due pensieri a testa.

    mettendo insieme metodo scientifico, saggezza psicologica, cultura umanistica e filosofia zen dello scambista, non mi capita praticamente mai di scontrarmi in modo violento con altri esseri umani e nemmanco di avere “problemi di spazio” nella scatola cranica (pensieri, idee e compagnia bella non riempiono dischi rigidi o forse il cervello umano dispone di un così alto numero di terabyte di spazio che non è mai accaduto nella storia dell’umanità che sia stato saturato). vieppiù, ciò che mi è più prezioso è proprio chi la pensa in modo differente (chi la pensa come me può darmi solo figurine doppie).

    ; )))

    detto questo, la tua descrizione caratteriale di Pasolini *fa a pugni* coi suoi tratti psicologici (che conosco molto bene). di tutto questo “rifiuta, si amareggia, si irrita, protesta” non trovo tracce documentali: è una tua soggettiva interpretazione/narrazione? ovvio che si sia sentito raggirato dal produttore (Ferrari o chi per lui), essendo stato tenuto all’oscuro della “doppiezza” de “la Rabbia”, ma del suo scagliarsi contro Guareschi e di un suo frignare da primadonna ripeto, non trovo traccia storica.

    alcune domande che mi poni non possono trovare risposta… mancano i dati su cui basarsi: dovresti chiedere direttamente a Pasolini. peraltro, poni tale domande in grassetto retorico, comunicando l’impressione di sapere la risposta (quando in realtà il tuo dire tradisce un approccio da fan/tifoso di Guareschi che non ha approfondito la psicologia di papàSolini).

    non so… ecco, sai cosa? a proposito di approfondimenti, mi piacerebbe capirti e inquadrarti meglio (non farti strane idee però, sono felicemente sposato da trent’anni e ho 4 figli e un orto… non avrei tempo per una relazione seria)

    : )))

    il fatto è che quando interagisco con altri esseri umani mi piace cercare la persona a tuttotondo, dentro e oltre le parole (ok, è un mio baco mentale, mi rendo conto). sono fiducioso, comunque, che un qualche aiuto mi verrà dal tuo libretto, di cui attendo la consegna a breve. olè.

    in ogni caso, dalla nostra superficiale conoscenza, la mia superficiale percezione (quindi fallibile) è quella che il tuo approccio comunicativo più che essere diretto verso il prossimo, sferri un diretto contro il prossimo.

    : )

    lo sforzo comunicativo, per essere efficace, non può difettare di socratica maieutica: se un figlio o una figlia li approcci in modo così imperioso rischi di schiacciarli, ovvero di fargli del male. mi verrebbe da chiederti cosa ne pensi di zio Rodari, ma temo di saperlo (sorprendimi, invece!)

    un’altra cosa che mi stavo chiedendo è se, mentre provi a interagire con il resto del mondo (trovando “capace” solo una persona su milioni), ti domandi se stai misurando l’intelligenza (che peraltro è sempre molto plurale nonché più ricca di sfaccettature di un esacisottaedro) o la cultura? entrambe si sviluppano interagendo con il mondo, ma sono due ambiti piuttosto diversi…  

    tornando a noi, nei tuoi commenti tendi a costruire narrazioni di “sfida”: Pasolini contro Guareschi, io contro tutti, etc… personalmente, non trovo così interessanti le “sfide” perculanti (o le guerre) tra artisti, filosofi e politici. in questo, mi sento più vicino a Pasolini che in genere agisce da provocatore/combattente eleggendo a nemici i sistemi di potere e le loro storture e non singole persone (che siano Giovannino o pincopallo). ad esempio, tempo fa scrissi una poesia umoristica sul blog di Linguaglossa non certo per “perculare” la/le persone, ma per sollevare il dubbio di una qualche disfunzionalità della poesia kitchen.

    che la scrittura di Guareschi sia banalmente “umoristica”, beh, no dai, il sarcasmo, la satira denigratoria e la volontà di colpire facendo *male* è presente in modo quasi ossessivo in tutta la carriera giornalistica e artistica di Giovannino (basta sfogliare qualche pagina del suo Candido). poi io sono “di manica larga” (nei vestiti ci ballo dentro, essendo nano) e tenderei a trovare inaccettabile solo la satira sui bambini, ma io non sono il mondo e in giro c’è tanta gente fragile e/o con le mani sporche di marmellata, dunque permalosa. eniuei, tornando a Guareschi, anche lo scontro con De Gasperi è un buon esempio d’acrimoniosa battaglia personale che lo spinge a pubblicare lettere false che De Gasperi avrebbe inviato al generale britannico Alexander (in cui De Gasperi chiede di bombardare a tappeto Roma pur di colpire i nazifascisti). in un periodo storico (che ho studiato a fondo nella verItàlia) dove venivavo confezionati dossier e false prove a getto continuo, un giornalista senza secondi fini (merce rara) avrebbe a mio avviso dovuto fermarsi di fronte all’incongruenza che le lettere erano ciclostilate e protocollate nel 1944 mente De Gasperi non lavorava più alla Segreteria Vaticana dal luglio 1943. ora, per quanto Guareschi in sede giudiziaria (inevitabilmente) abbia affermato di essere convintissimo della loro autenticità, qualche dubbio doveva averlo pure lui, anche perché Montanelli (persona meno onesta ma più “furbesca” di lui) l’aveva più che avvertito in proposito…

    poi, chettepozzodì, più in generale, Guareschi è visceralmente anti-comunista, è un monarchico, e non mette certo la sua arte al servizio del “popolo” (che in buona evidenza non ama, in buona sintonia con te). ma il fatto che sia abbastanza lontano dalla mia visione del mondo socialista, umanista e costituzionale non mi impedisce di apprezzarne la satira (e le sue qualità di giornalista e scrittore). solo che la satira e l’umorismo sono martelli pneumatici demolitori… ok, logico che servono anche quelli, nessuno intende dire il contrario, mappoi, che cosa costruiamo? anzi no (visto che il popolo nun te piace e l’approccio corale non è il modo corretto di porti questa domanda… rettifico). cosa costruisci?

    : )

    che implicazioni ha il costruire un mondo da “conducator”? ohi, tra le righe di una pagina possiamo certamente inventare universi nonché di tutto un po’ (tipo Philip K. Dick, con risultati di assoluta eccellenza) ma al di fuori dalla pagina scritta se hai litigato con 99% del mondo, ti resta solo la dittatura…

    vabbé, parole a ruota libera, torniamo al dunque, come dicevo, son d’accordo con te sul fatto che Guareschi sia un uomo onesto “tutto d’un pezzo”, addirittura ossessivo per certi versi, e non ho trovato elementi che lo colleghino direttamente alle massonerie destrorse.

    tuttavia, indirettamente non riesco a dissipare l’ombra che il proprietario della rivista “Candido”, Angelo Rizzoli, era piduista e che intorno a Guareschi (puntando alla trasposizione filmografica della sua saga brescellese) si muove il famoso prelato Morlion dell’Opus Dei (referente USA/CIA in Vaticano). le cose andranno poi in modo diverso da come sperato da Morlion – che scrive addirittura di suo pugno un canovaccio per dettare la regia del film – e da Guareschi, visto che i film su Don Camillo e Peppone risulteranno meno anti-comunisti rispetto a quanto desiderato dai due, ma tant’è. en passant, a riprova delle trame sovversive morlioniche, dai miei studi verItàlici emerge che nel 1964 il settimanale “Mondo d’Oggi” di Pecorelli (altro degnissimo giornalista “guastatore”, sempre di simpatie destrorse, ma molto meno allineato di Guareschi), con un’enorme foto di padre Morlion, annuncia per il numero successivo un’inchiesta su Gestapo, CIA/NATO e Vaticano. numero successivo che non uscirà mai: il settimanale chiuderà, anche se Pecorelli tornerà anni dopo sull’argomento con la sua nuova rivista O.P.

    in conclusione, la tua visione storica su “la Rabbia” di Pasolini/Guareschi è accettabile come può esserlo quella di un fan, accecato dal tifo al punto di immaginare un risultato calcistico di 20 a 0 (neanche giocasse la Juventus contro lo Zenzalino!!!).

    : )))

    quindi “fanfaronate”, “obbrobri”, “reiterati reati sessuali” (Pasolini depravatooo!) e compagnia bella, direi che lasciano il tempo che trovano. vieppiù, durante la mia vita (per esperienza diretta) le persone più dotate di umanità che ho incontrato afferivano proprio all’area culturale/politica catto-comunista che tu disprezzi (fosse necessario precisarlo, io non sono cattolico comunista).

    resta però il notevolissimo piacere (come indica tutto quanto scritto finora) di questo nostro fruttuoso scambio di parole e di idee.

    in coda, dimenticavo, circa l’anacronismo, oltre la mia ode, posso solo aggiungere che sia storiografia che dibattito teoretico attengono all’essere umano e che, in sostanza, l’essere umano più o meno è sempre quello da qualche migliaio d’anni. ciò rende quantomeno discutibile (per fortuna) qualsiasi approccio strettamente modernistico o anacronistico. di seguito in proposito, senza scomodare Vico, riporto anche stavolta un’emblematica citazione di Guicciardini (acuto storico/politico rinascimentale) già citato in altre occasioni in passato: “se si considerano le cose umane, si vedrà che sempre le medesime passioni e i medesimi umori sono in noi; e variando le accidentie, variano i nomi.” ergo, mentre ci affanniamo rincorrendo le “accidentie” (circostanze, tecnologia, filosofie, mode), l’unità motrice dell’uomo è sempre quella, come la morale della Girella, da decine di secoli…

    ma ahimé, anche stasera si è fatto tardi. pazienza, nei prossimi giorni appena ho un attimo (domani non avrò respiro), risponderò ai punti da 6 a 14 che son rimasti indietro…

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  9. La mia preferenza va a Patroclo.

    Io, da ex-amministratore delegato di multinazionali e da filosofo analitico, cerco di essere a. breve e dettagliato; b. sociopatico e autistico, cioè <neurodivergente>; c. amo disperatamente lo ius perculationis (non riesco a resistere: ciò ha rovinato le mie relazioni con l’80% degli “artisti” italiani [l’Italia ha il valore culturale del Malawi, mi resta il resto del mondo, dove sto diffondendo il tardomodernismo letterario]); d. un celta, col viso dipinto di azzurro, che affronta l’interlocutore con un ascia da battaglia.

    1. Per la condivisione intersoggettiva, essendo l’arte stessa una <interazione sociale>, mi trovi d’accordo. Da studioso della teoria dell’interpretazione escludo dal dibattito chiunque non accetti la linea argomentativa Habermas/Apel.
    2. Per Pasolini: Vie Nuove (20 settembre 1962); Il Giorno, 13 aprile 1963; Engramma (F. Albertini), con riferimento ad una durissima lettera aperta a Giovannino Guareschi; Cinecittà News “Pasolini arrabbiato. E profetico”; “Torna La rabbia di Pasolini – Schermaglie cinema, inoltre”; . La frase «Ho già dato incarico al mio avvocato … di ritirare la mia firma dal film. … qualcosa devo fare, per protestare» ripetuta ossessivamente a amici, parenti, giornalisti, ragazzini fuori dalle scuole, diciamo che basterebbe a motivare la scassamaronaggine di Pasolini. Guareschi, umorista feroce (La Favola di Natale, ironica contro il nazionalsocialismo che aiutò a tenere alto il morale a uomini di 35kg e Diario clandestino I e II che racconta, con umorismo la vita nei campi di concentramento), tace e ride. Preferisco Guareschi, al 100% (sintonia mentale totale). Ho avuto modo, a Roncole Verdi, di visualizzare la famigerata lettera: comprendo come Guareschi abbia continuato a ridere sotto i baffi. Le domande in neretto hanno una risposta chiarissima.
    3. P.s. L’interpretazione si distingue in autentica (oggettiva), critica (soggettiva), consolidata dalla maggioranza della comunità degli studiosi (comunitaria). Io, in contesti diversi, formulo interpretazioni oggettive, soggettive e comunitarie.
    4. In effetti il mio motto è: <dare un calcio nei denti estetico al lettore e all’addetto ai lavori> (con la finalità metaforica di svegliare i “dormienti” e senza nessuna violenza effettiva (!!!), benché il Kolektivne NSEAE sia un movimento hijacking.
    5. Per me Rodari, lontano dalla mia linea lombarda, si oppone a Chiara. Metafisica vs. <quotidianeità>.
    6. Applico la existentielle polyphonie di Beck dal 2005, nei miei cinquanta famigerati collettanei di storia della filosofia.
    7. Per me lo ius perculandi (che caratterizza dalla fondazione la mia collaborazione esterna a L’ombra e che ha causato una serie di rotture/riprese/rotture/riprese/rotture/riprese infinite con Linguaglossa [attualmente sono in rottura perché ho sfottuto Villatico, Ridolfi, e altri intellettuali fake fintamente apprezzati da G.]) è il rovescio della medaglia dello smascheramento della disfunzionalità. Il senatore lirico/elegiaco legge il suo discorso seduttivo dai rostri: improvvisamente, il tribunus plebis, attacca, col suo ius auxilii (modernamente trasformato in ius perculationis) appellandosi ai leader del popolo e assaltando i rostri. Questi sono i miei interventi: il tardomodernismo è interventista, comiziale e concionale.
    8. Guareschi è monarchico (in epoca di Repubblica), cattolico (contrario alla DC), anti-comunista (in un momento in cui l’intellettuale è comunista), neoscolastico tomista (in una Chiesa anti-tomista). Per questo sono suo fan e serio studioso accademico sulla sua figura. Padre Morlion? Il delinquente Giovanni Battista Montini, referente vaticano di Guareschi. Le lettere di De Gasperi: la diatriba non si è ancora chiusa. Seguito – da giurista- l’intero incartamento del processo contesto le perizie del Tribunale (smentite da diverse perizie extra-giudiziali), basate sul “giuramento” di De Gasperi. Si legga Bombardate Roma! Guareschi contro De Gasperi: uno scandalo della storia repubblicana di Mimmo Franzinelli e le ricostruzioni di Conti. Purtroppo la diatriba si è trasformata in una battaglia tra guareschiani (perizie valide) e anti-guareschiani (perizie apocrife): Guareschi nascose i documenti originali in Svizzera e trasmise il nome del notaio a Alberto e Carlotta. I documenti originali, accompagnati da una perizia, forzerebbero il risultato della battaglia. Nel processo del 1954 a Milano contro Giovannino Guareschi per la pubblicazione delle lettere false attribuite ad Alcide De Gasperi, il Tribunale rifiutò la perizia grafologica proposta dalla difesa. La motivazione ufficiale fu che le perizie chimiche e grafiche richieste erano «del tutto inutili, essendo la causa sufficientemente istruita ai fini del decidere». Nonostante Guareschi avesse presentato una perizia calligrafica di parte, redatta dal perito Umberto Focaccia, che dichiarava autentiche le lettere, il Tribunale non la ritenne necessaria. Inoltre, furono respinte le richieste di escutere testimoni favorevoli, tra cui Giulio Andreotti, e di effettuare perizie chimiche e grafiche sui documenti in questione. Domanda. Perché? Io ho una mia interpretazione soggettiva: da un lato c’è un Guareschi, uomo intelligente e colto, che si fa fregare fino ad andare in carcere; dall’altro c’è un De Gasperi che influenza il processo (famigerato “giuramento”), rifiuta ogni perizia di parte, escute testimoni, condanna in una situazione in toto assurda giuridicamente (il PdR chiede alla famiglia di convincere Guareschi alla grazia). Purtroppo – come con Pasolini- la mia analisi pragmatica tiene conto, oltre che delle opere letterarie, anche dei comportamenti, delle reazioni, delle furberie. La sola cosa che so è che De Gasperi, delinquente matricolato come il filius Andreotti, non andò mai in carcere e, durante l’occupazione di Roma, si nascose valorosamente in Vaticano; Guareschi andò in campo di concentramento e in carcere, sempre innocente (la sentenza di Milano è un atto politico).
    9. Io non sono cattolico e comunista: Li peggio farabutti de tutta l’Italia der boom? E che te devo di’, democristiani, comunisti e ‘sti mezzi democomunisti che nun se capiva da che parte stavano! Nel presente non è cambiato niente: Mastella e Renzi.
    10. Grazie d’avermi segnalato l’esistenza di Guicciardini: le implicazioni del Discorso di Logrogno suggeriscono che le istituzioni politiche e le leggi possano influenzare significativamente il comportamento (passioni) degli individui. L’esatto contrario delle conclusioni dei Ricordi.

    Non sono razzista, sono loro ad essere napoletani.

    Buonanotte (ci incontriamo quando ti doppio) 😀

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  10. ordunque gli (s)punti di riflessione dal punto 6 in poi.

    il punto 6 è il più corposo, ci torno più avanti, parto dai punti più “agili” da commentare:

    il punto 7 e il suo “doppio”, il punto 14: in proposito, come avrai intuito, sono in buona sintonia col tuo pensiero (anche se l’ossimoro barrato socialista/anarchico mi ha fatto un po’ sorridere). in ogni caso, come notavo in precedenza, sebbene si percorra strade un po’ diverse, la meta finale dei nostri trip mentali pare essere la stessa. di più, nel mio piccolo spesso e volentieri mi prendo la libertà di disobbedire financo al *finanziatore* (nello specifico l’ASL) anteponendo la salute dei malati a qualunque logica economicistica  (budget di spesa o incentivi che siano).

    il punto 8: papà Flaiano, altro autore che amo particolarmente, amava dire che esistono due categorie di fascisti: i fascisti e gli antifascisti. com’è ovvio non intendeva certo riferirsi al fascismo *storico*, bensì celiava con l’etichetta di “fascista” (senso traslato/figurato) con la quale è d’uso stigmatizzate condotte rigidamente dispotiche/autocratiche/violente nonché condotte semplicemente non conformi ai dettami del pensiero sinistrato unico (specie negli ultimi decenni).

    : ))

    per il resto, il trapianto di “neo” dalla cute alla storia umana tende a non attecchire nel mio cervello. quindi son d’accordissimo con te: il neofascismo non esiste e il neocapitalismo… neanche (il primo per chiara incoerenza storica, il secondo per chiara continuità storica)

    : )

    il punto 9, con Lyotard, lo ricollegherei al 6 (quindi porta pazienza, se non arriva mezzanotte ci torno).

    il punto 10: resta il seguente nodo da sciogliere; se al cane metto la cravatta e gli faccio fare il CEO resta ancora un cane o cambia specie? se ha ancora orecchie, muso, quattro zampe, scodinzola e fa bau, per me rimane un cane. non confondiamo la specie con la razza: il capitalismo può essere o può non essere “di razza”, ma rimane il ca(ne)pitalismo indipendentemente dal suo grado di purezza.

    ; )))

    vieppiù, il capitalismo (in passato la Storia ce l’ha già mostrato/insegnato più volte e ce lo sta ribadendo “in diretta” con l’attuale keynesismo bellico, propedeutico al prossimo reset) non esplode, bensì implode  in modo funzionale (a se stesso) generando per nesso strutturale crisi globali e guerre mondiali (extrema ratio che “risolve” gli squilibri intrinseci mediante distruzione a tappeto e ridà ossigeno al Mercato). peraltro (cosa assai gradita al Potere) i conflitti quasi-mondiali o mondiali azzerano qualsiasi potenziale dissenso “dal basso”, disciplinando in modo efficacissimo le masse con l’imposizione dell’obbedienza assoluta (essendo l’alternativa un processo sommario manu militari per “complicità col nemico”).

    il capitalismo è dunque quanto di più simile ad una stella di neutroni (pulsar), che infatti di per sé non “esplode”.

    lasciando da parte l’astronomia, mi trattengo anche in ambito di economia (ma se vuoi ci torniamo): è un mio cavallo di battaglia anche perché mi tocca spesso discutere col figlio maggiore che è dottore di ricerca in macroeconomia.

    il punto 11: vale quanto scritto qui sopra, con l’aggiunta che mi sfugge in base a quale metro cose “dette dieci anni fa” siano da considerare meno significative/valide di cose dette il mese scorso. peraltro (e Chomsky non fa eccezione alla regola) l’involuzione del cervello umano è drammatica dopo i sessant’anni: quindi speriamo che questo nostro prezioso dialogo non duri più di tre anni perché inizierei a sparare moooolte più cuzzate…

    : ))

    il punto 12: messa in questi termini, mi sembra già una collocazione storica molto più onesta del pensiero di zio Federico. ne sono felice. ma sul fatto che si possa dire in modo così tranchant “il pragmatismo è aristocratico” resto perplesso. mi sembra una sovra-semplificazione di un’arma “a doppio taglio”. direi piuttosto che nel pragmatismo (come in altri ambiti) non si ricompone il conflitto tra spinta aristocratica e democratica. ad esempio, se guardiamo alle radici del pragmatismo americano (vedasi Dewey), a me appaiono concretamente democratiche e anti-elitarie. più in generale, è tendenzialmente aristocratico il criterio dell’efficacia quando privilegia l’interesse le potere, giustifica lo status quo e sottrae “gli Esperti” al confronto del contesto. è tendenzialmente democratico nella visione originaria che definisce l’utile come benessere collettivo e la verità come processo di ricerca aperto a tutta la comunità. molto dipende da come s’interpreta quello che amo chiamare il funzionalismo funzionale (aggiungendo il per chi…) *funziona* per l’élite? *funziona* per la comunità? *funziona* per incrementare il profitto? per risolvere un problema sociale? per costruire un’aristocrazia della competenza? per rafforzare una democrazia deliberativa? chissà…

    il punto 13: perché allora non chiamarlo moderatore? “moderator” suona meglio di “conducator”… eppoi, comunque, ti manca (per forza) l’altra metà del cielo: vedrei bene un’accoppiata di moderator e moderatrix.

    : )

    ed ecco che, dulcis in fundo, arrivo al punto 6, olè, e sono appena le 23:12, olè.

    qui c’è davvero trippa per matti e dunque mi ci truffo a capofritto, ché son tante-tantissime le cose da dire e il contesto è dotto/impegnativo.

    andando con ordine, parto da “la rivoluzione è infattibile”, che suona come una definitiva pietra tombale. tenderei a non scrivere (id est, a non comunicare) questo argomento in termini siffatti… è quasi come dire “l’amore è infattibile”. perché castrarci a priori? volare è infattibile per l’uomo, se gli tagli l’uccello. nondimeno, la donna (che ha più senso pratico) subito intuisce che le basta andare all’aeroporto.

    ; ))))

    lasciare qualche spiraglio alla speranza è una delle pietre angolari di qualunque approccio alla psicologia umana (anche a costo di finire per una figura asinina, anzi asinana).

    parimenti, m’appare ampiamente irrazionale la scelta di cestinare in toto Marx con annessa struttura/sovrastruttura, né più né meno come è ampiamente irrazionale buttare via il bambino con l’acqua sporca: quella di Marx resta una delle analisi più potenti mai formulate nella storia dell’umanità sulle dinamiche sociali.

    ma andiamo con ordine, perché neanche i “pensatori” che hai citato rigettano Marx in toto, bensì mettono in luce alcuni limiti del modello e integrano, innestano, rimodulano

    per quanto l’apparenza inganni, il mondo nel 2025 non è radicalmente mutato rispetto, chessò, al 1935, anche perché l’essere umano è sempre se stesso (come accennato in precedenza)

    nel caso di Bauman, le principali critiche all’impostazione di Marx riguardano fluidità (la società è liquida) e complessità (indeterminatezza dovuta alla finanziarizzazione, ergo alla globalizzazione dell’economia). Beck, Sennett e Lipovetsky, se non ricordo male, invece puntano il dito sulla dissoluzione del “legame di classe” che diventa solo un fattore identitario marginale tra tanti: i pericoli (ambientali, finanziari, etc) diventano globali (trasversali alle classi) in parallelo alla destrutturazione del lavoro (flessibilità, precariato, sottoccupazione), onde per cui non esiste più né una collettività di lavoratori né un padrone ai piani alti dello stabilimento. Lipovetsky, peraltro, continua comunque a parlare di sovrastruttura (cultura, desideri) anche se come motore autonomo di consumo e identità. Appiah aggiunge che globalizzazione e cosmopolitismo generano nuove identità oltre a quella di classe: identità nazionali, etniche, religiose, di genere, onde per cui i rapporti di forza non passano più solo dal controllo dei mezzi di produzione, ma anche dal controllo di media, dati e narrative. puff, pant… carrellata impegnativa… passiamo ai cosiddetti “filosofi della scienza”: Popper, Khun, Lakatos… se non ho capito male, li chiami in causa, più che per “cancellare Marx”, per una sorta di contestazione metodologica (cosa che mi lascia perplesso perché, da neuroscienziato non sono per nulla convinto che sia corretto applicare in modo stringente il metodo scientifico alla filosofia, alle arti o all’umanesimo… mi sembra “roba da AI”… poi, boh, de gustibus non disputandum est)

    tirando le somme di questa corposa carrellata (inevitabilmente approssimativa), non posso fare a meno di pensare che la “destrutturazione” in fondo non può che finire pe’ ricascà in una “nuova struttura”. molte teorizzazioni postmoderne e contemporanee si sperticano nel dichiarare la “fine delle grandi narrazioni” (come ad esempio fa Lyotard, quello del “punto 9”, eh) cosa che diventa *per se*, a sua volta, una grande narrazione. in sostanza, possiamo giocare con le parole quanto vogliamo, ma affermare che non ci sono strutture ma solo flussi implica l’elevazione del *flusso* a principio strutturante (per quanto sia più sottile o impalpabile, è comunque un sistema portante, una struttura).

    prendi Bauman e il suo capitalismo liquido: ha *comunque* una sua struttura, quella della precarietà (con annessa deregolamentazione e obsolescenza programmata di oggetti, persone e relazioni). prendi di Lipovetsky, il suo individualismo è strutturato in marketing (algoritmi, social media, autorealizzazione attraverso la merce).

    la stessa rete globale del mondo interconnesso è struttura: è il capitalismo del Grande Fratello (la sorveglianza) in cui i mezzi di produzione sono i dati mentre gli algoritmi sono la nuova oligarchia.

    se buttiamo via Marx bambino insieme all’acqua sporca, non è che ci neghiamo gli strumenti per indagare e comprendere le nuove forme di strutturazione del Potere?

    la lotta di classe non è certo scomparsa!!! è semplicemente più ramificata, più complessa, più mimetizzata, ma il *conflitto* tra chi detiene il Potere (economico, finanziario, “dei dati”) e chi ne è espropriato è più vivo che mai. e questo perché – INEVITABILMENTE – (ripuff, ripant… ho sparato 15 maiuscole in un colpo solooo) anche nelle sue forme più *immateriali* (finanza, dati, conoscenza), l’economia era, è, e resterà il fondamento materiale della società umana: la lotta per la (ri)distribuzione della ricchezza e delle risorse è il nucleo polposo di tutto e Marx resta *utile*.

    ad esempio, tutto il discorso sulla precarietà esistenziale di Bauman, in fondo ricalca l’analisi di Marx sull’alienazione: l’essere umano è tutt’oggi alienato (a maggior ragione), anche se non più solo nella fabbrica, ma nella gig economy, nella ricerca di like, nel consumo compulsivo, nell’avatarizzazione surreale…

    mappoi, possibile che l’insegnamento principale di Marx, ovvero che le idee dominanti sono le idee della classe dominante, oggi ti sembri superato o poco significativo?? l’ideologia dominante delle élite finanziarie (individualismo, specchietti meritocratici per le allodole, flessibilità come valore, consum ergo sum) domina *perché* il mondo è strutturato, altrimenti cadiamo in un idealismo dove tutto è narrazione, tutto è discorso astratto che finisce per obliare la condizione materiale dell’essere umano in società.

    quindi, torno a criticare il tuo amore per il tutto o nulla, ovvero per le sfide dove da un lato c’è un 99.99999% di ragione e dell’altro un 99.99999% di torto, nonché per le scelte polarizzate obbligate tra bianco e nero come categorie astratte neokantiane.

    aggiungiamo quanta complessità vuoi al modello base “struttura/sovrastruttura”, per me non c’è problema, rendiamolo più elastico/fluido, ma non cediamo alle lusinghe dell’anarco-individualismo. anarchismo individualista che, contro un potere strutturato, fluido e globale, è condannato all’impotenza o a essere facilmente riassorbito dal sistema stesso (il “ribellismo” come merce). Abbiamo ancora un grande bisogno di alcuni strumenti che Marx ci mette a disposizione: l’analisi del potere economico, il concetto di lotta di classe (da rileggere in senso lato), la critica dell’ideologia e l’attenzione per le condizioni materiali…

    detto questo, voglio tornare a Popper, che sembri apprezzare e farti dire dalla sua viva voce cose importanti:

    “I marxisti credono di sapere molto, ma mancano completamente di modestia intellettuale. Amano fare sfoggio del loro sapere e di una roboante terminologia. Il rimprovero non vale per Marx o Engels. Essi erano pensatori grandi e originali, che avevano nuove idee, spesso difficili a formularsi. Chi ha da dire qualcosa di nuovo e di importante, tiene a farsi capire. Farà perciò tutto il possibile per scrivere in modo semplice e comprensibile. Niente è più facile dello scrivere difficile. Ma io accuso i moderni marxisti rivoluzionari di abusare di paroloni, di tentare di impressionarci con poche idee e molte parole. Niente è loro più estraneo della modestia intellettuale”.

    ecco, ho citato Popper perché, è divertente tirarlo qua e là per la giacchetta e comunque, com’è logico, anche lui può dice cose più o meno condivisibili:

    a) attenzione agli “isti” e agli “ismi” (né i rigidi marxisti né i rigidi anarco-individualisti possiedono la Verità, n.d.n., abbreviazione per nota del nano)

    b) tutti i “pensatori” contribuiscono ad arrivare dove siamo adesso, se hanno avuto nuove idee (cercherei dunque di calcare meno su anacronismo e modernismo, cercando più convergenze che sfide, differenze e contrapposizioni, n.d.n)

    c) le nuove idee sono sempre benvenute (la già citata filosofia zen dello scambista, n.d.n)

    d) scrivere in modo semplice è fondamentale *se* vogliamo farci capire (da chi? ci rivolgiamo a un’élite o al popolo? o meglio, lasciamo stare il popolo – che so che non ti piace – ci rivolgiamo a un dodicenne o a Dewey? n.d.n.)

    e) niente è più facile dello scrivere difficile (ovvero, mutatis mutandis, come accennavo qualche commento fa, niente è più difficile dello scrivere semplice, n.d.n.)

    f) il proemio-prefazione di KOLECTIVNE NSEAE (tutto maiuscolo: eh, a un nano quasi esce l’orticaria! n.d.n.) abusa forse troppo di paroloni e di lettere dell’alfabeto greco… non è che di tenta di impressionarci con alcune idee e molte parole? (ebbene sì, il bel tomino è arrrivato e ho iniziato a leggerlo con attenzione, ironia a parte…)

    g) la modestia intellettuale è preziosa (essendo propedeutica a maggior apertura mentale e minore ipertrofia dell’io, n.d.n.)

    tutto questo nella speranza di “esserci d’aiuto” (l’un l’altro) e di fornirci (l’un l’altro) spunti interessanti superando la fluidità adamantina (ossimoro umoristico, n.d.n.) con cui affermi senza alcun margine di trattativa che “non è, è stato, sarà mai mio interesse intraprendere” (uno “studio di 400 pagine” in proposito).

    di qualunque cosa si parli, il “mai” m’ha sempre fatto n’ sacco de paura

    vabbè, la mezzanotte è passata da un pezzo, mi sarò perso più d’un refuso per strada e sto iniziando a delirare. un abbraccio fratello, e grazie per tutte le (tantissime) parole scritte…

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  11. ordunque, prima di doverti rincorrere di nuovo (sempre che come per magia non appaiano altri tuoi nuovi commenti mentre scrivo), recupero il lavoro ch’è rimasto indietro.

    pensavo… hai notato che dentro a “neurodivergente” c’è la gente, da cui chi è sociopatico di solito rifugge? incongruenza? chi può dirlo… magari c’è un pozzo(ni) pure in te, le cui profondità più ime son tutt’ora inesplorate. potremmo rinvenire tumulato nelle sabbie del fondale un dubbio empatico, un fondo di socievolezza, un Aiace Oileo scivolato nel pozzo chissà quanti secoli fa… perché precluderti la possibilità di riscoprirti ancora *vivo*?

    : )))

    tipo l’Innnocenzo Smith di Chesterton ne “le avventure di un uomo vivo”.

    vabbè, passo ai punti. poco da dire sui punti 1, 3 e 4.

    sul punto 2, come per le lettere di De Gasperi (dove il 1943 non può essere il 1944), noto uno scollamento cronologico: il 1962 non può essere il 1963. possiamo piegare le date (o i dati) a nostro piacimento per dire ciò che vogliamo? certo che possiamo (ma il nostro dire non ne esce rafforzato). seguimi nel ragionamento: se “La Rabbia” esce nel 1963 e Pasolini scopre il giochino de “La Rabbia” double-face alla prima del film, come può il suo scritto del 20 settembre 1962 su “Vie nuove” essere attinente al *frigno* del Pasolini perculato della tua narrazione? (che infatti, rileggilo non ha a che fare con Guareschi). circa l’articolo del Il Giorno del 1963, una reazione offesa dell’intellettuale “primadonna” di Pasolini non c’è proprio: ecco il virgolettato che contiene de relato (a scrivere l’articolo è Barbato) la reazione di Pasolini “a caldo” al termine della programmazione: “Non è un film solo qualunquista, o conservatore, o reazionario. E’ peggio. C’è l’odio contro gli americani, e il processo di Norimberga viene definito “una vendetta”. Si parla di John Kennedy facendo vedere solo sua moglie, come se lui non esistesse. C’è odio contro i negri, e manca solo che si dica che bisogna metterli tutti al muro. C’è una ragazza bianca che dà un fiore a un negro, e subito dopo lo speaker la copre d’insulti per questo. Si dice che, siccome gli italiani sono stati costretti ad abbandonare le colonie, s’è rotto l’equilibrio in Africa. C’è un inno ai “paras” esaltati come truppe magnifiche. C’è un anticomunismo che non è neanche missino, è da anni trenta. C’è tutto: il razzismo, il pericolo giallo, e il tipico procedimento degli oratori fascisti. l’accumulo di dati di fatto indimostrabili”. papàSolini non si sente per nulla offeso nel personale, la sua preoccupazione è per il popolo (i giovani, gli indifesi) come chiarisce a ruota: “Non voglio collaborare nemmeno come antagonista all’assorbimento di queste idee mostruose da parte dei giovani, che sono indifesi dinanzi a una simile demagogia”. ergo la tua narrazione è legittima, ci mancherebbe (visto che a te fa piacere così), ma piuttosto lontana dalla realtà. neanche nell’altro riferimento che mi proponi trovo riscontri documentali. è vero che la Albertini parla di una “durissima lettera aperta di Pasolini a Guareschi (Pasolini 1963)” ma nelle reference in calce all’articolo troviamo “Pasolini [1963] 2001b – Risposta a Guareschi col titolo Guareschi-Pasolini battibecco al vertice, “ABC”, 7 aprile 1963”. tale articolo però non contiene nessuna “durissima lettera aperta lettera aperta di Pasolini a Guareschi”, trattandosi invece di un articolo *anonimo* uscito su ABC (un periodico politico-satirico-scandalistico edito in Italia negli anni sessanta) nel quale vengono riportati “brani tratti dalla sceneggiatura del film “La rabbia”” come già esplicita il sottotitolo. quindi? cosa resta? resta la leggenda metropolitana del tipo “m’ha detto mi cuggino” (“amici, parenti, giornalisti, ragazzini”). nonché la leggenda metropolitana del tipo “crediammé chessòggettivo: l’lo visionata a Roncole Verdi”. ohi, dici bene, con apprezzabile onestà, che di “visione” e non di “vista” si tratta. e non potrebbe essere altrimenti, visto il trasparire d’un tuo (sempre legittimo, ci mancherebbe) istintivo disprezzo verso Pasolini (“scassamaronaggine” va ad aggiungersi alla lunga serie di termini tecnici storiografici della tua fanalisi.

    : )))

    nel punto 5 e 6, schivando Rodari, citi “quotidianeità” e metafisica. zio Arturo amava dire che “la musica è metafisica in suoni”. ordunque, a proposito di metafisica, passiamo ad un breve excursus di filosofia alta: quali sono i tuoi gruppi musicali preferiti? senza citarne però un numero infinito, facciamo che, se ti va, mi offri una manciata di nomi: due o tre di musicisti “seminali” e due o tre “contemporanei” italiani; stesso discorso (due o tre di musicisti “seminali” e due o tre “contemporanei”) per musicisti stranieri. la musica è importante… Huxley ha affermato che, dopo il silenzio, “ciò che meglio descrive l’inesprimibile è la musica”… eppoi non dimentichiamo mai che la musica ci costringe a riscoprire l’ascolto (cosa assai preziosa in un contesto virtuale dove tutti parlano/scrivono e nessuno ascolta)… eh facciamo finta che la “polifonia esistenziale” invece di essere quella made in (Ulrich) Beck la sia quella made in Beck (David Hansen)… cheddici, sepoffà?

    : )

    punto 7: ribadisco, satira, ironia, umorismo (ius perculandi) sono il sale che dà sapore, ma se nel piatto c’è solo il sale e manca la sostanza, si fa la fine della capra. tenderei a non trasformare uno strumento in un fine. peraltro l’ironia che trovo stimolante è verticale (dal nano, che sta in basso, verso i giganti). lo scontro orizzontale fratricida tra nani imperniato sul celolunghismo para-intellettuale più che tardomodernista m’appare tardoadolescenziale.

    : )))

    punto 8: se tra i testimoni favorevoli a Guareschi c’era Andreotti annamo bene! le perizie calligrafiche pro e contro, ovviamente, possono essere cucinate e confezionate in base alla tifoseria (Focaccia compresa). la cronologica incongruenza protocollare mi appare più probante. in ogni caso, sul fatto che l’orientamento politico possa obnubilare l’oggettiva imparzialità di giuristi, letterati, scienziati e quant’altro, credo che siamo d’accordo.

    punto 9: mi stai dicendo che Renzi e Mastella sono catto-comunisti???? aaaargh… m’avevano ingannato!

    punto 10: pregononcèdiché

    rinnovo l’abbraccio a te e alle tue parole, fratello multinazionale

    : )

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  12. Direi che io ho spiegato tutto. Continuare a contestare le tue affermazioni mi sottrae tempo indispensabile a fare arte a livello internazionale. Prenderei ogni tua affermazione e con una serie di punti, come mi hanno insegnato ferocemente nel dipartimento di teoria del diritto di Milano, smentirei in qualsiasi modo, con citazioni ogni tua affermazione e andremmo avanti all’infinito. Io sono contento del nostro dibattito, che mostra reciproca stima e intelligenza. Però non ho tempo: non è una dichiarazione di sconfitta, è una certezza di contestazione di ogni tua affermazione all’infinito. Purtroppo non ho l’infinito a disposizione. Quando finirò le mie attività dei prossimi mesi, cercherò di tornare sul nostro dialogo.

    Devo iniziare di nuovo a scrivere articoli da mandare in 30 lingue alle riviste internazionali e a usare substack in modo da far capire all’artista italiano che è un fallito. 🤭

    Sono incorreggibile. Oggi ho mandato a… Adam Vaccaro. Sinceramente i critici e artisti ottuagenari mi hanno rotto il cuzzo.

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  13. azzz… peccato, è stato bello finché è durato.

    epperò, giustamente, ubi maior, minor cessat: non sia mai che il nano scippi del tempo all’arte a livello internazionale!

    : ))))

    ricambio il lusinghiero attestato di stima e intelligenza, nella speranza che tali qualità ti aiutino a far capire ai poeti italiani (nonché di qualsiasi altra nazionalità) che nessun essere umano è un fallito anche se ha fallito. e che anche qualora abbia fallito non è accaduto nulla di grave: ha solo messo in fila le parole in un modo che non ha funzionato. sì, insomma, la colpa è della poesia che non è andata per il verso giusto

    : ))

    chiudo con un chiosa sulla “certezza di contestazione”.

    un giorno portai una mia neurodelirica di cui andavo assai orgoglione alla caverna del saggio Babelo. il saggio la lesse, storse il naso e sputò in terra, esprimendo alcune perplessità che ebbi l’ardire di contestare. a quel punto, Babelo si produsse in una grassa risata convulsa che smosse uno tsunami di pulviscolo dalle sue vesti impolverate, poi disse: “il contestare in effetti implica (e contiene) il “con te stare”, preziosa risorsa che previene l’avvitarsi su se stessi, o nano...” a ruota, disse anche altre cose, sicuramente più importanti, ma persi il filo del ragionamento inziando a starnutire a più non posso (soffro di allergia agli acari).

    ecco. e questo è quanto. un abbraccio forte fratello.

    ti aspetto, dunque, tra qualche mese… ma non lasciar passare più di venticinque anni: mi ritroveresti ottuagenario e ti romperei il cuzzo.

    : )))))

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  14. No, fratello Lupus eritematoso (sistemico).

    C’è chi ha combattuto, ha sperimentato, ha studiato ed ha fallito; c’è chi si è venduto, è stato cooptato, ha sostenuto un regime che insonorizza, attraverso Mondazzoli, l’intera opposizione artistica italiana ed è un fallito.

    L’onore delle armi all’avversario; i calci nei denti estetici ai camorristi.

    Quindi qualcosa di grave è accaduto e sta accadendo e non deve accadere ancora.

    Questa cosa tu la sai bene: ti aspetto sotto le mura di Porta Pia. 😏

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