Anna Lamberti-Bocconi in “Antenate”, aa.vv.

Le magiche vacanze in estate a Savorgnano del Torre, piccolo paese tra i colli orientali del Friuli. I luminosi ricordi dell’infanzia e poi dell’adolescenza negli anni settanta, dove spicca la figura della mamma della mamma di sua mamma:  la bisnonna  Anute (Annina),  persa quando Anna Lamberti-Bocconi aveva sedici anni.

È dedicato a lei il poemetto incluso nell’antologia “Antenate” Edizioni Sartoria Utopia 2022. Un commovente, tenero spaccato affettivo ma anche un acuto  tratteggio sul cambiamento storico e  diversità sociali.

In continue alternanze focali l’autrice sposta lo sguardo tra reminiscenze e considerazioni, costruisce un’impressione complessiva che fa presa su sentimento e intelletto, evoca nostalgie, stuzzica curiosità contestuali. Otto testi a simboleggiare qualcosa che non cè più ma è rimasto, qualcosa che ancora vive e si propaga, una luce che non cede, non sbiadisce, accompagna.

Doris Emilia Bragagnini

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Da “ANTENATE“, aa.vv. Edizioni Sartoria Utopia 2022, con Alessandra Bordino, Anna Lamberti-Bocconi, Azzurra D’Agostino, Clara Galante, Eleonora Scrivo, Francesca Genti, Irene Soave, Manuela Dago, Maria Moresco, Silvia Monti, Silvia Vecchini, Tiziana Lo Porto.

Antenate

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Testi di ANNA LAMBERTI-BOCCONI

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Quando ti accompagnammo al cimitero
era il Natale del ‘77
con le persone strette
intorno a te e l’anima dolente
avevo sedici anni, non volevo.
L’amore più pulito, più poeta.
Ero e sono stordita a ricordare.

*

La bellezza più fine la soffiò
il vento nel tuo azzurro contadino.
E li facesti tutti: la fornace,
la filanda e la balia
i lavori di un tempo. Nonna Nera,
ti scrivo dal duemilaventidue
un’epoca annacquata, una scemata.
Ma io ti porto in me come un granello
di zucchero più duro in un bonbon.
E non è colpa mia se sono nata
a prendere la coda dei tuoi anni
ho fatto in tempo, sai? ho fatto in tempo
per non dimenticare mai e poi mai
tutta la tua purezza, e le risate
di cristallo e d’argento, e nel tuo letto
infilarmi per essere felice.

*

Cosa vuol dire essere ragazza
e tuo marito in Francia da emigrato
a fare i tavolini coi mosaici.
Cosa vuol dire venire a Milano
con quattro figli che dopo una è morta
la piccola con la tubercolosi.
Cosa vuol dire che non c’era niente
ma c’era tanto e siete andati avanti
come in un film, e dopo raccontare,
che Rocco e i suoi fratelli io ce l’ho avuto
a casa molto prima di Visconti.
Cosa vuol dire ridere e scherzare
ma così tanto e così veramente
la tua estrema bellezza senza denti
che mi è rimasta dentro come un chiodo
la testa lievemente rovesciata
tu mi hai insegnato a ridere, e la vita
che non si piega, ma non lo sapevo,
io non sapevo niente, per fortuna,
perciò non ho “imparato”, ho solo fatto
ciò che fa la natura con le foglie
che nascono foglietti verde pazzo
di luce verde, e poi si fanno grandi
a se stesse, ampie della linfa
che sorge dalla terra e dalla luce.
Questo tu mi hai trasmesso, essere viva
possedere i tuoi occhi ed il tuo nome
il mio bel nome Anna che era il tuo
l’azzurro che mi brilla dietro il vetro
degli occhiali che porto e della vita
che mi fa ciao però mi piace sempre
degli anni che ho vissuto insieme a te
finché la bestia bruta ha morsicato
ma la lasciamo stare, che non vale
la pena di pensare troppo a lei
che è tragica e dannata, mentre il cuore
mi batte ancora e sente nel suo rosso
la tua figura viva nel ricordo
e guarda il tuo grembiule e ascolta tutto.

*

Tutto quello che ho perso… Mi ricordo
come un verso veloce nella penna
un fulmine saettante
mi ricordo la voce ed il profumo
gli anni precipitati, una formica
minuscola così, quella bambina
la piccola sensibile creatura
col suo pilastro in te che poi divenne
mancanza. Mi ricordo, ti ricordo.

*

Che i fiori sul grembiule
macchiette di un colore piccolino
bianchi sul nero e le grandi
le immense tasche
le fiasche senza fondo col fazzoletto dentro
rosso a macchiette bianche
ci stava tutto
che tutto era nel fondo
la tabacchiera d’argento
ogni sorgente e ogni mistero
l’onnipotente vero
la catenina, il vento.

*

Come un comando antico, come un mito
di fondazione, fuori da un paese
di temporali e primule, su un muro
leggevo infante una scritta esaltante
e bella mi pareva e mi parlava.
_______________________________“E’ l’aratro
che traccia il solco, ma è la spada che lo difende”.
Per questo un contadino militare
mi avrebbe accompagnato lungo gli anni
dentro di me e saldo come pietra.
La fioca e inestinguibile lanterna
che chiamo ancora “anima”, che amo
nonostante la morte che mi bussa
invadente alla porta, quella luce
di olio che rimane quando tutto
si incarbonisce, polmone sepolto
la devo molto a te, frase fascista.
Entrando nel paese di mia madre
e di mia nonna e via via risalendo
non la si vede più, l’han cancellata.
Ma a me è rimasta nello stile e oltre.

*

Saggiai sul tuo libro da messa
le sillabe delle parole
appresi l’incanto dei pater
dei kirie e dei liberainos.

Son l’atea di ferro che più
ha amato la religione
passata in formule lievi
in tenera reiterazione

perché eri tu che la sera
sciogliendoti i lunghi capelli
dicevi con gli occhi più belli
Riposino in pace amen.

*

A spari e uva, contadini
da secoli e migliaia
di vespe di maiali di rape
e di qua Toscanini la Scala
la nobiltà le tenute
così mi fingo io
la duplice ascendenza
che mi fece sognare da bambina
di terre possedute o lavorate
la crinolina o i grembiuli
e tutte le mie antenate
che, donne, si potevano capire
ma la classe sociale
tagliava il collo a ognuna
impostava la vita
nell’utero in travaglio
già prima di vedere luce e giorno.
Quel pianto di bambina
che mi prefigurava
esplose fuori uguale,
la nonna contadina,
l’altra nonna marchesa.
Mia Italia di campagna
col tempo circolare
e la bella Milano ottocentesca
me ne potevo andare
anche in carrozza, anche
con un cappello liberty e D’Annunzio
mi avrebbe salutato. Oppure
un vecchio con un ramo
in mano minaccioso
imprecando in friulano
avrebbe messo in fuga
ragazzi che rubavano le pesche
ma la brigata a ridere
scapicollava via
e fra di loro c’era anche mia zia.
La furia delle cose,
che dopo qualche anno
la potevi vedere qui a Milano
ragazzina a servizio
magari proprio in quelle grandi case
dove studiava legge
mio nonno magistrato.
E così tutto gira mescolato
tanto non torna indietro
un bel passato
confusionario, un gran terreno
per far pasticci
bisticci di vissuto
i ricci in testa coi capelli lisci.
Tu, vita che svanisci,
abbi pietà di ciò che mi rimane.

*

Anna Lamberti

Anna Lamberti-Bocconi è nata a Milano nel 1961, è scrittrice, saggista, poetessa e autrice di canzoni. Conduce Laboratori di Scrittura Poetica e Laboratori di Scrittura Autobiografica, sia rivolti a tutti sia nell’ambito del sostegno alla salute mentale.

Pubblicazioni: Sale Rosso (1992, Stampa Alternativa), Crasi e Una poesia (1994 e 1999, Pulcinoelefante), Il vino di quella cosa (1995, ristampa 2004, Campanotto), Devi chiamarmi sempre (2005, Campanotto), Canto di una ragazza fascista dei miei tempi (2010, Transeuropa), Bastarde senza gloria (2013, Sartoria Utopia, insieme ad altre sei autrici), La signorina di Cro-Magnon (2014, Sartoria Utopia, ristampa 2021), Teatro dell’amore (Le Voci della Luna/Dot.com Press, 2015), Antenate (2022, Sartoria Utopia, insieme ad altre 11 autrici).  In prosa: Sola sul cammino (1999, Xenia), La forza della preghiera (2000, Sperling e Kupfer), Sono stato quel ragazzo (2005, Società Editrice Barbarossa), Rumeni (2009, Stampa Alternativa), Violenza sessuale. Diniego e minimizzazione (coautore Matteo Rossi Renier, Alpes Italia, 2016), Adolescenza e droga. Uno studio sociologiconeuroscientificopsicologico e giuridico  (coautore Matteo Rossi Renier, Alpes Italia, 2017).

Come autrice di testi di canzoni ha collaborato con Ivano Fossati (in Discanto), Fiorella Mannoia (in Gente comune), Ornella Vanoni (in Argilla), GianCarlo Onorato (in Io sono l’angelo, Falene e Sangue bianco), Pier Dragone (in Fame di vento).

Suoi lavori sono apparsi in diversi blog e antologie.

 


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