Stefania Crozzoletti: Aprirti la testa

“Vorrei aprirti la testa per vedere cosa c’è dentro”, le disse lui una sera, accarezzandole la mano. Se ne stavano seduti al tavolo di un’osteria del centro, bevendo vino, una sera di agosto. Era tardi, ma c’era ancora tanta gente che si stava godendo il tenue filo d’aria che come un serpente percorreva lento le vie della città antica.
“Vorrei aprirti la testa per vedere cosa c’è dentro”. Sembrava una cosa bella, così, di primo acchito. “Vuole sapere tutto di me, tutto”. Sembrava una dichiarazione d’amore, lì per lì. Amore totale significa conoscere tutto… o no?
Sorseggiarono il secondo bicchiere di vino, la testa si stava facendo leggera, gli occhi languidi, le gambe pesanti. Si parlava d’amore, a quel tavolo di osteria.
“Mi piaci tu, mi piace come sei, i tuoi occhi color della terra”. Si parlava d’amore, delle storie passate finite male, del desiderio di viverne una decente. Si sorrideva, a quel tavolo. Lui sorrideva, continuando a fissarle la testa. Non gli occhi, la bocca, il naso affilato, il collo. La testa. Parlava d’amore, di filosofia dello stare insieme, di storia delle carezze, di economia dei sentimenti. La testa. “Vorrei aprirti la testa per vedere cosa c’è dentro”. Lentamente stava montando il disagio, il formicolìo nelle gambe, la nebbia nella testa. Già, la testa. Se lo vide davanti, i denti neri, la bocca bavosa. Al posto del bicchiere teneva in mano un grande apriscatole.

“… ecco, il cranio è stato violato. No, non fa male, solo il sangue che gronda mi dà un poco di fastidio, se mi allunghi un fazzoletto mi asciugo….
Cosa vedi? eh, c’è un po’ di roba da spostare, ficcaci dentro le mani, rimescola, pesca qualche ricordo, qualche segreto, il resto è sbobba. Il resto è la vita di una brava bambina, dolce e obbediente, un’esistenza passata sui libri, niente di speciale. Anni passati a desiderare, desiderare qualcosa che non era scritto sull’enciclopedia, che non stava in Australia, né sulla Luna. Qualcosa che non sapevo nominare, che sfuggiva, una nuvola inconsistente di materia aliena.
Rovista, afferra. I ricordi brutti stanno a destra, quelli belli a sinistra. Quelli brutti guardali, se vuoi, ma non me li descrivere a voce alta, osservali senza fare commenti, già ci penso io di notte a metterli in fila. No, non dormirai con me… i ricordi belli sono poco interessanti… non sono molti, dici? Li avrò catalogati male, non è possibile che si contino sulle dita di una mano. Ah! sentivo che la testa era sbilanciata a destra, e quel mal di testa… da qualche parte dovresti trovare una carezza di mia madre, uno sguardo benevolo di papà, le scarpe di vernice nera, regalo di nonna. E il mio primo giorno di scuola, le recite di fine anno. Dov’è finito il primo bacio?
Ma tu insisti a rovistare dalla parte sbagliata. Basta, chiudi. E lascia stare il doppiofondo. Basta, chiudi. Ora sì che fa male. Sono sfinita, smettila. E un altro bicchiere di vino”.

“Vorrei aprirti la testa per vedere cosa c’è dentro”. Più tardi fecero l’amore. Lei aveva la testa rattoppata, lui le mani tremanti per il troppo cercare, la paura. Non era così che doveva finire. Lui aveva visto il mostro, era bastato un attimo per essere punto dal terrore. Lei l’aveva avvertito, inutilmente: “Attento al doppiofondo, è pericoloso. Non ci entro da anni, lì dentro”.

Al tavolo dell’osteria, la sera successiva, non si parlò d’amore, ma di fantasmi. Lui la guardava negli occhi color della terra. E non sapeva cosa fare. Poteva scavare, in quegli occhi: scavare un poco, una piccola buca, metterci un seme. Oppure spalare e spalare ancora, aprire una voragine, preparare una tomba.

http://www.inlibraria.it/phpBB3/book_autori.php?mode=copertina&u=67


10 risposte a "Stefania Crozzoletti: Aprirti la testa"

  1. Un frammento della memoria, un urlo, un prima e un dopo come ce ne sono tanti sulla strada delle buone intenzioni di chi viola lo spazio di un altro essere senza prendersi la responsabilità di restare, qualsiasi cosa trovi, qualsiasi cosa scateni.
    Il brano trasforma in immagine surreale (ma non troppo) la sensazione che si prova ad essere violati per curiosità e non per amore: il corsivo rende perfettamente la realtà della solitudine nello stesso istante in cui, invece, ci sarebbe dovuta essere la comprensione, la comunione.
    La prosa scorre bene, come dice Abele, anche se il brano non assume mai la struttura di un racconto, ma sembra collocarsi in quell’area in sospeso fra la prosa e la poesia; la stessa area, forse, che rappresenta il “doppiofondo”, la zona che non è né inconscio né ragione, in cui sia l’inconscio sia la ragione sono autorizzati a brevi e dolorose incursioni.

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  2. Abele, grazie! Per me è un grande onore trovare il mio “raccontino” su Neobar. Grazie dell’attenzione, e della scelta. Aprirti la testa è un testo che mi capita di rileggere, non per autocompiacimento, ma per cercare di *riconoscerlo*, di metterlo a fuoco. Pensavo, mentre lo scrivevo, ad un fatto duro, drammatico. Allo stesso tempo, nella testa si sono affollate immagini surreali, psichedeliche (alla fine, si tratta di un trip finito male, un viaggio sballato con le alterazioni dovute all’abuso di amore, di curiosità…e forse anche di vino!…). Insomma, lì per lì ho pensato di aver preso una cantonata, descrivendo come ho fatto il delirante e distruttivo desiderio di possesso. Ma, forse, alla fine non c’è contraddizione, tra la tragicità di una situazione e la sua descrizione surreale… mah!
    Di nuovo grazie ad Abele, e a Patricia per la sua analisi, molto attenta. Ho notato in lei, non solo in questa occasione, una straordinaria capacità di calarsi nei testi altrui. Una capacità che vorrei avere… e che (bonariamente, si intende!) le invidio 🙂
    un caro saluto a tutti
    stefania

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  3. Grazie Patricia per l’attenta lettura e grazie a te, Stefania, per questo testo che “raccontino” non lo definirei di certo. La vena surreale, l’umorismo, si può sintetizzare con questa frase
    “… ecco, il cranio è stato violato. No, non fa male, solo il sangue che gronda mi dà un poco di fastidio, se mi allunghi un fazzoletto mi asciugo….
    In cui viene evidenziata la consapevolezza e purtroppo l’abitudine a “farsi spaccare la testa”.
    Abele

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  4. Grazie a voi, Stefania e Abele.
    Intervengo nuovamente per esprimere un mio pensiero collegato alla discussione “racconto-raccontino”.
    La cattiva abitudine della nostra storia letteraria di classificare tutto per generi ha penalizzato moltissime forme espressive, quali la prosa poetica (di cui abbiamo grandissimi esempi nella storia della nostra letteratura) e ogni altra forma espressiva che, per qualsiasi ragione, esce fuori dai canoni.
    E’, quindi, vero che questo brano non può essere classificato come racconto (e tanto meno come raccontino) e che, da un punto di vista dell’editoria “commerciale”, è poco vendibile, ma è pur vero che, come ho detto, è capace di coprire quella zona d’ombra che spesso la nostra abitudine a canonizzare lascia scoperta.
    Per questo motivo un lettore attento, non abituato a pretendere il primo livello di lettura dato da una trama accattivante e spesso vuota di contenuti, trova in questo brano soddisfazione e pienezza, dovuti proprio alla commistione di generi che riesce a definire perfettamente una situazione non altrimenti definibile.
    Grazie ancora.
    Patricia

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  5. bello. mi era sfuggito. grazie della segnalazione.
    e meritevole di riflessione il fatto che – siccome il panorama politico italiano – la testa si sbilanci a destra…

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  6. Racconto, “raccontino” (inteso come racconto breve…), prosa poetica, flusso di coscienza, poesia: forse è preferibile dire *scrittura*. Ci sta dentro tutto, anche quello che ancora non è stato catalogato, incasellato. Purchè sia onesto, onesto fino in fondo.
    Ciao, e grazie ancora
    Stefania

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