P.P.P.
Le stimmate nel nome
tre volte peccatore
senza innocenza colpa dentro il cuore
la morte del fratello,
lengua d’arcadia e monti e venti
e corpi imberbi
ed era torbido sangue pulsione
bambinelli,
era sangue e dolore, addolorata madre,
e rime, riasseverate antiche
a propiziare un io spaurito con
le polemiche da retore roventi
-oh, il rivoltoso barocco manierista
d’accatto alle baracche-
l’eden e l’inferno dei poveri sgomenti
fra le poltrone da cinema velluto
in quelle notti, febbrili notti romane,
notti di occhi innocenti da violare.
Morte era morte è morte
spina nel cuore,
sbocco di sangue a una costrutta icona
già combusta, ora e allora.
Sull’arenile la rosa,
quella aulente,
troppo vicina al sale
non fosse l’onda pietas, pace pura.
Viola Amarelli
A pierpaolo pasolini
pierpaolo non posso
stasera scrivere di te
ora devo dire
dei clandestini che affondano nel mare
commercio disumano
vite-mercescaduta scempio
genti condannate a non esistere
dall’abisso divorante di sabbia ed acqua
ma più abissale ancora
in questo tempo
di sviluppo tecnologico globale
la contraddizione
che uniti vede gli aggettivi
global e diseredato
che opposti vede i sostantivi
libertà e perduto
la morte non è sempre assassina
un angelo protegge i senzavolto
affondano nel mare clandestini
ma diseredati alla coscienza
tornano seppur sconfitti
la storia è loro
Rosaria Di Donato
Vocalizzi
Ma tale lietezza, che ti fa cantare in voce
è un ritorno dalla morte: e chi può mai ridere -…
Pasolini
La verità è qualcosa
che sentiamo dentro,
quando viene fuori
già non c’è più.
Comunque sia
chi è in amore
non legge i giornali
e ha sempre pronta
una spiegazione.
Il Poeta come
un gatto in calore
fuori tutta la notte,
la Cantante che
rimanda il disappunto
all’indomani, mentre
presiede ai soliti
vocalizzi, che irti
e limpidi si levano
sotto il sole africano.
Abele Longo
Per puro piacere
Non lo so se Pasolini voleva essere sepolto a Casarsa
Se poteva svuotarsi di un sorriso mentre nuotava nel fango
Non lo so se due bandiere rosse ci sono nella tomba
Stese come lui sul bagnasciuga
Tra la merda dei piccioni
E miliardi di granelli di sabbia
È un altro male questo
Fermo a ridosso delle piante
Con un cane che piscia
Sopra al manifesto di un convegno
Anche nella biografia è scritto
Nato a, vissuto a, scrisse
Ma c’è un regno sottovento
Del quale non so niente
Ci vorrebbe un cane da tartufo
e qualche fiore non solo sul balcone
senza radici nel cemento
la mattanza delle lucertole continua
apre a nuove costellazioni
passa come la morte di un gregario
e la notte dal cielo le stelle non cadono
è mezzogiorno, si mangia
un amore è pulito solo quando nasce
e poi alla fine
sembra la vita
o la stessa cosa
Carmine Vitale
![p-giotto[1] p-giotto[1]](https://neobar.org/wp-content/uploads/2009/10/p-giotto1.gif?w=748)
![img_4979af3d9901f_verybig[1] img_4979af3d9901f_verybig[1]](https://i0.wp.com/neobar.net/wp-content/uploads/2009/11/img_4979af3d9901f_verybig1.jpg)
![005pierpaolopasoliniemariacallasinafricainunafotodeglib1[1] 005pierpaolopasoliniemariacallasinafricainunafotodeglib1[1]](https://neobar.org/wp-content/uploads/2009/10/005pierpaolopasoliniemariacallasinafricainunafotodeglib11.jpg?w=748)
![vangelo_quesada[1] vangelo_quesada[1]](https://neobar.org/wp-content/uploads/2009/10/vangelo_quesada1.jpg?w=748)
quattro voci (e che voci!) che andando ben oltre il “semplice” omaggio, riescono a continuare una narrazione del contemporaneo che trascende le stesse parole,
Pasolini medium dunque e non fine
“pierpaolo non posso/stasera scrivere di te” (rosaria di donato)
perché il post dicendo di Pasolini, dice di noi tutti
(“-oh, il rivoltoso barocco manierista / d’accatto alle baracche-” (viola amarelli))
del filo di amore / morte:
“Morte era morte è morte” (viola amarelli)
“la morte non è sempre assassina” (rosaria di donato)
“È un altro male questo
Fermo a ridosso delle piante” (carmine vitale)
“Ma tale lietezza, che ti fa cantare in voce
è un ritorno dalla morte” (abele longo)
“Comunque sia
chi è in amore
non legge i giornali” (abele longo)
“un amore è pulito solo quando nasce
e poi alla fine
sembra la vita
o la stessa cosa” (carmine vitale)
infine
pietas (“non fosse l’onda pietas” ancora viola amarelli)
e se non bastasse ancora:
“vocalizzi” (abele longo) “per puro piacere” (carmine vitale)
così ho letto i vostri versi molto intensi (ho scelto quelli che rappresentano per me gli ancoraggi, versi a mio avviso bellissimi, ma altri molto belli in tutti i testi)
grata che ci siano voci come le vostre.
Un caro saluto a tutti, grazie.
"Mi piace""Mi piace"
Bellissime. Bravissimi.
PS: aoh!! Però, mi avete lasciato solo!…. (scherzo)
PVita
"Mi piace""Mi piace"
Grazie Margherita – grato a te, per le tue analisi attente e puntuali.
Grazie Pasquale – e’ cominciato tutto con la tua Heimat e ho tutte le intenzioni di continuare, mandami tutto il Pasolini che vuoi 🙂
buona domenica
Abele
"Mi piace""Mi piace"
Che bello entrare qui! Vien voglia di piantare tenda!
Un GRAZIE che abbraccia tutti per questo splendido dono!
"Mi piace""Mi piace"
Quattro voci in armonia per uno splendido omaggio.
"Mi piace""Mi piace"
Ringrazio a nome della banda 🙂
Antonella sei di casa, altro che tenda :))
Patricia, l’armonia si crea grazie a chi ci legge; penso di continuare con formazioni varie, aspetto il duetto Ferni/Ninette, ho in mente un altro duetto e un quartetto…
SE AVETE DEI TESTI ISPIRATI A PASOLINI, MANDATEMELI. CI FA BENE RICORDARLO…
Abele
"Mi piace""Mi piace"
abe,grazie in un giorno già triste altro dolore per la scomparsa di Alda merini
c.
"Mi piace""Mi piace"
quattro brani d’intensità strappata alla morte.
l’ultimo, poi, in particolare, m’è parso entrare in risonanza ventriloqua con pasolini.
compliments anche per l’incentivo ad una comunione mnesica, preziosa visti i tempi di tifo binario.
"Mi piace""Mi piace"
La Terra di Lavoro
Ormai è vicina la Terra di Lavoro,
qualche branco di bufale, qualche
mucchio di case tra piante di pomidoro,
èdere e povere palanche.
Ogni tanto un fiumicello, a pelo
del terreno, appare tra le branche
degli olmi carichi di viti, nero
come uno scolo. Dentro, nel treno
che corre mezzo vuoto, il gelo
autunnale vela il triste legno,
gli stracci bagnati: se fuori
è il paradiso, qui dentro è il regno
dei morti, passati da dolore
a dolore – senza averne sospetto.
Nelle panche, nei corridoi,
eccoli con il mento sul petto,
con le spalle contro lo schienale,
con la bocca sopra un pezzetto
di pane unto, masticando male,
miseri e scuri come cani
su un boccone rubato: e gli sale
se ne guardi gli occhi, le mani,
sugli zigomi un pietoso rossore,
in cui nemica gli si scopre l’anima.
Ma anche chi non mangia o le sue storie
non dice al vicino attento,
se lo guardi, ti guarda con il cuore
negli occhi, quasi, con spavento,
a dirti che non ha fatto nulla
di male, che è un innocente.
Una donnetta, di Fondi o Aversa, culla
una creatura che dorme nel fondo
d’una vita d’agnellino, e la trastulla
– se si risveglia dal suo sonno
dicendo parole come il mondo nuove –
con parole stanche come il mondo.
Questa, se la osservi, non si muove,
come una bestia che finge d’esser morta;
si stringe dentro le sue povere
vesti e, con gli occhi nel vuoto, ascolta
la voce che a ogni istante le ricorda
la sua povertà come una colpa.
Poi, riprendendo a cullare, cieca, sorda,
senza neanche accorgersi, sospira.
Col piccolo viso scuro come torba,
in un muto odore di ovile,
un giovane è accanto al finestrino,
nemico, quasi non osando aprire
la porta, dare noia al vicino.
Guarda fisso la montagna, il cielo,
le mani in tasca, il basco di malandrino
sull’occhio: non vede il forestiero,
non vede niente, il colletto rialzato
per freddo, o per infido mistero
di delinquente, di cane abbandonato.
L’umidità ravviva i vecchi
odori del legno, unto e affumicato,
mescolandoli ai nuovi, di chiassetti
freschi di strame umano.
E dai campi, ormai violetti,
viene una luce che scopre anime,
non corpi, all’occhio che più crudo
della luce, ne scopre la fame,
la servitù, la solitudine.
Anime che riempiono il mondo,
come immagini fedeli e nude
della sua storia, benché affondino
in una storia che non è più nostra.
Con una vita di altri secoli, sono
vivi in questo: e nel mondo si mostrano
a chi del mondo ha conoscenza, gregge
di chi nient’altro che la miseria conosca.
Sono sempre stati per loro unica legge
odio servile e servile allegria: eppure
nei loro occhi si poteva leggere
ormai un segno di diversa fame – scura
come quella del pane, e, come
quella, necessaria. Una pura
ombra che già prendeva nome
di speranza: e quasi riacquistato
all’uomo, vedeva il meridione,
timida, sulle sue greggi rassegnate
di viventi, la luce del riscatto.
Ma ora per queste anime segnate
dal crepuscolo, per questo bivacco
di intimiditi passeggeri,
d’improvviso ogni interna luce, ogni atto
di coscienza, sembra cosa di ieri.
Nemico è oggi a questa donna che culla
la sua creatura, a questi neri
contadini che non ne sanno nulla,
chi muore perché sia salva
in altre madri, in altre creature,
la loro libertà. Chi muore perché arda
in altri servi, in altri contadini,
la loro sete anche se bastarda
di giustizia, gli è nemico.
Gli è nemico chi straccia la bandiera
ormai rossa di assassinî,
e gli è nemico chi, fedele,
dai bianchi assassini la difende.
Gli è nemico il padrone che spera
la loro resa, e il compagno che pretende
che lottino in una fede che ormai è negazione
della fede. Gli è nemico chi rende
grazie a Dio per la reazione
del vecchio popolo, e gli è nemico
chi perdona il sangue in nome
del nuovo popolo. Restituito
è cosi, in un giorno di sangue,
il mondo a un tempo che pareva finito:
la luce che piove su queste anime
è quella, ancora, del vecchio meridione,
l’anima di questa terra è il vecchio fango.
Se misuri nel mondo, in cuore, la delusione
senti ormai che essa non conduce
a nuova aridità, ma a vecchia passione.
E ti perdi allora in questa luce
che rade, con la pioggia, d’improvviso
zolle di salvia rossa, case sudice.
Ti perdi nel vecchio paradiso
che qui fuori sui crinali di lava
dà un celeste, benché umano, viso
all’orizzonte dove nella bava
grigia si perde Napoli, ai meridiani
temporali, che il sereno invadono,
uno sui monti del Lazio, già lontani,
l’altro su questa terra abbandonata
agli sporchi orti, ai pantani,
ai villaggi grandi come città.
Si confondono la pioggia e il sole
in una gioia ch’è forse conservata
– come una scheggia dell’altra storia,
non più nostra – in fondo al cuore
di questi poveri viaggiatori:
vivi, soltanto vivi, nel calore
che fa più grande della storia la vita.
Tu ti perdi nel paradiso interiore,
e anche la tua pietà gli è nemica.
PPP
"Mi piace""Mi piace"
Grazie Donatella!
"Mi piace""Mi piace"
Bellissimo questo coro di voci unite per cantare il ricordo, la vita di uno dei nostri più acuti intellettuali. Grazie per l’intensa proposta e un saluto a tutti, Lucianna Argentino
"Mi piace""Mi piace"
Grazie Lucianna e un caro saluto anche a te
Abele
"Mi piace""Mi piace"
È vero. Anch’io provo gratitudine nel leggere versi di tale potente significato. Quattro voci e un filo conduttore unico dove conduzione è un punto, perché Pier Paolo, lo ha segnato… da dove partire o ripartire, tornare, andare, pensare, sentire, amare. Bravissimi.
(Antonella, la tenda prendila grande…)
"Mi piace""Mi piace"
Grazie Doris e a presto leggerti.
Abele
"Mi piace""Mi piace"