“Un modo speciale di r-esistere lo ha trovato Silvia Rosa nel suo esordio poetico che riferisce del tentativo inesauribile di rimanere appigliata a terrestri radici di senso/ incerta nostalgia di un Altrove, percorrendo il baratro per raccontarcelo, lucidamente. Si tratta di un languore originario che si fa domanda poetica immedicabile e muta promessa. Così i versi di Silvia Rosa sono una cronaca del giorno a venire, della conta dei passi che servono per uscire dal fondo di sé per farsi Sola Voce. Il verso chiama una profonda cura del dettaglio e dello stile così come una parola piena, contundente e circolare che si fa carne nuda: il mio Corpo cede peso all’Anima/ e cambia di significato e di sostanza/ nello spazio del discorso/ si appunta come un segno nero/ a margine. Ecco che la nudità diventa la possibilità di decifrare con la pelle la scrittura e il segno del mondo: resta come un coagulo che si distingue dall’anima e accede al Senso.”
Alessandra Pigliaru
(NELL’) ASSEDIO
Il battito asciutto della fuga
quando restavo immobile,
l’attrito con cui di trasparenze
innocue in una farsa
(mi) sprofondavi
nella culla -fredda- del mio nome,
a strapiombo su me stessa,
quando chiamavi l’ora
al crocevia di una domanda
d’ordine e nervatura tesa
ed erano coriandoli
al suolo appiccicoso
i miei passi inconsistenti
il fiato che si condensava
in brina di silenzi
mi si fosse incrinata appena
la corsa a spasmi di terrore
fossi caduta in un vortice turchino
che mi avesse scoperta
una falda affilata di dolore
un brano acuto di voce
-almeno uno- da infilare all’occhiello
come un bottone ricucito al varco
tra le mie ginocchia
tra l’asola stretta della bocca
tra gli schizzi di pioggia sporca
-non (c’)ero-
non c’era dove andare
nell’assedio che fin nel midollo
mi facevi tremare.
ISTRUZIONI PER L’USO
Spogliami lentamente
sfilami prima il nome
poi il cuore
in ultimo strappami via la mente.
Ricorda di starmi sulla pelle
in verticale
premendo come peso a piombo
tra le cosce sullo sterno
aderendo bene al solco vivo
del volto.
Ondeggia sempre dalla parte
opposta alla mia direzione,
non cedere alla tentazione
di un rotondo abbraccio
mantieni la tua forma
la linea nera di demarcazione.
Chiudi sempre ogni porta:
si capisce che se scappo
tu non puoi restare
del resto non si è mai vista
un’Ombra
senza nulla da macchiare.
(OVULAZIONE)
Odio
questi tre giorni incagliati
nel frusciare greve
del mio mondo
quando garrule
le voglie a schegge
mi distraggono
dal suono bianco-avorio,
granitico, della ragione.
E’ l’ottusa diligenza del mio ventre,
che increspa languida la melma
del suo silenzio vegetale,
terra
avida di pioggia, molle di rugiada
scossa, dopo il temporale.
COME UN BOCCIOLO D’ETERNO
Non c’è vento nella notte
quiete troppa, una cortina di silenzi
tessuta insieme di rami secchi
-i miei occhi- e gesti
che scavano l’ombra, fino alla
radice, l’unica, che mi cresce
in grembo di senso -in senso-
come un germoglio minuscolo di luce
tersa, ché non distinguo più il Cielo
dalla Terra dal mio passo dal
ventre che cova le ore dentro
e divarica il tempo tra le cosce
rifiorendomi ogni inverno di freddo
come un bocciolo d’Eterno
sfuggo ribelle alla tua fossa
e in punta di piedi mi sporgo
sull’orlo teso della mia carne
spiccando immobile il volo, (da) ferma,
oltre me stessa, per ritrovarmi
in un’altra tomba di luce
persa, ché non distinguo più il Cielo
dalla Terra dal mio sonno dal
ventre che cova piccola una morte dentro
e spalanca all’Infinito -violandola-
la fessura accennata del tempo.
(MADRE) NOTTE
(Mi) sogno la notte
in un circolo schiuso
di linee spezzate
-ore minuti secondi-
rotaie all’Infinito
che non squillano -abbracci-
di arrivi e partenze svuotate
stridono, è un precipitare nell’incubo
rincorrendo(mi) immobile
(di) attese.
(Mi) addormento
nel ventre del buio
la (mia) notte dentro
si apre sembra piangere latte
dal bordo di ogni singhiozzo
di (un) tempo -amaro-
madre che non (mi) nutre
-(ti) sono al centro-
ogni sogno che inghiotto
è il sussurro stravolto
di sponda che chiama al riposo
che non (mi) accoglie
inutile fuggire l’alba
è un passaggio a livello
fantasma di ruggine che si (s)compone
nel giorno, che (si) impone
in coincidenza del corpo -una torsione-
la (s)veglia il (rin)tocco
(un) cambio (di) direzione:
e (mi) accarezzo da sola
(al)l’argine di me stessa –io–
la meta.
MADONNA DOMESTICA
Rinasco
in un vo(l)to di silenzio
all’alba
-mi si appannano i sensi-
Madonna domestica
(mi) prego me stessa
allo specchio
la mia Chiesa affollata di luce
è una finestra nel vuoto
chiusa
sul riflesso di me
che non sono.
da Silvia Rosa, Di sole voci, LietoColle, 2010
“Da un lato l’offerta sacrificale (“L’incavo del derma / che si irrora di piacere / sulla crina / ti offro, amore, alla tua mano”) e dall’altro lato l’urgenza – anche metafisica – di una trascendenza (“dormendo infine il sonno delle piante / che palpitano frasche verso il Cielo / e si piegano nel tronco, appena, / a godere del vento che le arrota / inanellandole / e si diramano di frutti gemme e voglie”). Per confutare questa tesi basta leggere “(In) Sintesi d’assoluto” dove, in due sole strofe, Silvia Rosa sintetizza, mirabilmente, il senso di questa silloge e il leit motiv della sua poetica. Ma le occorrenze si moltiplicano a vista d’occhio: la “sola voce” come pensiero e il “solo corpo” come peso. Quando Silvia Rosa dichiara: “il mio corpo cede peso all’anima”, sta semplicemente esponendo un sussulto, uno spasmo, una vibrazione sotto forma di peso e di pensiero. È più pesante il pensiero o il corpo? Questo non ci è dato saperlo. L’importante è che il peso attraversi quella “pausa” ( “si appunta come un segno nero / a margine, / nel bianco di una pausa”), quell’intervallo – necessariamente atemporale – ove conferire senso ai sensi, quel buco ove il “finito” mette in mobilità la sua finitezza, ovvero l’infinità che è caratteristica precipua del supplemento letterario, al solo scopo di conferire, per così dire, un nome proprio alle fratture che qui vengono, pedissequamente e lucidamente, disseminate.”
Enzo Campi
Frammenti del quotidiano che la scrittura ricompone e dispone in una geografia dell’io, in un universo dove il femminile si libera nei suoi tramonti e nelle sue albe; insegue i suoi “segni” e i suoi riti, si fa “Madonna domestica” . Si tratta tuttavia di un percorso in continuo divenire, un flusso inarrestabile, misterioso e sfuggente, in cui l’io si trova ad essere spettatore/testimone attonito e consapevole allo stesso tempo.
Abele
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Non dico niente.Sono in attesa.Aspetto che nell’asse della voce maturi un dio o un demone e il suono si innesti in tutte le ramificazioni dell’aria.f
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silvia è poeta densa di idee e di disciplina, una grande sincera donnartista..
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Sono molto contenta di leggere qui del lavoro di Silvia. Credo di aver già detto tutto in questi mesi di collaborazione ma un augurio speciale lo vorrei fare anche qui, a Silvia e alla sua ricerca.
Un abbraccio a te Abele.
Colgo l’occasione per salutare Fernanda e Roberto.
Volevo anche aggiungere che le foto (sia della copertina che interne al libro) sono della bravissima Giusy Calia 🙂
Alessandra*
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“Di sole voci” è intessuto questo itinerario poetico che l’ autrice intona a testimonianza di sé, del suo essere donna, creatura, scrittrice. Non sappiamo se abbiano maggiore consistenza gli eventi reali o quelli del pensiero, ma la poetessa è contesa tra entrambi i piani di appartenenza e lei stessa (ri)vela (s)coprendolo il peso della sua anima.
Rosaria Di Donato
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Lascio anche qui i miei siceri complimenti a Silvia;)
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Brava Silvia (ti ricordi di me a Benevento?). Le tue e quelle di Mastropasqua sono le poesie che ho apprezzato di più al meeting Lietocolle. Sarà per la risonanza.
PVita
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Tasselli che vengono a comporre un mosaico del quotidiano su cui l’io lirico proietta schegge del sé. Ciao!
Teresa
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Caro Abele, ti ringrazio moltissimo per le parole che hai dedicato a Di sole voci, e per averne ospitato qui qualche frammento (la scelta dei testi non poteva rappresentare meglio l’opera nella sua interezza).
Questo libricino segna il mio esordio, e quindi sono emozionata e anche un po’ spaventata al pensiero di come possa essere accolto, e mi fa strano, sai, quando lo tengo fra le mani, ché certe volte pur essendo qualcosa che sento appartenermi profondamente, mi risulta estraneo, come avesse una vita propria (mi auguro che sia vita felice, come quella di certi nomi che si pronunciano lentamente, e che si amano a lungo, nonostante la sbavatura d’inchiostro che colano le loro imperfezioni -la difficile dizione del limite, che cresce in punta di lingua-).
Colgo l’occasione di ringraziare ancora una volta Alessandra ed Enzo, per la cura con cui hanno letto i testi, restituendoli limpidi e rinnovati nell’originale interpretazione che entrambi ne hanno dato, svelando il Senso, a partire da un’indagine dei vari significati condotta con estrema sensibilità e attenzione. Grazie anche a Giusy Calia, per le splendide foto che sono diventate il vol(t)o colorato che abita tra le pagine la tonalità inquieta di Corpo (come) stanze e Cielo, e che dice il filo rosso appena (in)visibile con cui ogni poesia si tiene stretta all’altra.
@Fernanda: attendo anch’io e nel silenzio spero sboccino d’Azzurro parole da inghiottire in un respiro e che la voce, la voce cresca matura come un frutto da cogliere -dolceamaro- per saziare questa fame di lettere nere, ché mi macchiano le labbra, e non sono mai abbastanza e stanno in quell’altrove di me bianchissimo, che (mi) traspare a volte in una specie di sorriso -muto di denti-.
@ Roberto: grazie di esserci, sempre :-)))
@Rosaria: la mia gratitudine per aver letto. E per questo tuo saper(mi) dire -un delicato lavorìo di bisturi, il tuo, a snudare carne tra le pieghe del (mio) pensiero-.
@Vincenzo: sei sempre molto gentile, ti ringrazio!
@Pasquale: certo che mi ricordo di te! Solo che in quel di Benevento ero agitatissima perchè per la prima volta in vita mia dovevo leggere in pubblico, perciò non sono riuscita a parlare quasi con nessuno! Grazie per questo tuo commento, veder associato il mio nome a quello di Mastropasqua nella tua lista di gradimento è un onore, ché considero Gianpaolo bravissimo (e oltretutto anche un caro amico).
Spero di incontrarti di nuovo, più tranquilla, così magari riusciamo a dirci due parole :-))
@Teresa: grazie per la lettura e per averne lasciato un segno con questo tuo gradito commento.
Un caro saluto a tutti 🙂
Silvia
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Arrivato oggi il libro.Inizio da lunedì anche se già l’ho sbirciato.Sono in un periodo di svuotamento.Devo allontanarmi dalla scrittura, e ho già acquistato una decina di libri….Sono porprio da neuro! Quanto prima,ciao,ferni
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proprio da neuro! Di nuovo ciao,ciao,ferni
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Silvia cara,
“(Madre) Notte” dopo “(Madre) Notte”, all’altare di notti che t’allattano di un Infinito cieco e sordo- pur sempre Infinito, ma deflagrato- ti guardo solcare incubi, rincorrere sogni. E non sai dove andare, Madre di Te stessa [ perché devi salvarti! ] -e soprattutto Figlia. Figlia di Te stessa [ perché devi salvarti due volte! ]; e ancora Madre che sceglie di non nutrire, o non riesce tanto è denutrita dentro, nel regno dove non E’…
Il tuo Io a pezzi.
“Madonna domestica”, Tua Madre ha bisogno di Te. Non farla aspettare, ché fra un po’ il sole non sarà più insaccato. Sorgerà col tuo negarti a un nido di luce.
No, aspetta… La Madonna che preghi in Chiesa vuole inverdirsi di un Eden gravitazionale. Può essere la grazia di chi vive quaggiù?
“In coincidenza del corpo -una torsione- […] / (un) cambio (di) direzione:…”
Ora il flusso abbacinante della luce addenta la notte.
Sei tu quella luce, Rosa.
Tu sei la meta.
*
Bellissime, dolorose poesie…
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Cara Nina, mi accorgo solo ora del tuo commento, scusa!
Ti ringrazio moltissimo per le tue parole, e non aggiungo altro.
Sai. Leggendo (mi) hai svelato tutto.
Un abbraccio
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