Ippolito Chiarello: Fanculopensiero – Stanza 510

 

Ippolito Chiarello

Maksim Cristan è croato, ricco e affermato. Un giorno lascia la sua Beretta Chevrolet ad un semaforo, con il motore acceso, e se ne va. In un albergo: stanza 510. Lascia che i suoi cellulari si scarichino e si ferma a guardare il soffitto: fanculo. Fanculo pensiero. Poi va alla stazione, prende il primo treno per Milano e si mette a vivere per strada. E per strada scrive. Scrive della decisione di mollare tutto, dei suoi incontri, delle sue donne, di una vita che non vuole più – per niente – essere come prima. Anche il protagonista dello spettacolo, interpretato da Ippolito Chiarello, apparentemente è ricco e affermato. Anche lui un giorno lascia la sua Beretta Chevrolet ad un semaforo, con il motore acceso, e se ne va. In un albergo: stanza 510. Ma c’è un problema: la stanza 510 non c’è. Lo spazio in cui agisce il personaggio è un rettangolo dal vago sapore di pista da ballo. Questa è la sfida – o l’esperimento – cui il personaggio dà vita: mette in scena in maniera quanto mai letterale tutti gli oggetti e i mobili di questa ipotetica stanza, la abita nei minimi dettagli, la evoca e con essa anche gli altri personaggi utili al suo esperimento, che altro non è che il gioco crudele di mettere in scena la sua vita, quella da cui vuole scappare, quella che lo ha portato fino alla stanza 510 e quella futura, che può solo immaginare. Fanculo a se stessi, fanculo al proprio personaggio, fanculo al ruolo. L’esperimento è una discesa feroce dentro se stessi, a cercare risposte nel fondo del fondo, fino a rischiare di perdersi totalmente e fino, ineluttabilmente, a trovare altre domande e poche risposte. Lo spettacolo tenta una via per analizzare il desiderio di fuga ormai così violentemente connaturato nella contemporaneità. Mette di fronte ai tanti che vorrebbero andarsene a fan… l’esperimento di uno che ci prova e che usa i mezzi classici della rappresentazione per rappresentare e presentarsi le alternative possibili. Il personaggio principale si spinge fino al limite del non ritorno ma fallisce. Qualsiasi nuovo ruolo indossi ha lo stesso sapore del cappotto di classe con cui è entrato nel teatro/stanza 510.
Simona Gonella
http://www.frisella.it/index.php?option=com_content&task=view&id=2408&Itemid=27

Tratto da “”Fanculopensiero” (Lupo Editore 2006 ; Feltrinelli 2007) di Maksim Cristan

La cultura? Ho deciso di scappare con lei

Da sempre si dice, e i manuali riportano, che il “carrozzone artistico” non può viaggiare da solo e non può sostentarsi “vendendo” i propri frutti direttamente al consumatore. Si dice che l’impresa culturale per sopravvivere deve essere sostenuta dall’intervento dello Stato. Una volta c’erano i mecenati, ora ci sono gli “assessori alla cultura” (quando ci sono). La cultura deve essere assistita. Che brutta immagine se ridotta a questa esemplificazione! Meglio sarebbe dire che la cultura, essendo un bene primario per l’umanità, come l’acqua, deve essere “garantita” e, come l’acqua, non privatizzata. Belle parole. La verità è che tutto questo è solo proclamato in una babele di discorsi ufficiali, ma raramente applicato. Sono convinto che i più pensino che del “cibo dell’anima” si può anche fare a meno.

Io credo che più che continuare a “parlare” e disquisire sul senso e l’importanza della cultura, sulla cui fondamentale opera spero non abbiamo dubbi, dovremmo analizzare perché le parole non sono seguite dai fatti. Un po’ di concretezza vi prego. E’ abbastanza semplice rispondere, se pensiamo al nostro famigerato Salento: la figura dell’assessore alla cultura (in carne e ossa) difficilmente riusciamo ad incontrarla, non c’è, o almeno non c’è stata fino ad ora e se c’è stata è durata poco e ha avuto poca incisività e assolutamente poco coraggio e competenza. Un esempio pratico: se ho il terreno e non ho il contadino, non posso coltivarlo. A volte è successo che c’era il terreno e che a coltivarlo è stato messo un pompiere (per dire un mestiere a caso, con la speranza di non aver centrato la professione di qualche assessore). Dunque, oltre alla mancanza dell’assessore, quando questo c’era, a parte qualche rara eccezione, non aveva gli strumenti per pensare e progettare una politica di intervento culturale, in quanto non addetto ai lavori, e per favore che nessuno mi venga a dire che trattasi di un requisito non necessario. Per essere ancora più chiari, si trattava di persone che, con l’attività pratica delle arti (espressione infelice ma efficace), non aveva a che fare. Altro caso di cui abbiamo tutti avuto esperienza: a decidere sono dei funzionari, funzionari che vogliono essere curatori, direttori artistici. Con tutta la buona fede che possono avere, i funzionari non sono stati eletti dal popolo e non dovrebbero avere quella mansione. Certo, c’è la politica di mezzo e non sono un ingenuo che insiste nell’ignorarlo. Ci sono i giochi e le spartizioni politiche. Mamma mia, che brutte parole. Ma se è solo la politica a determinare alcune scelte e non si avvalora la qualità e la competenza specifica delle persone che devono scegliere e decidere per noi un indirizzo culturale… il problema non si risolverà mai, e questo naturalmente riguarda ogni campo della gestione pubblica.

In alcuni casi i sindaci e i presidenti hanno preferito, per vari motivi (quali?) non nominare assessori alla cultura e a mantenere per sè la delega alla cultura, ma non investono in un’idea e un indirizzo di cultura. Non hanno una visione. A pioggia dissipano con piccoli interventi che rimangono poco incisivi e non aiutano neanche i singoli attori culturali a sopravvivere, figuriamoci a crescere. A dispetto della sua apparente marginalità, spesso la cultura diventa uno strumento efficace per ottenere altro, per negoziare un potere, e per assicurare visibilità.

Mi prendo la responsabilità, ancora una volta, di denunciare un modo di fare comune in molte parti del nostro paese. Parlare, parlare, parlare… Quanti discorsi di assessori e politici ho ascoltato, quante promesse, quante illusioni! Sono stato anche io convinto che alcuni avrebbero potuto cambiare qualcosa… e poi…neanche rispondono al telefono o alle mail… Neanche leggono i progetti o le proposte che arrivano loro. Signori dovete organizzarvi, attrezzarvi perché “dovete” essere capaci di ascoltare tutti ! è parte del vostro lavoro, siete lì per quello!

Allora, io mi dico, la questione sta forse nel cominciare a dire “no” alle azioni delle persone che deleghiamo a gestire la nostra vita pubblica, a coloro che parlano senza essere in grado di costruire un pensiero dell’anima.

Il mio mestiere è quello di fare l’attore e lavoro, credo di poterlo dire, con grande onestà e professionalità. Mi sono in questi anni impegnato anche nella formazione che reputo fondamentale per l’auspicata crescita culturale della mia terra. Ho deciso di vivere al sud estremo e di lavorare qui, nonostante tante offerte che mi avrebbero portato fuori. Sono una persona fortunata perché, grazie a Dio, non ho mai conosciuto giorno senza la dignità di un lavoro. Ho avuto e continuo ad avere grandi riconoscimenti e soddisfazioni, sempre fuori e lontano da questa terra, ottenuti con grande fatica e in solitudine. Oltre che sulla scena nazionale, insisto a voler lavorare sul territorio locale. Prima di chiedere alle istituzioni e ai privati, e sperare di avere ascolto, so che devo essere preparato, devo costruire una base solida che mi consenta di poter dire sempre la mia, malgrado spesso il mio punto di vista sia scomodo. Questa è la mia filosofia. Ma questa è una terra che non riconosce il lavoro svolto e che costringe, ogni volta, a ricominciare da capo e non parlo solo di me.

Credo che le istituzioni debbano avere la capacità di monitorare e capire chi su questo territorio fa impresa culturale seria (e di queste realtà ce ne sono diverse) e chi, semplicemente, bleffa. E’ una vera anomalia: tante persone, anche accreditate, sembrano indifferenti a questa caduta libera della proposta culturale. Eventi, solo eventi. Il processo, la ricerca, lo studio, dove sono? Chi li promuove? Anche i giornali hanno eliminato “la recensione”, “l’opinione”. Eppure abbiamo delle magnifiche “imprese culturali”, anche piccole esperienze, singole azioni straordinarie e, ancora una volta, non sto parlando di me. Esempi virtuosi di lavori nati qui che devono essere scoperti e valorizzati: manifestazioni teatrali, cinematografiche, musicali, di arte figurativa che, nonostante siano di oggettivo valore e interesse per lo sviluppo del territorio, ogni anno rischiano di morire, di scomparire per la cecità della politica. Ogni anno bisogna ripartire da zero. E non si tratta di carenza di risorse, o almeno non solo di quello. Adesso più di prima, dalle piccole alle grandi manifestazioni, quando mi chiamano per fare un lavoro, mi dicono:…’però sappi che non ci sono soldi’… come andare in un bar e dire: mi dia un caffè, buono mi raccomando, ma non ho soldi per pagarlo. In Italia, e al Sud in particolare, l’impresa culturale non ha ancora la stessa dignità di una qualsiasi atra attività…artisti…che cosa fate per vivere???!!! Spesso siamo legati all’iniziativa dei privati, quando ci sono, e questo è anche giusto ed è una fortuna che ci siano, ma signori assessori e politici, guardatevi intorno per piacere! Che peccato, che spreco!

Molte volte mi è stato consigliato di stare zitto, di evitare, perché ‘altrimenti poi vieni segnato, non ti fanno lavorare. Accetta, chiudi gli occhi. Non ne vale la pena’. Ma stiamo scherzando? Se chiudiamo la bocca per questioni legate all’arte è chiaro che farlo per questioni come la mafia sembrerà addirittura logico. Estremizzo, perché credo e sento chiaramente che non esiste più un’opinione pubblica. Non c’è l’indignazione, c’è solo rassegnazione e questo anche in chi fa cultura. Le parole rassegnazione e cultura stridono. Molti si sono arresi, o se continuano a fare parte della schiera degli operatori culturali, lo fanno senza “affondare il colpo”, come timbrare il cartellino. Molti decidono di partire.
Basta con i paroloni e le filosofie, bisogna fare “la rivoluzione”. E’ necessario ritornare a fare veramente questo mestiere “sporcandosi le mani”, ritrovare il senso della costruzione. Bisogna ritornare, o finalmente cominciare, a fare Politica, non necessariamente nei palazzi, ma attraverso il proprio lavoro.

Per questo io sono tornato per strada. Cerco di ritrovare un senso e non mi arrendo. Ho deciso di vendere il mio “lavoro” direttamente al pubblico, senza filtri, e ribellandomi ad un sistema ormai paludato, senza scappare dal sistema, ho deciso di scappare con la cultura. Ho un prezzario e la gente mi paga per quello che vuole sentire. Spero che questa mia piccola azione possa servire da stimolo a creare una coscienza vigile, educata all’importanza di “nutrirsi di versi”. E che sia la sintesi emblematica della condizione di un artista oggi. Questa mia azione sta diventando quasi un caso nazionale, mi chiamano i giornalisti, gli operatori e ho ormai una vera e propria tournée per questo mio ‘servizio’, anche all’estero.
Io ormai, come tanti, diffido delle dichiarazioni dei politici, anche se riconosco che bisogna dare sempre fiducia a chi inizia un nuovo lavoro. Simona Manca, la neo eletta assessore alla cultura e vice presidente della Provincia, io l’ho incontrata, solo per presentarmi e farle sapere che esisto, senza chiedere nulla. Almeno lei mi ha ricevuto. Un passo avanti l’abbiamo fatto?
Non so cosa riuscirà a fare, le sue dichiarazioni sulla cultura come “volano dello sviluppo economico locale” sono certamente condivisibili. Io spero e mi auguro che si riesca a concretizzare, che si spinga oltre la logica degli eventi, che sappia guardarsi intorno e voglia farsi aiutare da chi opera sul territorio nel campo culturale, per capire che cosa bolle in pentola in tutti gli angoli di questo immenso Salento. Perché per operare bisogna pensare e saper progettare, bisogna conoscere e avere il “coraggio” di fare delle scelte. Bisogna saper chiedere ed essere predisposti all’incontro e all’ascolto. La conferenza provinciale sulla cultura è stata sicuramente un ottimo strumento per questa prima ricognizione delle risorse culturali del territorio. E’ un punto di partenza, poi dovranno seguire i fatti e le scelte. E allora Buon lavoro e In bocca al lupo a tutti.

Ippolito Chiarello

nasca teatri di terra

info@ippolitochiarello.it


8 risposte a "Ippolito Chiarello: Fanculopensiero – Stanza 510"

  1. Ho avuto modo di assistere allo spettacolo di Ippolito Chiarello a casa di Silvia Ruggeri (mia figlia, quattro anni e mezzo, ricorda quella serata come la più bella delle sue vacanze). Ma può succedere di imbattersi nel suo spettacolo un po’ ovunque, lo ha portato e lo porta in giro per l’Italia (solo ultimamente, con l’estate, si è concentrato soprattutto nel Salento). Si prepara inoltre per un tour in Europa; meta di riferimento Berlino, dove vive Maksim Cristan, l’autore del libro da cui Fanculopensiero è tratto, e anche perché Berlino, dice Ippolito, riconosce ancora all’artista una sua importanza e dignità. Di Ippolito ho grande stima sia come uomo di teatro (ho avuto la fortuna di assistere alla messa in scena di una mia pièce curata e interpretata da lui) ma anche come intellettuale e uomo di cultura. Piuttosto che aspettare e sperare nelle istituzioni o nel mecenate di turno, ha deciso di portare il teatro per strada, nei posti più impensati. Ha diviso Fanculopensiero in diverse parti che non necessitano di un ordine preciso e ha dato un prezzo, alquanto simbolico, ad ogni parte, anche se ognuno può comunque contribuire a suo modo (in un carcere femminile, le detenute hanno datto in cambio delle loro performance teatrali). Un Diogene che carica tutto nella sua macchina e va, che manda affanculo tutto un certo modo di concepire la cultura e l’arte e tutto quello di cui un po’ tutti facciamo fatica a farne a meno.
    Abele

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  2. caro Abele,

    mi fa molto piacere che Neobar dia spazio a questo spettacolo, ospitato a casa mia con grande gioia e un po’ a scatola chiusa. Ero decisa a vederlo quanto prima proprio dopo la lettura della nota “La cultura? Ho deciso di scappare con lei”. Ho anche assistito alla vendita dello spettacolo off a Melpignano e allo spettacolo completo a Lecce presso la Masserie Miele. Lo spettacolo merita, Ippolito Chiarello merita. L’attore-artista, mentre recita rivolgendo le spalle al pubblico, è capace di far ascoltare le sue parole al pubblico come fossero pensieri che emergono dall’anima di chi lo ascolta. Non so se sono stata chiara, ma il video disponibile al seguente link http://www.facebook.com/video/video.php?v=1368192484635&ref=mf sarà più chiaro di ogni mia parola.
    Un carissimo saluto a te e alla tua famiglia, Silvia

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  3. Più che chiara, Silvia. Grazie per il link. Un abbraccio da tutti noi e a presto.
    Abele
    P.S. Su youtube si possono trovare diverse tappe dello spettacolo. Vorrei inoltre segnalare due video, uno che raccoglie momenti del lavoro di Ippolito per il cinema e un altro in cui e’ protagonista di un video dei Sud Sound System:

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  4. Un luminoso led nel panorama autorale italiano di nicchia.
    Sinossi curiosa e desueta nella dinamica dello svolgersi, quasi fosse tinta di un drama-giallo, laddove aleggia costante l’ineluttabile presagio del convogliarsi in un finale suicida. Maffanculo, perchè poi farci crepare? Crepino “loro”, quegli ufficializzati Dei appartenenti ad una nomenclatura “a gettone”, oggettivamente tout-court, di zero rilievo umano-culturale; quegli stessi che ci inducono ad inventarci soffertissime ipotesi di gesti irreparabilmente inconsulti. Ippolito alla fine immerso nell’ asettica oggettualità della stanza ridondante di metafore, capisce, ed è patrimonio per tutti, averlo ancora non solo in stato vegetativo, qui con noi a bestemmiare perbene.
    Ciao Ippo, very compliments!
    g

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