Poetry Lab: Maria Pina Ciancio

 

 

Maria Pina Ciancio

 

Da dove viene la tua poesia.
Da tante cose. Non sempre i motivi che ci inducono a scrivere sono esaurientemente elencabili e chiaramente consapevoli. Potrei dire, per tentare di rispondere in qualche modo alla domanda, che  il filo conduttore della mia scrittura nasce innanzitutto dall’incontro con la Lucania, cioè con quella “terra” del sud affascinante e magica e al tempo stessa terribile e arcaica, dove dalla Svizzera sono ritornata bambina all’età di circa sette anni.

Per chi scrivi, come immagini il tuo lettore?
Non scrivo mai per un fine. Per me la scrittura è un modo di stare al mondo, un fatto mio (privato) innanzitutto; tutto ciò che ne consegue (condivisione, riconoscimento, identificazione) è un valore aggiunto, di cui ringraziare ed essere riconoscenti.

Come vivi, con te stessa e con gli altri, il tuo essere poeta?
Oggi con (conquistata) serenità, da giovane con la lacerante consapevolezza interiore della marginalità e dell’esclusione.

Come hai iniziato?
Ho iniziato alle soglie dell’adolescenza. Ricordo tra le prime composizioni una poesia giovanile sulla luna, dalla chiusa fortemente pessimistica. Fu il mio professore di filosofia a leggerla, ad apprezzarla, a consigliarmi la riflessione e il superamento dolente ed esistenziale che ne caratterizzava gli ultimi versi.

Come ti veniva insegnata a scuola la poesia, che ricordi hai?
Non ho ricordi particolarmente nitidi legati alla scuola. La passione per la poesia è nata in territori altri; un’esperienza personale e intima, completamente anarchica direi.

A chi fai leggere per primo i tuoi versi.
Quasi mai a nessuno.

Usi la penna o il computer?
Scrivo rigorosamente a mano: biro nera e comunissimi fogli bianchi. Ho bisogno di intimità quando scrivo e al computer disperdo l’ispirazione.

Quando viene di getto o è frutto di lunghe elaborazioni.
Non credo nell’estemporaneità della parola. La poesia è sempre frutto di un fermento e di una lunga riflessione interiore, seppure appaia di getto.

A parte le tue, quante poesie di altri pensi di ricordare a memoria?
Pochissime, ma sicuramente più quelle degli altri che le mie. Mi sono rimaste particolarmente dentro alcune terzine dall’Inferno di Dante.

Un consiglio prezioso da passare agli altri.
L’onestà della parola, nient’altro. Per il resto credo nel dialogo costruttivo e nella condivisione.

Un poeta su tutti.
Non saprei. Da giovanissima avrei detto Withman e Lee Masters. Ho amato la poesia americana con la stessa ardente passione di Pavese e Campana. Poi, pian piano sono arrivati gli altri, la poesia europea ed italiana e infine i poeti del Sud. Non si può vivere qui, senza aver fatto i conti, prima o poi, con quelli che sono stati i nostri padri “spirituali” della terra.

(San Severino Lucano, 19 ottobre 2010)

*

[…]

Nei nostri paesi di notte

quando il vento si alza

e lo spazio di gomma si dilata

siamo cani randagi così deboli e soli

che anche l’amore

è uno schiaffo nel buio

che lascia le dita e assedia il paese

Qualcuno stanotte è fuggito

con lo sputo aggrumato alla gola

qualche altro è rimasto

tra i silenzi allineati e orizzontali

della piazza.

Sotto l’orlo della luna

ci lecchiamo ferite             come i cani

gli occhi arrossati e il fiato (ancora) caldo

cercando il sonno complice

solo per dimenticare

(2003)

*

Solo andata

I cartelli stradali sono tutti uguali stanotte

e puntano dritti alla confluenza del Sinni

unica salvezza che separa dall’attimo

un viaggio di sola andata

una via di fuga               forse

una morsa sfilacciata dalla resa

Lungo strade mezzevuote

il vento arruffa il pelo delle capre

e rallenta la corsa verso casa

dove senza sentenza attendono gli affetti

silenzi imperfetti

incapacità di muoversi

                                         a volte

fianco a fianco

Il riparo atteso della notte

(lungo il Frido, 2007)

* 

[…]

Il riparo dall’errore

è un melo ancora acerbo

sotto l’orto di mio padre

che smorza l’eco prematuro

dell’estate

e le bestemmie di Biagio

che spacca già la legna

per l’inverno.

In quell’ombra scucita

la sosta è dura e verticale,

ci sono volti smemorati,

figli sognati e battezzati

con la brocca dell’acqua di mia madre

Lo sguardo è altrove

                                       [sempre

e pure i gesti, goffi a volte

contenuti dentro storie altre

nel nodo circoscritto di un pensiero

(2006)

Testi tratti da “Storie minime” e una poesia per Rocco Scotellaro, Fara Editore, 2009

Maria Pina Ciancio di origine lucana è nata a Winterthur (CH) nel 1965. Trascorre la sua infanzia tra la Svizzera e il Sud dell’Italia, dove attualmente vive coniugando la passione per l’insegnamento a quella per la poesia e la scrittura. Viaggia fin da quand’era giovanissima alla scoperta dei luoghi interiori e dell’appartenenza, quelli solitamente trascurati dai flussi turistici di massa, in un percorso di riappropriazione della propria identità e delle proprie radici. Ha pubblicato testi che spaziano dalla poesia, alla narrativa, alla saggistica. Tra i suoi lavori più recenti ricordiamo Il gatto e la falena (Premio Parola di Donna, 2003), La ragazza con la valigia (Ed. LietoColle, 2008), Storie minime e una poesia per Rocco Scotellaro, Fara Editore, 2009 (Premio Tremestieri Etneo 2009). Suoi scritti e interventi critici sono ospitati in cataloghi, antologie e riviste di settore, tra i più recenti Orchestra (a cura di Guido Oldani) Ed. LietoColle, settembre 2010. È presidente dell’Associazione Culturale LucaniArt e su internet cura uno spazio laboratoriale sul romanzo e la poesia in Basilicata http://lucaniart.wordpress.com/


28 risposte a "Poetry Lab: Maria Pina Ciancio"

  1. I poeti del Sud sanno creare da sempre polifonie struggenti, che vengono da lontano, dai viaggi e dalle maliconie di chi da sempre parte e ritorna. Hanno il privilegio di un cielo che dell’anima pretende di cogliere ogni sfumatura.
    Grazie Mapi.
    Abele

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  2. Trovo nei versi di Maria Pina Ciancio un misurato lirismo che conferisce ai paesaggi, ai sentimenti, alle situazioni un’aurea di delicata concretezza. La poetessa lucana, di rara sensibilità e di profonda apertura, racchiude nei confini del suo territorio poetico molti fermenti ed istanze non legate, esclusivamente, al Sud.

    Un caro saluto,

    Rosaria Di Donato

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  3. Quando leggo i testi di Maria Pina trovo sempre una porta spalancata su due stanze e su una di queste c’è anche il mondo che s’insinua o si presenta, con la voce dei randagi, o del vento, con la forza della neve o del sangue. Ci sono fortissime escursioni emotive,temperature delle emozioni che sono febbre o lo zero del marmo. La sua parola sa essere calma,ma anche rapida o ripida, non si è certi di arrivare al limite del paese che percorre come al limite di se stessi, perché, sempre secondo me, Maria Pina mette la collettività e l’individuo davanti a sé, il proprio male è il male della terra e viceversa la rigidità della montagna diventa il rigore interiore di chi non sperpera forze e parole. Sempre un viaggio, quello della sua poesia, tra l’arcaicità che ogni società conserva e il sogno del futuro, mantenendo il seme di una viva umanità. Grazie ad Abele e un bacio a Mapi.
    ferni

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  4. I versi di Pina e l’anima sua molto bella è uno dei tesori del nostro Meridione. La sua parola mi regala sempre forza e guardando l’orizzonte non mi sento mai solo. Bella l’intervista. Vera nella sua minimalità

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  5. non posso dire altro che, tempo fa, curai la copertina per il suo delizioso LA RAGAZZA CON LA VALIGIA, Edizioni LietoCollo di Como, e che, per lei, nutro stima e ammirazione anche in considerazione del comune AMORE verso la parte sana del Sud..

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  6. Mi piacerebbe ringraziarvi tutti personalemnete, ma lo faccio in modo collettivo, con un abbraccio che sia luce per ciascuno di voi. Grazie della condivisione, dell’affetto e delle belle parole. Un saluto particolare lo rivolgo ad Abele, che mi ha offerto la possibilità di questo spazio per raccontare e condividere la mia esperienza di scrittura. Mapi

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  7. Sento i versi di Maria Pina intensi e struggenti. Veramente la parola nasce e diventa pietra, incancellabile. E’ fiera la posizione dell’autrice di approfondire e far conoscere il Sud con il bagaglio di scrittori importanti che, a volte, non conosciamo. Memorie che si trasmettono (la brocca di mia madre, l’orto di mio padre), l’autrice si sofferma e assapora dentro di sè per poi restituircene la sensazione. Complimenti sinceri.
    Gabriella

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  8. Le risposte di Maria Pina Ciancio sono oneste, sentite, vere, da me pienamente condivise: “la mia scrittura nasce innanzitutto dall’incontro con la … “terra” del sud affascinante e magica e al tempo stesso terribile e arcaica”, “Non credo nell’estemporaneità della parola. La poesia è sempre frutto di un fermento e di una lunga riflessione interiore, seppure appaia di getto”. E addirittura commoventi allorché lei afferma: “Non si può vivere qui, senza aver fatto i conti, prima o poi, con quelli che sono stati i nostri padri spirituali.” In coerenza a tali premesse la sua “biro nera” non può che vergare, sui “comunissimi fogli bianchi”, Poesia: “quando il vento si alza / e lo spazio di gomma si dilata / siamo cani randagi così deboli e soli / che anche l’amore / è uno schiaffo nel buio”, “il vento arruffa il pelo delle capre / e rallenta la corsa verso casa / dove senza sentenza attendono gli affetti / silenzi imperfetti”, “Il riparo dall’errore / è un melo ancora acerbo / sotto l’orto di mio padre / che smorza l’eco prematuro / dell’estate.” Rinnovo a Maria Pina la mia stima e porgo a lei, ad Abele e a tutti un cordiale saluto, Marco Scalabrino.

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  9. i versi indispensabili di una poetessa transumante, trasumanar e organizzar, il magma che dilata le distanze esistenziali e aiuta gli altri poeti a farsi veri,in terra verginale ma difficile:fragile alle piogge, ai terremoti, all’abbandono – credo ,fermamente, che voci tanto belle e forti debbano coesistere con giovani generazioni disorientate sull’orizzonte che vive.

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  10. in questa poesia, almeno in quella qui modulata nei tre testi presentati, e nella intervista, l’incontro con un paesaggio di vissuto personale reso intimo, per / e in certi versisalvifico (ma non in un senso aulico altamente fine a se stesso, anzi molto terreno, mantenendo al contempo questi versi un misurato lirico elegante), come quella confluenza del Sinni ” unica salvezza che separa dall’attimo/un viaggio di sola andata”

    versi che ritornano al lettore la possibilità di una esitazione, all’interno del flusso trascinante e tumultuoso del divenire, la possibilità di un radicamento esistenziale, anche se: “In quell’ombra scucita
    la sosta è dura e verticale”, cmq la possibilità di un radicamento, per almeno un (piccolo?) “riparo dall’errore”, o “morsa sfilacciata dalla resa”.

    Grazie della proposta e delle risposte all’intervista!, grazie anche ad Abele

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  11. Complimenti per l’intervista, Maria Pina, che ho letto con vero piacere: emerge dalle tue risposte il ritratto di una poetessa in piena sintonia con la natura ed estremamente sensibile ai più delicati, perenni affetti umani. La risposa alla seconda domanda
    (“Non scrivo mai per un fine. Per me la scrittura è un modo di stare al mondo, un fatto mio (privato) innanzitutto; tutto ciò che ne consegue (condivisione, riconoscimento, identificazione) è un valore aggiunto, di cui ringraziare ed essere riconoscenti”)
    è una grande – nella sua disarmante semplicità – lezione etica su cui tutti dovremmo meditare.
    Belle le tue poesie; c’è un notevole descrittivismo che mi ricorda certe atmosfere (peraltro a me care) tipicamente lucane (il Sinni, la piana di Metaponto). C’è in esse la forza, il timbro sanguigno, vitale eppure scabro di questa terra – fortunatamente, ancora in parte – incontaminata. Sicché “il melo acerbo”, “la brocca dell’acqua”, “il pelo delle capre arruffato dal vento”, “lo sputo aggrumato alla gola”, “la bestemmia di Biagio / che spacca la legna” disegnano quadri di potente realismo, costruiti con un linguaggio essenziale, privo di ornamenti, quasi ancestrale, pierrano, non filtrato dall’artifizio letterario; ne è un esempio il frequente raddoppiamento consonantico di molte parole da te adoperate che traducono giustappunto questa pregnanza della parola, questa forza di cui essa è depositaria; parola che, più che mai, si fa strumento linguistico di disvelamento “dei luoghi interiori e dell’appartenenza”, come pure scrivi.

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  12. un tema di questa poesia ,che mi sembra apparire con evidenza riguarda il rapporto con il proprio ambiente, con il proprio territorio, come un ritorno ad un tempo arcaico primitivo , e questo tempo ha anche la funzione di un riparo.
    Ma ci vedo anche una frattura (mitica, arcaica) tra il proprio vivere
    e l’ambiente scabro circostante, che la poesia limpidamente approfondisce.

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  13. Trovo una profonfa assonanza tra la parola poetica e il mondo interiore di Maria Pina Ciancio, segno di una fedeltà a se stessa e alla parola poetica. Mi ritrovo nel suo sentire la scrittura come un modo di stare al mondo, nella lunga gestazione che una poesia ha nell’animo del poeta prima di uscire (più o meno) di getto e nel preferire carta e penna… Un abbraccio, Lucianna

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  14. è circolare la tua poesia, poetessa dell’onestà, si conclude (e conchiude) contenendo nel verso, che ne rappresenta l’anima, trasparenze e sonorità che giungono, nitide, al fruitore….
    è ampio il respiro e l’abbraccio.

    bellissimi versi quì presentati….

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