Poetry Lab: Simonetta Bumbi

 

by Simonetta Bumbi

Da dove viene la tua poesia?
innanzitutto io non lo so se è poesia. io sento che lo devo fare, e tutto esce di getto. poi vado a rileggerlo e mi dico: l’ho scritto io? poi altri hanno letto ed hanno detto: che bella poesia. oppure: che schifo di poesia. ecco, sono gli altri che le chiamano poesie, le cose che scrivo. io non lo so. l’unica cosa che so, è che tutto ciò che scrivo viene dalla strada ed esce dall’anima, un’anima dolorante, schiacciata, ma che sa curarsi da sé. ecco, come una pustola, che per guarire si deve incidere per far uscire, la mia anima si incide e fa uscire.

Per chi scrivi, come immagini il tuo lettore?
ho sempre scritto per me. praticamente mi parlo da sola da una vita.
difficilmente lo faccio per qualcuno, ma è qualcuno o qualcosa che ispira i miei sensi, ed alla fine trovo necessario farli uscire. e che poi dovesse leggermi qualcuno, come problema, non è mai nato. io parlavo scrivendo. ricordo che da ragazza avevo un diario, un quaderno per l’esattezza, in cui l’esordio era sempre: caro zio enrico…
non so chi fosse questo enrico, e tantomeno non avevo zii con quel nome. indubbiamente la solitudine m’ha sempre condizionata. ho inventato persone, vite. ed anche la mia. l’unica cosa di reale è stata ed è il dolore. anche quando scrivo d’amore o di cose belle. provo dolore. è un parto. una colica. vado avanti ad antispasmina.
se devo pensare al lettore, non scriverei più, perché subentrerebbe la mia timidezza e questo condizionerebbe la mia spontaneità. e la spontaneità è quella bellezza che hanno i bambini, così semplici sì, ma così complicati perché sanno mettere in imbarazzo gli adulti. l’adulto vuole sentirsi dire solo ciò che gli aggrada, e se non rientri nelle sue corde ti ignora o ti isola. da questo penso che il mio lettore è proprio quello che mi ignora, ma solo perché vive in prima persona, forse, ciò che io scrivo, ma non se lo vuole dire…

Come vivi, con te stessa e con gli altri, il tuo essere poeta?
male. con me stessa male, e con gli altri ancora peggio. è facile dire: ma allora perché pubblichi? bella domanda. io la risposta non ce l’ho, ma so che non è per orgoglio o per premiarmi psicologicamente. ho discusso parecchio prima di decidermi, che poi non sono stata io a decidere, ma qualcuno ha insistito ed io l’ho fatto contento. certo, non posso negare che ora è piacevole averlo in mano, e non finirò mai di ringraziare l’editore, però trovo questo una vanità, ed io non lo sono. forse mi castigo. vammi a capire. io mi dico che tutti possiamo essere tutto, ma non per tutti vale la stessa cosa. ancora devo capire io che potrei fare, o cosa sono. con gli altri è ancora peggio perché mi vergogno, e siccome mi sottovaluto, trovo tanta difficoltà a rapportarmi. e poi c’è un guaio, e cioè che sono sincera, e non tutti si vogliono sentir dire. allora mi sto zitta. e se stai zitta, non c’è rapporto. quindi, scrivo.

Come hai iniziato?
per farmi capire, devo dire. il mio tutto era la mia famiglia: noi tre. non frequentavo nessuno, tranne Lui, dopo averci fatto pace. la mia vita era tutta casa famiglia e lavoro. poi solo lavoro. poi un casino, ed alla fine il vuoto. ho trascorso anni tremendi. da qui il silenzio totale ed incominciai a postare ciò che scrivevo sui siti per avere un contatto con l’esterno.
quindi a scrivere, come dicevo prima, lo faccio da sempre. poi, le negatività si sono accanite, ed ho incominciato a scrivermele in forma breve, e quelle cose brevi gli altri, quelli dei siti, le hanno definite poesie.

Come ti veniva insegnata a scuola la poesia, che ricordi hai?
ora farò incazzare qualcuno, ma per me non veniva insegnata per niente. era un obbligo palloso, stare lì ad imparare a memoria centinaia di righe. e poi, ma a un bambino o a un adolescente, pensi che fregasse qualcosa che la donzelletta veniva dalla campagna?
 
A chi fai leggere per primo i tuoi versi?
a nessuno, tranne, quando era vivo il mio amico patrizio, a lui, ma perché lui era me (quindi nessuno), e dopo avergli letto non diceva nulla, e si passava ad altro. ora che non c’è più, sempre a lui, ché continua ad ascoltare tutto, di me. io lo so. lo sento.

Usi la penna e/o il computer?
che bella la penna di una volta! e la carta, e le macchie che lasciava l’inchiostro sulla pelle e mentre scrivevi ti pulivi, ma era solo per riflettere su ciò che scrivevi! ora sono cambiate anche le penne, e allora scrivo sul computer.

Quanto viene di getto o è frutto di lunghe elaborazioni?
una percentuale? cento percento di getto. tutto esce e non lo posso fermare. è sangue. è come il flusso mestruale, e lui mica  lo puoi bloccare con un tappo. quando è tempo, lui va, e così fa ciò che sento.
mi dico sempre: si può tornare indietro nella vita? no. e allora perché dovrei elaborare ciò che l’anima detta in quel momento? ecco, ecco quello deve rimanere così com’è, perché quella è la verità nuda, è quella vera. è la crema dell’anima. è essere se stessi con se stessi. è me, senza vincoli né veli. e allora tutto resta tale e quale alla nascita, e correggo solo gli errori di ortografia, ma nemmeno sempre. e lo so, sono difficile anche per me stessa…
 
A parte le tue, quante poesie di altri pensi di ricordare a memoria?
le mie? perché, le mie brevità sono poesie? quindi qui non ho risposte.
invece se parliamo di poesie dico, e senza vergogna, di non ricordarne nessuna a memoria, forse qualche verso di un paio, ma le emozioni di tante lette le ricordo tutte. 

Un consiglio prezioso da passare agli altri.
vivere intensamente, tutto. sempre e comunque, perché è nella vita vissuta che ci sono le cose più belle da leggere, anche se sono brutte. e non rinnegare mai, ché rinnegare è volersi cancellare la vita e dalla vita. e se uno cancella, poi, che rimane di scritto?

Un poeta su tutti.
non posso dirne uno. ne posso e voglio dire quattro.
carlo mieli e luigi romolo carrino, perché ci sono, perché li ho toccati (la pelle sono i miei occhi) e con loro ho toccato e tocco la poesia, quella che esce dalla carne, e non solo da quella propria, ma quella sofferta anche dagli altri, quella di chi ha tanto da dare ma non se lo caga nessuno perché il mondo va così e allora ti danni, e scrivi poesie dannatamente belle. 
charles bukowski e pier paolo pasolini, perché ci sono stati e se ne sono fregati, continuando ad essere se stessi.
a tutti e quattro li lega la strada. e la strada, è la mia terra.

simonetta bumbi

***

quando qualcuno, ci nasce

e non è sesso quello che ti cresce fra le gambe

è parto e parte di te che non puoi frenare

perché ti senti tirare come bimbo

che s’aggrappa alla veste e non puoi

non puoi non volgerti

e lasciarti trascinare è seguire

l’istinto che preme e ti premi

mentre genufletti le idee

ed il cuore flette e rifletti come lampo

ma tuono ormai t’è esploso dentro e non vuoi

non vuoi tirarti indietro

ché sei avvolta da sindone e t’aspetti

il rospo da baciare e gazza da rubare

è semplice lembo di vita inespressa

che s’affaccia mentre ingoi ad anello

l’ultima speme della sua promessa

*

di notte e di note

in questa notte che mi ricorda

di ogni giorno in cui la mancanza

mi porta al giorno che è stato

e che mai più sarà,

è in questa notte stonata

che trovo la forza

di viverne un altro

perché mai si impossessi di me

l’abitudine di amarti

*

all’ombra del vento

ed è lametta l’ingoio che separa

ché nel vivere s’ammala l’incontro

se l’oggi scivola dall’altalena

come goccia da bocca di marmo

dopo pioggia, ed è tempo incompiuto

il sordo viaggiare del vento

ché un volto girato non s’accorge

di essere stato presente nel mentre,

e si mente come sale nell’acqua

la mente, nel suo naufragare di foglia

ché nel portare in porto la morte

s’allontana per amore dell’ombra.

***

Simonetta Bumbi, quando qualcuno, Edizioni Smasher, 2010
Prefazione di Alessandro Bertirotti

Cinquantacinque pagine di un’unica poesia. Un infinito canto quasi sempre dolente e sofferto di una lei verso un lui, dove non vi è spazio per altro che per loro due e per l’infinito dolore di lei.

Titoli che non sono titoli, ma piuttosto trait d’union tra una pagina e l’altra, per passare con l’occhio e con la mente da una strofa ad un’altra strofa.

In una totale assenza di lettere maiuscole, perché l’autrice non vuole che vi siano parole iniziali più importanti ed altre conseguenti o finali meno importanti (e questo è un suo stilema), si snoda una interminabile poesia nella quale si riconosce una indubbia originalità, rispetto alla classica impostazione di un libro in versi. E poi, una punteggiatura assai personale, quasi una non-punteggiatura che vorrebbe forse indicarci un altro modo di leggere un’altra, la poesia di Simonetta.

È un testo che andrebbe forse guardato e non soltanto letto, perché in questa osservazione si può cercare di comprendere i tanti interrogativi che si nascondono dietro a concatenazioni di parole che spesso appaiono incomprensibili. Proprio come si dovrebbe fare con gli esseri umani: osservati nelle loro emozioni e nei loro movimenti, piuttosto che valutati sulla base di quello che dicono.

Oggi più che mai è facile ingannare il mondo, dicendo cose prive di contenuti, semplici e virtuali esercizi di stile, senza nessun effettivo rapporto con la vita di tutti i giorni. Si tratta di parole che godono del privilegio di una vita autonoma, senza nessun collegamento con le azioni che le hanno originate, e gli uomini che le espongono paiono sempre più marionette in mano ad un acefalo ma pervasivo burattinaio spesso disumano.

Ma con Simonetta Bumbi non accade la stessa cosa, proprio perché le sue parole sono come macigni, pietre grandissime che, gettate nello stagno della vita quotidiana e normale di ognuno di noi, ci svegliano alla concreta afflizione di coloro che nella vita hanno sofferto e soffrono per amore. E come le persone, che vivono giorno dopo giorno cambiando opinioni e pensieri, anche questo libro è l’espressione di una intera esistenza, dove le poesie acquistano un loro significato solo se considerate nel loro insieme, e non singolarmente. Così, immagini surreali sono evocate da altrettante oniriche parole, assieme ai numerosi neologismi, o accostamenti verbali, che rendono più efficaci le immagini rappresentative del proprio sentire il mondo intero.

Attraversiamo in questo modo il mondo della Bumbi, dalle “scarpe senza lacci per vagabondarti” al “m’accandelo”, sino a giungere al “ci inseguimmo nelle valigie” con gli occhi che discutono fra loro.

Le ultime tre pagine sono le uniche che invece rientrano in una utile quanto discutibile “normalità espressiva”, e questo giunge come un planare di aereo verso terra, un recuperare la prosaicità della poesia, e forse questo avviene nel tentativo di recuperare la vita oltre il dolore.
***

simonetta nasce a roma il 28 settembre del 1958. prende il cognome bumbi dopo tre giorni. dopo ventidue anni ne prende un altro. e dopo quarantasette non si chiama più.
non ama le maiuscole, fanno la differenza fra tutto, specialmente tra le persone, ma le usa quando scrive di Lui (Dio).
per gli amici è simy: occhi di pelle, e pelle rivestita d’anima.
ha pubblicato altro, ma scopritelo voi, cosa, se vi va…


26 risposte a "Poetry Lab: Simonetta Bumbi"

  1. Simonetta Bumbi scrive per un’esigenza, un bisogno, un’abitudine di sempre. E comunque in questa sua prima raccolta di poesie emergono, inevitabile del resto, le differenze con la narrativa che conosciamo. Si tratta, come dice Alessandro Bertirotti nella prefazione, di un unico canto, su di un unico tema, l’amore: l’amore inscindibile dal dolore. L’amore come ricerca tenace di un “segno”, di uno squarcio che sappia donare luce, senso. Un guardare alla vita a viso aperto, con gli occhi dei bambini, a costo di pagarne lo scotto pur di non rinunciare alla vita stessa.
    Abele

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    1. è il sempre, che ha le sue abitudini, non io. e sorrido.
      caro abele, leggermi qui, e poi quel mio nome con le maiuscole, e sapersi dietro, che dietro c’è solo un semplice io, beh, mi mette un po’ paura. ma poi penso a mio padre, ed alzo la testa, e penso che il primo cognome è come l’amore, ché il primo non si dimentica mai, e allora lo faccio contento e trovo coraggio.
      e ti ringrazio, per averci ospitati.

      simy

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  2. la “nudità” con cui Simonetta si offre, il suo viaggio tra parole-esigenze è dono per il lettore
    è gioia per me sentire attraverso i suoi interrogativi i dubbi dell’animo umano
    Elina

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  3. non so se tempo addietro ho incontrato Simonetta, questa Simonetta, Bumby, appunto, in qualche sito di cui non ricordo più il nome, eppure mi sembra di ricordare di avere letto qualcosa di suo. Ora la trovo decisamente cambiata, se quella era la stessa di ora.Ma . Non fa importanza. Scrivere per necessità,lei dice, penso che tutti lo facciano alla fine per lo stesso motivo, tolti quelli che lo fanno per campare in senso vero e proprio, per mantenersi scrivendo intendo.Allora è ancora più evidente che si tratti di necessità.
    C’è però un nodo in questo modo di approcciare la scrittura che un legarla all’immanenza e poi, nel momento in cui cambia il vento, il fatto di non poterci più tornare e andare oltre, facendo un lungo giro,magari, e dopo tempo, molto tempo, ritrovarsi lì dal punto in cui si era partiti e …trovare un solco,magari largo, trovare un ramo secco o chissà che altro.
    Le è mai capitato?
    ferni

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    1. carissima ferni, la domanda se fossi io, credo tu me l’abbia già fatta e già ti risposi in privato su face, ma face si sa che è volatile e perde tutto. cmq io non sono del tutto sicura, ma ricordo una fernanda che con assiduità postava e commentava anche sul forum. se quella sei tu, allora io sono io 🙂
      ma giustamente come dici tu, che importanza ha?
      sì, sicuramente tutti lo fanno per necessità, che poi, aggiungo io, può essere anche di varie forme questa necessità, come ad esempio quello di apparire, chissà. sicuramente dietro c’è una frustrazione, un disagio esistenziale. io non nego di aver vissuto tanti disagi, però non mi sono mai posta il problema del perché di questa scelta medica. come terapia vocale per la solitudine ho usato le parole scritte, ma anche i colori, ché ho dipinto per anni e su tutto quello che mi capitava. però poi la psichiatra mi disse di vomitare tutto su carta, ed io ho preso questa medicina alla “lettera”.
      per quanto riguarda chi scrive per necessità nel senso di lavoro, beh qui non posso e non voglio entrarci. anche perché il discorso è nato dalla necessità intesa come bisogno scaturito al disagio. non che essere senza soldi non lo sia, ma è un discorso di un’altra pasta.

      bella la domanda finale, un po’ meno quel lei, che io dovrei essere tu. cmq ok e risponde prima lei.
      lei ti dice che la vita è una ruota e gira e ci rigiriamo, un po’ come si fa nel letto d’estate per trovare il fresco. io ti dico che scrivo proprio per non far seccare nulla, e quando ritorno trovo altre sfaccettature e magari delle voragini. e allora mi ci infilo dentro e vado a cercare le radici, per sentire e ritoccare la terra, ma senza modificare mai nulla. e l’attimo vissuto resterà sempre quello, ma potrò scrivere di altre emozioni, un po’ come i nostri volti, che col passare dell’età ha più rughe, ma resta sempre quello.

      cara ferni, perdonami se non rileggo. mi accorgerei degli errori e dei fuori tema. allora non lo faccio, e ti ringrazio per la clemenza che mi concederai 🙂

      grazie, carissima, e fammi sapere se sono io…

      simy

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  4. sì, sì, per quello che ricordo anch’io, che tanti anni sono passati e,ripeto, non ricordo più dove e quale fosse il forum, ma era, un foro e un centro di raccolta, per gente che scriveva allora e ancora,come ora, ne parlava con altri, credendo all’incontro, fosse anche in questa rete senza mare. Il lei,era riferito ad una Simonetta senza quel passato, ma mi fa piacere riusare il tu,è essere tornati sulle tracce di quei passi, cioè avere fatto quel lungo giro e avere visto che, quasi, non ci è mossi dai propri piedi se non con la mente che, a dirla tutta, proietta tante di quelle cose come in sogno e poi ci dice che son segni.
    Ti abbraccio e ancora grazie per aver risposto.ferni

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  5. la poesia di Simonetta non la conoscevo, e ora ringrazio Abele che mi ha dato modo di farlo.
    La sento vera, essenziale. Ha le caratteristiche del pane quotidiano e del sogno, insieme, come la vita porta e dice e segna.
    Sembra di leggere le parole che a volte si affacciano e compongono pensieri inafferrabili… e invece, eccole qua, fissate da una mente che le consegna al foglio, e da un’anima che le consegna allo spirito.
    grazie a entrambi
    cri

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    1. cara cri, leggere e leggerti, ché ti seguo spesso, mi fa sentire briciola di pane secco, altro che. vorrei poter interagire ed essere presente, ma non ci riesco, non riesco a, essere un essere. ma che bella cosa che hai scritto nel finale. grazie…
      simy

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    1. assolutamente sì, per l’imperfezione. ma per il resto poi mica ci ho capito molto. o forse a modo mio sì, ma non so se era anche il modo tuo. però mi piace il dubbio che mi hai lasciato, e ti ringrazio.
      ciao, confe…simy

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  6. Poesia come terapia ma che poi diventa anche arte maieutica, estrazione di pensieri assolutamente personali e antiretorici che possano guidare nella quotidianità della vita, poesie come utensili che lavorano il vivere nella sua complicata semplicità.

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    1. ho scoperto che le cose più semplici, per i più, sono quelle più complicate. mi si arriccia il cervello, a pensare di andare con lo zingarelli sotto l’ascella. e poi penso che, alla fin fine, sarà stata pure una palla la poesia a scuola, però che bella che era la semplice immagine della donzelletta che veniva da quella campagna. ora, non esiste più niente. nemmeno la campagna…
      grazie giancarlo, che sei stato qui.
      simy

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  7. “poi, le negatività si sono accanite, ed ho incominciato a scrivermele in forma breve”

    forse le parole diventano armi, stiletti brevi e affilati necessari a difendersi dagli attacchi delle negatività, ma simonetta dice “scrivermele” quindi le negatività non si vogliono combattere o eliminare ma si vogliono trasformare in parole che verrano conservate perchè ci appartengo o donate agli altri in forma di poesia. ciao antonella

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    1. chi si difende si accusa automaticamente. questo, mi diceva la mia cara amica suora. ora angelo insieme al mio amico patrizio.
      cara antonella, ero già lì lì. ora sono in pieno fiume.
      un abbraccio, e grazie, di.
      simy

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  8. caro abele, non ho mai parlato tanto con le dita, con tante persone.
    ora, ho bisogno, di tornarmi.
    ti ringrazio, e mi sorridi, lo so.
    ciao
    ciao a tutti.
    e il ti ringrazio, e anche per ognuno di voi.

    simy

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  9. ti sorrido, infatti, simy…
    perché porti serenità con la tua persona e con le tue poesie che come dice Giancarlo sono “utensili che lavorano il vivere nella sua complicata semplicità”, ovvero quello che cerchiamo nella scrittura, nell’arte; la ragione stessa per portare avanti un blog come questo.
    un grazie di cuore a tutti e a te, come sempre.
    Abele

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