
1.
è qui l’altrove del rantolo di fame
questo statuto che sa di Colosseo
verso i cani bastardi, randagi quanto
un dì del mese scorso. scorribanda
di eclissi starti accanto io che ti amo
oca di mamma guardarti nel passo.
dove ti ammacchi io so che mi ami
ugualmente lo stesso e senza ansia
bambina darsena col cerchio senza avaria di salto.
viadotto della cometa chiedere asilo
ai quartieri proletari dove i tarli ammucchiano
e le madonne scempiano. io spendo dio
per dirti del canile abbandonato al dolo.
i comatosi stanno zitti e i morenti urlano
come mio padre erto sulla fronte ubriache le guance
gli occhi spicchi di coltelli per la bramosia di pace
*
8.
non farò caso alla malia del timbro vuoto
la possibilità di essere chiunque
lo stallo di un ergastolo
la baraonda di un amante
oggi mi basta il fischio della fionda
la dura prova di chiudere a chiave
le inferriate delle lanterne vizze.
in coda all’alamaro della rotta
perdo la spugna per asciugare il sangue
acquisto le nomee di golfi senza attracco.
*
14.
scottature di calce questa manfrina
che gioca con i verginei sassi
a ribassare il suolo per far giocare
i bambini. in bilico sul manuale d’ascia
so imparare a fendere il palazzo
sotto le membra che scaldano i papaveri
do diluire un pugno da una carezza.
la forza del messere signore assente
comunichi col brano della preghiera
dica se può magnificare la rendita
della fortuna. con poche eclissi ci
sarà riguardo verso lo scempio
di perdere il viso.
*
15.
da tempo sta morendo la mia diaspora
quel fannullone intrigo che mi perseguita
in guisa di nullaggine giornata
sotto il gingillo della luce pavida
per un vernacolo d’inedia in far di spada.
D’Annunzio rabbrividisce perché guerriero
Pascoli mi ama perché usignolo
Pasolini m’incoda nel dolore.
la fame è sedata sugli scalini del metrò
dove chi corre è un manipolo d’ascia
un polo di preda per chi è vile
e mozza la cometa della malinconia.
un sudario di madonne l’idroscalo
dove finì la madre Pasolini
e la vergogna è un inguine di tram.
l’ultima uccisa è una bambina bionda
cipresso di se stessa per la felicità
di nascere appresso ancora appresso
una venia per la forca di rinascere.
poi si vedrà chi ha cervello d’anima
per accovacciare i morti resi bambini
in un brevetto di chissà qual senso.
*
17.
ho finito col domare il mio panico
a forza di bestemmie. in mano ad Alice
non ho visto nessuna meraviglia. semmai
la caviglia è sporca di fango a forza
di cammino. in straccio alla diaspora
la spora non porta fiore. vorrei
piangere la foga della vergine
quando quaggiù si giunge alla ventosa
altalena e si smorza l’amore ben comunque
futile. l’altalena l’andare fa conquiste
con le nuvole. in mano alla filandra credo
avvenga l’odissea del filo pagato
dallo sguardo. Domodossola la città
della villa di Contini. i grandi critici
si contano in un abaco di coma. è
finita la norma di credere al futuro
è tutto una blasfemia di torri in esuli
mattini. qui si accorcia la vita in una
mattonella di morgue. il sasso occiduo
non basta a giustificare la morte una nel
simbolo del semaforo verde.
qui l’acuta fandonia della stirpe
solitudine cruenta sulle spalle.
*
20.
a ridosso del muro la farfalla
non esce più. gli angeli dell’afflato stanno inerti
verso le tattiche di perdere la vita
nei gironi del plasma. immune solo resta
un cancelletto di siepe che Leopardi
prescrisse da maestro e fanciullo sommo.
in mano alla maestria del sillabario
nessuno è randagio ma domestico colto
dai vespri di capire la crisalide
che si ostina nel fantasma di farsi.
con il periglio di perdere staffetta
questa lunatica fiamma di sterpaglie
impigliate all’addendo di capire
perché giammai la fionda è così perfida
da uccidere uccellini da nido o appena evasi.
i cercatori nella mondezza hanno uncini
da far paura a chiunque si avvicini.
chissà che tempo intralcia il mio destino
sorpassato da eventi di costrutto
esule comunque nella pigrizia.
già tomba la nenia di capire
perché così sia valso il mio destino
stinco di atleta anima di grinze.
*
27.
nell’oasi che frantuma il dettato
sono partigiana. gioisco con il sì
della farfalla. le baraccopoli dell’ombra
attivano le coccole del vano.
in vena di cantuccio e molta nenia
le sillabe che fioccano la cantica
per dire le bravure del vulcano.
in casa della sciabola retratta
sta l’erba voglio si fa prendere da tutti
i giocolieri intrisi di vaghezza.
meringa la sorpresa della gioia
quando t’inchini all’impresa della gara
nell’ultima finestretta della torre.
*
28.
certi abusi stringono le ossa
verso il sudario degli asfodeli
le unghie intrise solo di vecchiume
verso la zattera del malcontento.
in verità vorrò stringere baracca
con l’unguento di dio il più bonario
così da ergermi felice. sono un rattoppo
con rischio di guasto appena la miniera
delle povere cose urta il mio gomito.
meringa del diaframma poter respirare
bene. culla di perigli l’andatura del pupo
che gioca a ballare. in tutta la sfinge
che riparte il mio zero sono elemosina
moria comunque uno stridio di crepe.
*
33.
qui ti fa gola il sillabario smunto
questo canuto antefatto del dado
quando lo tiri in aria soffia il numero
del tirassegno bieco. in meno di una nascita
ti volgi zitto pavone che non sa insegnare
la bella aureola di starsene guardato
da tutti gli astanti torno torno.
in mano alla domenica è strafare
finissimo ricamo di nonna analfabeta
dove non ride il gelo di cometa.
tu non piangi che fegati di cimasa
lassù le case eruttano bontà
per le rondini che girano in pericolo
di botto. così il paese è un sudario
smilzo. sotto il sudario che trabocca
libri per scarafaggi. ormai la casa di Pascoli
predice solo tarli. la tesi di Pasolini è andata
dispersa. così l’alunno spaccato dalle ruote
del cimelio di esistere la morte.
*
42.
l’istinto della forca è tra le dita
forsennato anemone albino
senza pietà snatura di cometa.
qui si gioca ad elemosine tardive
quando la madre è morta da caligine
e la civetta giura sopra il ramo
di difendere pargole le rondini.
era amuleto credere le gole
contro l’urlo della morte.
ora invece le gerarchie del fato
ridacchiano le onde che permettono
materne le darsene con le senili ronde.
donne d’epitaffio le madri indimenticabili
più che perenni. la mia fu un furetto fiorentino
imbastito con la lingua di Dante da piccolo.
di lei porterò l’acume e il brodo
insieme alle rendite dei fiori.
*
da Soqquadri del pane vieto (2010-2011)
***
Marina Pizzi è nata a Roma, dove vive, il 5-5-55.
Ha pubblicato i libri di versi: “Il giornale dell’esule” (Crocetti 1986), “Gli angioli patrioti” (ivi 1988), “Acquerugiole” (ivi 1990), “Darsene il respiro” (Fondazione Corrente 1993), “La devozione di stare” (Anterem 1994), “Le arsure” (LietoColle 2004), “L’acciuga della sera i fuochi della tara” (Luca Pensa 2006), “Dallo stesso altrove” (La camera verde, 2008, selezione), “L’inchino del predone (Blu di Prussia, 2009), “Il solicello del basto” (Fermenti, 2010);
***** [raccolte inedite in carta, complete e incomplete, rintracciabili sul Web: “La passione della fine”, “Intimità delle lontananze”, “Dissesti per il tramonto”, “Una camera di conforto”, “Sconforti di consorte”, “Brindisi e cipressi”, “Sorprese del pane nero”, “L’acciuga della sera i fuochi della tara”, “La giostra della lingua il suolo d’algebra”, “Staffetta irenica”, “Il solicello del basto”, “Sotto le ghiande delle querce”, “Pecca di espianto”, “Arsenici”, “Rughe d’inserviente”, “Un gerundio di venia”, “Ricette del sottopiatto”, “Dallo stesso altrove”, “Miserere asfalto (afasie dell’attitudine)”, “Declini”, “Esecuzioni”, “Davanzali di pietà”, “Plettro di compieta”, “Segnacoli di mendicità”, “L’eremo del foglio”, “L’inchino del predone”, “Il sonno della ruggine”, “L’invadenza del relitto”, “Vigilia di sorpasso”, “Il cantiere delle parvenze”, “Soqquadri del pane vieto”; il poemetto “L’alba del penitenziario. Il penitenziario dell’alba”];
***** le plaquettes “L’impresario reo” (Tam Tam 1985) e “Un cartone per la notte” (edizione fuori commercio a cura di Fabrizio Mugnaini, 1998); “Le giostre del delta” (foglio fuori commercio a cura di Elio Grasso nella collezione “Sagittario” 2004). Suoi versi sono presenti in riviste, antologie e in alcuni siti web di poesia e letteratura. Ha vinto tre premi di poesia. *****
Grazie a Marina per questa poesia densa e “spezzata”. L’essenza stessa è nel richiamo a poeti come Pascoli e Pasolini, nel tentativo di ricomporre, con lucido disincanto ma anche a livello affettivo, quel filo conduttore che parte dal primo e attraversa l’altro, di fronte allo sgomento per un presente in cui non ci riconosciamo.
Abele
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Molto bella. Grazie, Abele.
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è nell’essenzialità che viene contenuta la poesia…
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Marina Pizzi somma poetessa
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