C’è una tristezza a Praga che va oltre i carri armati, l’emergenza, i soldati sovietici e l’irredentismo passionale che si cela dietro le persiane chiuse delle strade vuote, vuote di gente e con le indicazioni stradali cancellate dalla vernice nera.
E’ la stessa tristezza profonda che c’era prima, prima di 3 giorni fa,prima di quando i carri armati russi hanno alzato le sbarre dei confini con la Polonia e sono entrati dentro, a centinaia, per ogni dove, sbarrando la vita tremula di un paese tremulo dalle passioni tremule compresse nell’anima.
Hanno trovato la tristezza, entrando, i 2600 carri armati russi che hanno alzato di prepotenza le sbarre dei posti di frontiera alle 4.30 della mattina del 22 agosto 1968.
La gente,come un sol uomo ( ma dove la tenevano tanta vernice?), hanno cancellato con spennellate ardite ogni traccia di toponomastica.
Tutte,tutte,tuttissime le indicazioni stradali,autostradali,cittadine, periferiche,non c’è più una freccia, un cartello, in tutta la Cecoslovacchia,un nome,un numero,un insegna,un indicazione: nulla.
Un paese senza kilometraggi,senza nomi di città,di villaggi. Niente più freccia : a 2 km. Stazione Ferroviaria. Niente più freccia: niente più : uscita per Praga.
Un posto senza nome è ancora un posto ?

Anche le pietre miliari, le piccole innocue pietre miliari sul bordo delle comunali secondarie sono cancellate.
Eppoi , dio mio!! come hanno fatto ad arrivare così in alto?Alte alte sulle autostrade, e agli imbocchi,agli svincoli,sparite quelle scritte bianche su campo blu-azzurro :
Freccia a destra: Flughafen Airport, CANCELLATO
Freccia dritta: Praha, CANCELLATO
Freciia a sinistra: Dobovitcke . CANCELLATO
Via i catarifrangenti ammiccanti anche di giorno. Tutto kaputt. Non ammicca più niente. Nada.
In 24 ore,forse meno, – un raptus collettivo solidale, comunicato ad ultrasuoni-, la popolazione intera di un paese ha cancellato con frenesia ogni riferimento logistico.
” Non ci chiamiamo perciò non esistiamo. Avete preso il nulla”
Tristezza. I fiori di Piazza Venceslav,e la foto della bambina uccisa, sotto il monumento, le candeline, le scritte, la locandina, i lumini.
Tristezza:I visi dei giovanissimi ( forse diciott’anni,massimo diciannove?) che spuntano dal boccaporto dei carri armati. Visi di bambini,biondi, con la melanconia delle pianure russe negli occhi. Bambini invasori in cima a carri armati enormi. Melanconia.
Tristezza. I visi dei giovanissimi praghesi che contestano i carri armati,la Russia,l’occupazione. Visi di giovani praghesi sfigati dalla nascita, con gli occhi grandi,dilatati,occhi che non hanno mai visto il mare,occhi consapevoli di vigliacchi destini, di futuri improbabili.
Tristezza. I trenta corrispondenti dei giornali esteri accosciati nella hall dell’Hotel Alcron che come corvi,come sciacalli, avvoltoi, attendono la notizia,il dramma,la tragedia, per sbranarla in cento lingue, urlando nelle tante linee dirette nei telefoni approntati per l’occasione giro giro il salone delle feste dell’Albergo. Non escono,chiedono a chi entra. Me lo porti questo rullino a Vienna!A Newsweek’ Dai, se passi il confine…
(Siamo entrati ieri ignari dalla Polonia attraverso la sbarra di confine alzata,abbiamo messo la freccia a sinistra,superandoli, gli ininterrotti giganteschi carri armati che entrano,entrano entrano. Adesso un trafelato ambasciatore arriva ed urla: ma perché siete qui,io da tre giorni ho già evacuato tutti i cittadini italiani ma perché siete qui. Noi ci siamo perche ci siamo,amico. Sembra chiederci perchéesistiamo,perché siamo vivi. Giò Pomodoro è con noi e fa il pugno chiuso. Smetti Giò,non fare il cretino. Noi ci vergogniamo di Gio Pomodoro che disegna falci e martelli sulla polvere del cofano della macchina..Ma dov’è la casa di Kafka? La casa di Kafka. Fuori smitragliano ma Giorgio indomito sfida il coprifuoco per cercare la casa di Kafka. Torna dopo mezzora pallido e trafelato. Già,per poco non gli sparano. Ma il giorno dopo….
Nella tristezza isolata di un solicino raso che disegna gli sfalzi delle pietre di via Baka cammina svelto rasentando i muri della strada vuota un signore che porta in mano una reticella con dentro dei panini e 2 aranci. ( sembra una scena del Dottor Zivago).Sussulta impaurito quando lo accostiamo ” Scusi signore dov’è la casa di Kafka?” gli chiediamo in un inglese ostrogoto.)
Fortuna iuvat audaces.
JAROSLAV D.,65 anni praghese,insegna letteratura italiana.
E’ solo,è preoccupato, ha una figlia andata dieci giorni fa Venezia a lavorare per la Mostra del Cinema. Vorrebbe mandare sue notizie ma telefoni e telegrafi sono bloccati, presidiati dai sovietici.
Parla italiano meglio di noi, ed è un kafkista totale, assoluto.
Altro che casa di Kafka!!Ci porta alla prima casa di K. Alla seconda casa di K. Al negozio del padre di K.(Alla terza casa di K e alla tomba di K. e al Museo K. ci rinunciamo. Troppo K. per un giorno solo in mezzo ai carri armati.)
La “ Città d’oro”sembra toccata da re Mida, tutta d’oro ma immangiabile, ininsufruibile, vista strisciando di muro in muro,chiusa,sbarrata,zitta. (italianski turinski diciamo ai ragazzini in divisa che ci sbarrano il passo, ragazzini col mitra e la stella rossa sul berretto).
Seduti con lui su una panchina mangiamo i suoi panini e la nostra cioccolata i suoi aranci e le nostre scatolette. Ci da indirizzi e telefoni delle figlie, a cui daremo sue notizie.

E ci dice dei versi di un giovane poeta suo amico: dolcissimi,lancinanti,stupendi. Li recita prima in ceco,con la devozione degli slavi per l’arte dei loro autori, con una di quelle voci slave attorcigliate nelle pause. Poi li traduce per noi,quasi un malore.
Petr Kral, il poeta,le sue parole-rimane un soffio di desiderio, vocaboli sospesi. Li c’è posto per la poesia? Si,lì c’è posto per la grande poesia, in quel cimitero di tensioni. Di carri armati coi malinconici soldati bambini. In una terra che non ha visto il mare. Sulla Moldava che è un fiume, ma così, a nominarla, sembra una canzone. Petr Kràl.
(scritto per Neobar l’11 novembre 2011 alle 20.59 dopo una cena deliziosa con Antonio in cui abbiamo parlato di calcio e di soldi, di soldi e di amore, di amori e di rapine, di amore e di poesia.)
nel più stridente dolore
nel più aberrante silenzio
c’è ancora la poesia
un respiro che resta oltre il respiro
cb
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questi pasti, dell’anima.
…
simy
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immensa Annamaria, la tua scrittura è racconto ma si offre in pause e rincorse e affanni che segnano il respiro della memoria, che solo la poesia sa tracciare come “una terra che non ha visto il mare”.
grazie.
nc
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Sono felice di questo commento di Natàlia Castaldi. A dimostrazione che la corrente della parola è più potente di qualsiasi ostacolo. Grazie veramente.
PVita
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gli affetti che si reggono sulle ginocchia della stima, sanno saltare gli ostacoli. Annamaria è un mistero ancora tutto da scoprire e gni suo pezzo pubblicato è un dono che fa bene all’anima.
grazie a Neobar e dunque a Pasquale per questa pubblicazione.
ad Annamaria, rinnovo l’invito a porte aperte su poetarum quando vorrà e sempre.
nc
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Grande impegno sociale , magnifica prosa temperata dalla poesia perchè l’ombra come vortice non si chiuda nel silenzio e nell’assenza…..,
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gioiello!
da rubare
c.
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Grazie a Pasquale per la proposta e ad Anna Maria Papi, che ci offre un altro suo testo penetrante dopo l’intervista su Carmelo Bene: http://neobar.wordpress.com/2011/02/06/quando-carmelo-bene-perse-il-lobo-per-un-morso-%e2%80%93-intervista-di-francesco-forlani-ad-anna-maria-papi/
Un viaggio in macchina che ci riporta indietro, nel tempo degli ideali, della vita vissuta come scoperta e che va oltre ogni barriera. Nel cuore di un’Europa lacerata, delle sue tante “case di Kafka”. Non a caso Kafka, non è stato un caso cercare il senso, un segno riconoscibile, una direzione da seguire, nell’autore che più di tutti aveva premonito la tragedia, Auschwitz, dove morirono la madre e due delle sorelle. Kafka perché non dà risposte e appartiene a noi tutti.
Abele
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