6 risposte a "Giancarlo Locarno: Mater Zaum’"

  1. Giancarlo, molto bello trovare qui questo tuo lavoro e in pdf, tutto benissimamente impaginato. Sono riuscita, stranamente (stranamente perché di solito tengo solo i testi e non ciò che ci scrivo su, così…)a ritrovare il canovaccio di quanto ti avevo scritto. Lo riporto, perché rileggendo, trovo che sia ancora quello che sento alla lettura, di prioritario, e immediato

    “Com’ “
    in principio il suono

    l’Om capace di inglobare l’unità maschile / femminile
    (il com’ che pronunci a proposito del sogno che ti trasforma in donna contiene l’om (l’uomo), ma anche il “come on” il (di) venire..

    l’Om che unisce
    ”la m sonora/[che]da il battito d’ala del sospiro”
    alla O cerchio, apertura, donna, vagina

    la O penetrazione fra due m “gobbe” (bellissimo il passaggio sulla parola cammello…)
    per un suono di “mamma” lallaby, battito di butterfly:

    “Il palato è la volta celeste del suono/custodisce l’oralità del quanto di mamma.”

    Quindi, in principio il suono, la “radiazione di fondo” per la ricomposizione non solo del mondo letterario, ma del mondo

    perché il mondo nei/dei suoni emerge dalla “grotta” – caverna- bocca
    (Platone,e con le dovute differenze Plotino)
    così com’ la lingua esposta, traccia:

    “Quello che dico esce dalla bocca.
    Quindi se dico: Gallarate!
    dalla bocca esce tutta la città
    con gli abitanti che si aggirano
    sulla piazza della lingua.”

    Questo l’inizio, poi
    poi il viaggio (il circolo): “Siamo un fatto umano”

    E allora l’immagine di questo tuo ottimo lavoro per me è quello della Grande Madre rappresentata in certe incisioni rupestri:

    un cerchio come testa e tanti semicerchi a formarne il corpo

    ecco, questa la struttura che contiene, ma che contenendo è “thalassa” (nel senso di genitalità) al contenuto
    (davvero un’ottima osmosi)

    come se il tuo avere un “pistolino” tracciasse (come un feto che penetra il liquido amniotico) questi semicerchi dei tuoi percorsi esperenziali, anche onirici, rispetto all’universo donna
    (la mamma, la matrigna, la strega,la nonna, la moglie, la zia, la figlia,…)
    che è anche il tuo “essere” donna, (il sogno è grande in questo senso!)

    che si saldano al ventre della grande madre (ventre-caverna),

    “come un velo
    futuro passato tutto è tornato”

    (velo, MMMaya)

    così come quelli di tutti noi
    e allora, come spesso nei tuoi lavori, i diversi piani storico-esistenziali , appaiono bucce dell’involucro uovo (quell’ O sul quale la M di madre).

    Un caro saluto, grazie di tutto Giancarlo, credo di interpretare la redazione tutta, nel dire grazie per la tua preziosa presenza qui su neobar (e non solo).

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  2. Giancarlo, c’è bisogno di poesia come la tua. C’è un equilibrio istintivo in essa, tra le sollecitazioni del moderno e il ritorno del mito, la lezione dei poemetti modernisti e la tua presenza, la tua modulazione. L’unico difetto è per ora mio, ogni volta che ti leggo l’ammirazione per la superficie, per il modo magistrale di legare le parti a un tutto, di fluire con cambi di scenario senza tentazioni di collage, la scelta della parola esatta, la commistione di fisicità e trascendenza… questa ammirazione mi blocca sul breve termine, sul lungo però mi chiede di andarle oltre, rileggerti. Sei una delle voci più significative mai incontrate, per me. Mi piacerebbe avere la competenza di studiarti e di scrivere su di te, di farti conoscere perché quello che fai con la poesia è davvero speciale.

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  3. leggere mater zaum m’ha scatenato delle leggere vertigini.
    le parole non hanno un senso. non possono avere un senso. difatti, non possono che averne più d’uno.
    : )
    or dunque, verso dopo verso, mesco il tuo the danzante senza fermarmi mai (hammar dice che *bevo* andare avanti) finché alla fine refluisco e m’esco dalla mia stessa bocca (eh… a poco a poco, il *cerco* si è chiuso e mi sono ritrovato al punto esatto in cui il ricordo si trasmuta in chimica, dove è impossibile trovare la parola giusta pur avendola sulla punta del linguaggio).
    ed ecco allora che conversando di valenze metafisiche e metà foriche, accarezzo la fragranza musicale d’ogni singolo lemma, ne sfoglio il suono e poi li impasto tutti assieme, ingoiando boli (voli?) iperbolici di pensiero (ohi, d’altro canto, anche in questo preciso istante, non stiamo forse alimentandoci nonché ali-mentendoci mentalmente di *voca-boli*?)
    ergo mi chiedo: è possibile liberare i sensi dalle parole? a giudicare dall’arte-fatto umano, frutto a bocca aperta delle manipolazioni che il messaggio subisce passando dal soggetto al soggetto, direi proprio di sì. l’allucinazione di poter uscire dal proprio orto per zappare l’aldilà di casa (sconfinando nel giardino del vicino) dimostra *annegabilmente* che la marea della coscienza è tanto affascinante quanto travolgente. così, partendo da questo inondato di fatto, possiamo chiosare di affermare non solum che “siamo fatti umani”, sed etiam che siamo umani fatti: non c’è scampo dalla tossicodipendenza soggettiva del linguaggio, dal delirio creativo dell’io, che genera universi privati sognando di essere in grado di comunicarli (“nel sogno io lo so qual è il segreto, adesso no”) per poi svegliarsi alla nuda e cruda realtà non appena il gallarate avrà cantato tre volte (e cosa ciò significhi, pur sapendolo, non *velo* posso dire a parole se non comunicandovi infiniti altri – sempre diversi – segreti). insomma, siamo come i paesani addormentati del villaggio che vengono svegliati dalle grida “al loop! al loop!” e accorrono per poi scoprire che il cerchio si è chiuso e che la mente è unicamente uno scherzo della natura.
    concludendo, personalmente non amo plotino (sono un pistolino senz’anima : ))), ma che bel viaggio mi hai regalato, caro giancarlo, insieme a te e a quei bambini sul pullmann, sillabando all’infinito la fantasia di un solo istante, fino a ritornare a scuola per studiare la fisica delle particelle elementari (compreso un quanto di mamma) e la densità clinica palpabile d’ogni vita.
    ecco dunque un linguaggio comprensibile a tutti e a nessuno: nuda metafisica in suoni e assonanze emotive. qui sì che c’è trip per gatti!

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  4. Comincio dal commento di Davide che ci dice che c’è bisogno di poesia come la tua e che gli piacerebbe avere la competenza per studiarti; cogliendo quello che secondo me è un sentire di molti di fronte ai tuoi versi: l’incanto dell’impianto e dei rimandi (e nell’elaborazione del quotidiano e del personale ci trovo dei punti in comune proprio con la poesia di Davide) e lo smarrimento (ma è anche in questo l’incanto) di fronte al possibile senso. E passo al commento di Malos, che mette bene a fuoco quando dice:” le parole non hanno un senso. non possono avere un senso. difatti, non possono che averne più d’uno.” Margherita offre invece delle utili indicazioni per orientarci in questo tuo viaggio onirico che mi ricorda Fellini, non solo per lo sbarco a Roma ma soprattutto per quella ricerca del femminile, dei suoi archetipi, con il tuo “a un ritmo cià-ciàk.” che richiama l’Asa Nisi Masa di Otto e mezzo a chiudere e riaprire il cerchio. Di certo è musica, come ho sempre sostenuto.

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