“Un paese che si chiama Cocumola / è / come avere le mani sporche di farina / e un portoncino verde color limone./ Uomini con camicie silenziose / fanno un nodo al fazzoletto / per ricordarsi del cuore. / II tabacco è a seccare, / e la vita Cocumola fra le pentole / dove donne pennute assaggiano il brodo. ”
Vittorio Bodini

E’ andato al poeta toscano Lamberto Pignotti (Firenze, 1926), “guru” della poesia visiva il premio “Vittorio Bodini” (settima edizione), che Cocumola, “paese della buona cucina” (frazione, con Specchia Gallone, di Minervino di Lecce, a due passi da Otranto) assegna ogni anno sul finire dell’estate. Questo paese, ma anche altri (si pensi per esempio a Santa Maria di Leuca dove secondo il poeta i salentini transitano nell’aldilà), è stato “cantato” da Bodini, una delle voci più autorevoli della poesia del Novecento. Il premio è stato istituito come una sorta di “debito” di riconoscenza per essere finiti sulle antologie.
Serata presentata da Marcello Favale, Rai (di una fu madrina la giornalista Carmen Lasorella, che ora dirige TeleSanMarino), nella splendida location di piazza San Nicola gremitissima, con belle facciate di palazzi barocchi, alla presenza di docenti universitari (Lucio Giannone e il rettore Domenico Laforgia), dell’unica figlia del poeta Valentina, in abito nero e capelli biondi sciolti, che vive a Roma, e il primo cittadino di Ettore Caroppo (al secondo mandato).
L’attore leccese Antonio Minelli ha letto due articoli di Bodini, uno sul vino e le cantine di Squinzano dove negli anni Cinquanta arrivò Folonari che nessuno aveva mai visto, e l’altro sul suo soggiorno in Spagna. Il poeta, nato a Bari il 6 gennaio 1914 e morto a Roma il 19 dicembre 1970, a soli 56 anni, fu anche un valente giornalista e collaborò con testate regionali e nazionali. Il suo stile era molto originale. Mentre il gruppo romano “Econovavoce” ha messo in musica alcune celebri poesie, annunciando che è quasi in uscita un cd che le contiene. Altro annuncio: nasce un Centro-Studi per la conoscenza e al divulgazione del poeta e la sua opera. Della serie “Meglio tardi che mai…”. Se non è uno dei soliti carrozzoni clientelari per sistemare qualcuno alla vigilia di elezioni…
Pignotti è stato docente universitario a Roma e ha pubblicato le sue raccolte con i maggiori editori nazionali. Ha fatto parte del Gruppo 63 con Balestrini, Eco, Sanguineti, Pagliarani, ecc. Il premio consiste in un’opera scultorea dell’artista Fiorella Diso.
Domanda: Prof. Pignotti, lei ha conosciuto il poeta pugliese: che uomo era?
Risposta: “Era un uomo che amava profondamente la vita. E perciò avrebbe molto apprezzato lo spettacolo di questa serata a Cocumola”.
D. Dove vi eravate incontrati?
R. “Prima a Firenze e successivamente a Roma, a casa sua. Sa, erano tempi un po’ così…”.
D. In che senso?
R. “Casa sua era frequentata fra gli altri anche da Carmelo Bene e Lydia Mancinelli, due attori. Fra di noi c’era molta competizione, Bene era agli inizi della carriera, era solo un attore e si sentiva inferiore a noi poeti, ne aveva soggezione. Così ogni sera era una performance continua per dimostrare che non era secondo a nessuno… Era molto divertente, erano davvero bei tempi quelli…”.
La voce del poeta trema un istante, incapace di scacciare l’ombra di un rimpianto. A trarre tutti dall’imbarazzo la solita richiesta di foto-ricordo di giovani che amano Bodini e la poesia. Buon segno!
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Lamberto Pignotti nasce a Firenze nel 1926, si trasferisce a Roma nel 1968 dove tuttora risiede. Risalgono agli anni ’50 le sue prime prove letterarie sia nell’ambito della poesia lineare sia della critica. Sono dell’inizio degli anni ’60 i primi collage poetico visuali che si riallacciano alla sua teorizzazione di una poesia tecnologica. Questo termine, coniato in un saggio apparso nel 1962 sulla rivista “Questo ed altro”, allude ad un nuovo genere artistico basato sul riutilizzo di parole e immagini prelevati dall’ambito delle comunicazioni di massa (quotidiani, rotocalchi, pubblicità e fumetti). Il fine è duplice: si vuole usare un linguaggio consacrato all’uso sociale e allo stesso tempo esorcizzarne il potere per compiere una sorta di risarcimento estetico.
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Hai ragione a dire meglio tardi che mai. Merita di essere conosciuto Vittorio Bodini, cantore di un sud quasi mitologico per chi non vi è nato. Alla bella poesia di apertura del tuo post, dove le pentole “cocumolano” di vita e odori, aggiungo “Tu non conosci il Sud, le case di calce / da cui uscivamo al sole come numeri / dalla faccia d’un dado.” (Da Foglie di Tabacco 1945-47) Quel “tu non conosci” di apertura riecheggia un altro verso di maggior notorietà “Tu non ricordi la casa dei doganieri” scriveva Montale qualche anno prima. Anche in La casa dei doganieri ci sono i dadi e se per il poeta di Genova “il calcolo dei dadi più non torna” per il poeta di Lecce i numeri dei dadi siamo noi stessi. E’ il Sud quel varco di un luogo-tempo – né luogo né tempo – di cui Montale parla? Azzardato forse il mio nesso, o forse no. Non è mitologico un sud dove per un sole atroce le foglie cadute s’accartocciano più in fretta che altrove, le stradine hanno crepe come linee delle mani e la gente vive nella memoria di antichi dei e alla loro ombra.
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Grazie, Antonio. Non posso che essere d’accordo. Come dicevo a Francesco Greco, Bodini dovrebbe essere obbligatorio in tutte le scuole del Salento. Interessante quanto dici a proposito del richiamo a La casa dei doganieri. I “dadi” fanno pensare anche a una vita segnata dal caso sotto un bianco accecante (calcificato) e impassibile – un’immagine “surreale” tra le più efficaci di Bodini, maestro nel creare paesaggi dell’anima, mozzafiato: Troppo rapidamente I cavalli/ si passavano la mano sulla fronte/dove il sogno cresceva nidi rosei/di topi e dove vergini vegetali/sconfinavano sulle terrazzo di fuoco.
Un caro saluto e a presto
abele
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