equazioni
come un legno spiallacciato dall’umido
del chiuso: un suono impronunciato in gola,
non so se borborigmo o se preghiera,
ma non ha buccia intorno alle sue fibre.
fiato indistinto inestricato al nulla
biascica in nessun’altra lingua o idioma
a meno di decidere il contorno
già distinzione nell’indeciso, e buio.
un ritaglio di luce perìmetra il suo raggio
forse la direzione, se la misura è il tempo
e l’occasione: è libertà di essere figura
nel diametro arbitrario immaginato
da un punto all’altro di mezze verità.
e nella somma algebrica di parti
uno non è risoluzione, ma problema,
un crampo della lingua, senza l’ambiguità
che istiga domanda, interazione: tra me e me
per calcolare il verso da cui guardo e vedo
la sagoma che immagino di te:
forse a memoria, e faccio confusione.
non so ancora quale urgenza ha accelerato l’universo
quale la forza oscura che smantella le galassie
ma forse noi siamo le incognite, io e te,
di un’equazione che non torna mai
*
da quanto tempo
da quanto tempo l’aria non respira
e non invita stelle al suo bivacco,
non sento più lo sciabordìo sui legni
né dalla luna un fiato
ma si diffonde inganno di sirene
come se fosse interminato canto
stesso rintocco di una nota breve
*
ombre
non so se per dispetto o compagnia
a sibilarmi adesso nell’orecchio
– ché da lontano non ha voce il canto –
la nenia di un pensiero sconosciuto:
di nascosto, dal retro del fondale,
scompagina le forme ortogonali
su piani di diversa geometria.
al crocevia: l’incontro non pensato
tra rette parallele che sapevo
non toccarsi neppure all’infinito
e mi stupisce, come fosse vera,
sintassi che disordina il discorso,
incurva ad altra legge o schema
l’iperbolica abbondanza di realtà.
sui legni della scena, sullo sfondo,
figure d’ombra proiettate, scure,
come incollate ai piedi nei passi
d’un monologo corale: è danza
già plurale di linguaggi che non so.
da sempre li taceva l’illusione
che non ci siano rughe sottopelle
*
una preghiera
se rincorro il desiderio di uno scampo
sul ciglio di un varco inesistente
lungo la traccia d’altra sinfonia
dove nessuna voce
e la memoria è una foresta
d’ombra e di respiro
tu
dammi un motivo per restare
a riascoltare l’eco di parole
e l’odore di pane appena fatto
*
mi domando
mi domando come faccia l’acqua
a risciacquare il denso della morte
senza intorbidarsi mai,
come rischiari gli occhi già allagati
dalla ferita che dissangua nudità
e quanto presto si rinfranchi la coscienza
a sorsi di pietà, io mi domando.
mi domando cosa appanni la memoria,
se un difetto di codifica o richiamo,
o se annerisca la registrazione
come annerisce l’argento non disciolto
sulla fotografia stampata ieri:
su carta lucida affilata più dell’acqua
per affondare colpi all’amnesia.
se da lontano nulla ci riguarda
io mi domando come, senza branchie,
nuotare fino al fondo dell’apnea
in_apparenza
sempre lo stesso impasto
e l’alito annidato
in_apparenza di un’antinomia
e diseguale forma delle mani
ha già sgualcito l’abito che indosso:
sul rovescio
suoni d’impresentabile armonia.
intanto voci d’assenza
dove giaciglio è sterco di gallina
ed il frastuono gravida grancassa
di doveroso assenso
*
nascita
attraversare piano quel crinale
dove affonda il passo
– e l’ombra un po’ soccorre –
dove s’annida fertile memoria
tra le radici già dimenticate
e adesso come esangui: cose.
ma custodisce grembo d’afasia
l’anima in attesa – nelle zolle –
che la ferisca ancora a sangue
l’eco di una domanda che va sposa
a ruvido sussulto di emozione.
lei partorisce sogni di figure:
per dare nomi inventerà parole
*
era voce di nebbia
era voce di nebbia e di fogliame
l’ora solidale
a figurarsi in ombra – retroscena –
ma la ribalta è luce quotidiana
affaccendata a passo claudicante
al canovaccio steso per fondale
– lui fa da sfondo al nulla
dove il silenzio muore di rumore
Leggo con molto piacere questi versi di Luciana Riommi che trovo dondolanti come un’altalena solitaria mossa dal vento.
Più di tutte, mi è piaciuta “in apparenza” che riscrivo come per impararla…
sempre lo stesso impasto
e l’alito annidato
in_apparenza di un’antinomia
e diseguale forma delle mani
ha già sgualcito l’abito che indosso:
sul rovescio
suoni d’impresentabile armonia.
intanto voci d’assenza
dove giaciglio è sterco di gallina
ed il frastuono gravida grancassa
di doveroso assenso
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Niente male queste poesie: originali per tema, coese nel ritmi, con un dettato limpido. Brava.
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La prima parola che mi viene in mente leggendo Luciana Riommi è lucidità. Al setaccio di un’intelligenza lucidissima passano le cose, i pensieri, le persone, le relazioni, se stessa. Tutto è messo davanti ad una luce onesta e indagatrice, perché è l’ambiguità che disturba la poetessa, non l’ambivalenza o la complessità, ma ciò che si maschera dietro le apparenze. Da questo criterio generale (ho conosciuto Luciana e penso di non sbagliarmi) discendono i suoi versi scarniti, frutto di un lavorio non tanto letterario quanto concettuale. Il linguaggio di Luciana è raffinato all’origine, come raffinato è il suo pensiero. Ogni poesia è uno scavo, non ci sono misteri che possano stornare il suo sguardo pervaso di grande curiosità umana ed artistica. Una vita intera (e una professione) dedicata all’Uomo, con laicità e passione. Grande esperienza di lettura.
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nei cambiamenti, nei dubbi, nelle immagini che si sovrappongono
le identità delle cose dello spirito della vita
l’equazione che “affonda colpi” e la poesia che cerca di sanare le ferite.
Brava.
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Vi ringrazio moltissimo dei vostri apprezzamenti, che mi incoraggiano a continuare. So che ho ancora tanto da imparare, ma il bello della vita è proprio questo: avere il desiderio di continuare a sperimentare e conoscere.
Naturalmente un mio ringraziamento speciale alla generosa ospitalità di Abele Longo.
Un caro saluto a tutti voi che avete lasciato un segno del vostro passaggio.
Luciana Riommi
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La poesia è geometria, nel suo allineare spezzare parole sulla pagina, creare una prospettiva, mettere a fuoco un punto di vista: “interazione: tra me e me/ per calcolare il verso da cui guardo e vedo/ la sagoma che immagino di te”. Geometria che non porta risposte (“mi domando come faccia l’acqua/a risciacquare il denso della morte/ senza intorbidarsi mai), dove i conti non tornano, neanche e soprattutto quelli con cui abbiamo più dimestichezza: la nostra esistenza. Porta invece conforto, ci fa sentire meno soli. La scoperta di un poeta è sempre un arricchimento, un aprirsi e riconoscersi nell’esistenza di altri. Tutto questo per dire che mi piace molto la poesia di Luciana, tocca corde dell’anima con un tratto fermo e delicato (“da quanto tempo” e’ da leggere e leggere…).
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“io mi domando come, senza branchie,
nuotare fino al fondo dell’apnea”
Parto da qui perché questi versi vorrei averli scritti io, e perché forse conosco quel nuotare senza branchie… nuotare nell’aria di tutti i giorni, per Luciana deve essere un’impresa che però la riporta sempre a galla e, nel risalire, le sue parole si porgono delicate e tenaci nello stesso tempo.
Lessi alcune sue poesie capitando sul suo blog e fui colpita dall’essenzialità espressa nei contenuti abbandoni, dal timbro nitido e immediato della sua voce poetica.
Ne fui immediatamente catturata.
Sono felice di vederla qui, nella splendida casa di Abele.
Grazie a entrambi.
cri
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