8 risposte a "Francesco Marotta: Esilio di voce (con commento altrettanto prezioso dell'autore)"

  1. davvero un inciampo poetico potente, nell’eco d’una “caduta in principio di volo”. si resta (tesi in attesa dello schianto, che non giunge, per poi “sorprendersi nel novero delle ombre”). si resta resti (“cui manca l’afflizione dello sguardo”). si resta poco più d’un discorrere (del tempo tra le siepi). curioso no? il tempo discorre senza parole e la realtà non è altro che “visitazioni di parole nel tempo, immaginando cosa nascondono”. come a dire, intuiamo “ciò che ci precede senza parole”, abbiamo l’impressione di materializzarlo qui (“il respiro malato degli alberi, il fermo immagine”), ma in realtà siamo “ciò che si mostra senza lasciare traccia”. un gioco di prestigio sofferto, che… lascia il segno.
    : )
    comunque difficile aggiungere qualcosa di ulteriore alla prefazione millimetrica di marco ercolani sul vortice immobile del linguaggio, su suono e senso, sui fantasmi reali.
    allora aggiungo una nota su ciò che mi ha convinto di meno: forse proprio “l’allucinata somiglianza” che appiattisce un poco il (mono)tono della narrazione dall’inizio alla fine. magari, però, è solo una mia fissa (non sono un poeta, quindi…), difatti la stessa sensazione sommessa mi ha colto di recente leggendo alcune poesie di andrea inglese, prealtro anch’egli un ottimo autore.
    è un’esclusiva “rebstein” o posso metterlo a scaffale in biblioteca anche su copylefteratura?
    : )

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  2. Grazie, Malos: per la lettura che intuisco davvero attenta e, soprattutto, per l’intelligente e prezioso rilievo critico che muovi a quei testi.
    Più tardi proverò ad articolare una risposta, sperando che tu non la prenda, in nessun caso, come una contro-deduzione alle tue osservazioni.

    Per quanto riguarda l’opera: tutti i testi pubblicati su Rebstein sono, senza nessuna esclusione, in copyleft, a disposizione di tutti, nel rispetto dell’autore e dell’integrità degli stessi. Credo, fortissimamente credo, in una circolazione e diffusione orizzontale, rizomaticam, democratica, di ogni forma di espressione artistica.

    Un saluto.

    fm

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  3. La “monotonia” (monodica, monocromatica, monotematica) è uno degli input di questa poetica (e della ricerca teorica che la precede e la segue da almeno un ventennio), ma ne costituisce anche uno dei limiti (come acutamente nota Malos) – soprattutto in termini di “comunicazione-leggibilità-fruizione” (una triade che viene non di rado cortocircuitata sul piano del “senso” e dell’organizzazione concettuale delle gabbie testuali). Ne sono perfettamente cosciente, anche se da tempo ho rinunciato a cercare punti di “equilibrio” possibili all’interno di un discorso che, ormai, mi è non solo congeniale (credo di non sapere fare altro, sul piano della scrittura), ma è anche pienamente funzionale (almeno per quel che mi compete rilevare e per quelli che sono i miei mezzi) all’esplorazione di quell’uni-versum immaginale e linguistico nel quale mi muovo da anni: lo spazio esatto tra “pensiero” e “canto”.

    Il “vortice immobile” di cui parla Ercolani si declina, in “Esilio di voce”, essenzialmente in funzione del “suono – andrebbe comunque osservato/letto in uno con l’interazione che la “stasi motoria” stabilisce con l’ “immagine” (in “Per soglie di increato”) e con la “corporeità” (in “Impronte sull’acqua”): quest’ultima prefigurata come “strumento” *dove* avviene l’incontro metamorfico tra immagine e suono.

    Praticamente: non faccio altro, di libro in libro, che (ri)scrivere sempre lo stesso testo – da prospettive molteplici di sguardo e di significazione, all’unico scopo di “creare” congegni-segni *assolutamente* refrattari a ogni assimilazione e omologazione alle logiche della comunicazione categoriale e del linguaggio reificato, che continuo ostinatamente a ritenere “contigui” (quando non complici) alle/delle strategie del potere e del controllo. Prima di “significare”, un testo deve “essere”: esprimersi nell’alfabeto del corpo di parole, unico e irripetibile, che lo fa essere.

    Grazie ancora per l’attenzione.

    fm

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    1. grazie a te per la risposta!
      mi piace il taglio lucidissimo con cui vivisezioni il tuo alfabeto del corpo, nonché l’ostinazione che mostri nel perseguire lo spazio esatto tra pensiero e canto. forse è vero che in termini di fruibilità, per certi versi combattiamo una battaglia persa (puoi chiamarmi maloser, fratello), ma l’importante in fondo è credere che ne valga la pena
      : )
      (notare la velata autoironia…)
      ecco, mentre leggevo la tua risposta pensavo che, senza certo rinnegare la (condivisibile) filosofia di fondo che congegna “esilio di voce” – non si fosse capito, ribadisco che m’ha proprio colpito – era comunque possibile inserire nel novero delle poesie che lo compongono, quattro o cinque componimenti *alieni* se non addirittura beffardi. provo a spiegarmi. non so se hai letto “all’ombra dei pixel” di maurizio manzo (è qui nella biblioteca di neobar), in cui si racconta la storia di rolando musu, vittima sacrificale dei media (nel vedersi torpido riflesso in un vecchio tv bombato catodico, rolando intravede l’iride e si guarda guardato ma non si sente, non ha voce e non ne avrà più una sua). ecco, sperando di non risultare troppo rompiballe, l’effetto (sia per antitesi che per spaesamento) dell’inserimento in “esilio di voce” di alcuni improvvisi componimenti giocati su uno spot pubblicitario o su qualche altra omologazione discomunicativa-a-salto-di-vinile-rigato sarebbe stato non solo devastante, ma pure rivitalizzante per il lettore.
      ok. sto delirando: puoi dirmelo senza problemi, sai, non sono permaloso : )))
      è che mi piace pensare che la poesia non debba aver paura di ridere e che l’allucinata somiglianza possa essere addirittura potenziata dall’allucinata sorpresa (entrambe le strategie – monotonia e sorpresa – erano utilizzate da quel geniaccio di milton erickson, per spaesare l’interlocutore e facilitare uno stato di trance).
      vabbè, miei sragionamenti a parte, la cosa importate è che ho postato la tua ultima fatica anche su copylefteratura.
      : )
      qui trovi la recensione http://www.copylefteratura.org/?p=623
      e qui c’è la biblioteca http://www.copylefteratura.org/?page_id=18

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  4. Caro Maloser, perdona il ritardo con cui ti rispondo, dovuto essenzialmente al fatto che, oramai, tra me e il computer la distanza si sta facendo talmente grande che, di questo passo, a breve saremo inevitabilmente due entità destinate a non più incontrarsi…

    Ti ringrazio per la tua ulteriore chiosa, comprensiva di un invito che, qualora malauguratamente dovessi riprendere a scrivere, terrò in debita considerazione. Anzi, volendo, avrei anche iniziato a fare qualche piccola ricerca, a titolo puramente esplorativo: non conoscendo la produzione del buon Maurizio Manzo, ho cercato i suoi testi pubblicati qui e ne ho pure scoperti degli altri a questo indirizzo:

    http://rebstein.wordpress.com/category/maurizio-manzo/

    Non mi resta che leggere, cosa che farò volentieri perché il nostro mi sembra un ragazzo promettente 🙂

    Ciao, un abbraccio.

    fm

    p.s.

    Non scusarti di niente, almeno tu, e continua a dire e a scrivere esattamente quello che pensi – se di cagate trattasi, vanno trattate come tali: se l’autore se la prende, vuol dire che ha dei seri problemi, che non risolverà sicuramente se gli si dice che scrive solo cap(r)olavori.

    Te lo chiedo, anche, per motivi egoisticamente sanitari: sto lontano dalla rete letteraria, tra l’altro, perché ultimamente, solo a sfogliare le pagine di un qual si voglia blog, mi ritrovo col diabete che schizza subito oltre ogni livello di guardia, assolutamente fuori controllo 🙂

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