
Mi disse di non aspettare,
ma io aspettai
Mi diedi così pace.
Aspettando
Gita ad Edimburgo
De(capitata) quella gita ad Edimburgo
E(dim)burgh
Sfrontatamente agognata fra i cirri
[Sì, di certo, se domani farà bel tempo, disse la signora Ramsay.
Ma bisognerà che ti levi al canto del gallo, soggiunse]
Dùn Èideann
Covata nell’intimo fulgore d’un secondo
La città vecchia che si smembra dentro
(O-l-d –T-o-w-n)
le pietre del selciato
( tetti d’antracite, brunito delle mura)
accompagnavano
la gioia d’un falciato prodigio
e
Viveva senza accadere un tonfo nel buio
della strada
Il colore viola del cielo sul porto
non doveva solo morire ma scom-pa-ri-re
dissolto nei campi della coscienza come muschio
ghiacciato nel divenire
(terra erbosa, zolle, legno bagnato)
ricordando un nome dimenticato da secoli
per poter meglio pregare sotto la pioggia
e il blu riflettente d’un cardine di cielo
sopra l’aria grigia di fumo e salmastro
A sprazzi le infinitesimali sfere lucide
Desiderio era e rimaneva
quel vagare nella torba disciolta dal vento
che non sapeva rinunciare
a (in)vestirmi spogliandomi delle vesti
che mai si sarebbero dissolte
se non bruciando profumi
in quel maestoso gioco di colori
fra i seni dell’oceano scuro orizzonte
Ma oggi è primavera e ce l’ho negli occhi
quel diffondersi di giallo e ocra sui colli
quel vento di leggenda tramortente
quella bellezza perfetta senza errore
venuta da chissà dove
per marchiare l’anima mia
La strada
Lei si dedica
alla pulizia di una strada
morta
ai calici di fiordalisi e gialle trombette
che occhieggiano fra le sbarre
lei si piega a cercare le voci inumane
quelle a cui non è lecito interloquire
adesso meno che mai dal lago scuro
in cui si trovano
ma sebbene non sappia se esse davvero sono
in un luogo di in(tolleranza)
sebbene non sappia se esse palpitino come cuori
di conigli spaventati
lei gioca a riordinare lo spazio
dove le sillabe venivano pronunciate
e accudite la sera davanti alla tv
con i gesti impegnati a sorprendere un sonno
dalle tenere frange incolori
oggi sotto il piombo d’un cielo
straziato dalle nubi assestate come in un Turner vivo
ecco che le profezie si avverano completandosi
nelle chiuse del giorno lento
nel loro progredire abnorme dentro il petto
crede di udire
crede di vedere
crede alla morte senza bara
che dissolta lo mostra in piedi
tra le foglie e il garage
a gridare un altro saluto
prima di scomparire in casa
Cento anni
Erano passati cento anni e ti sapevo come allora
Rinchiuso nel corpo di giovane uomo
a scalpitarmi fra le braccia
La tua voce si scioglieva fra le pietre
delle fontane del Centro
livido in autunno e acceso
dai nostri baci sui bordi
Le ali si mettevano come allora
e pur sapendo mentire in silenzio
raccontavano delle distanze mai raggiunte
nei pomeriggi
quando le mani spazzavano l’anima
passando per i fianchi e le labbra
leggere eppur pressanti nel correre al petto
Erano solo cento anni che non mi chiamavi
con il mio nome
poi le sillabe si sono scolpite
hanno attraversato le bolge del dolore e le stelle
per arrivare a me senza più splendore
Ora si leggono e si rileggono
pregando se stesse con litanie mai zittite
rimaste nell’eco temporale di uno sguardo nocciola
(con verde foglia di bosco)
spinto come erba brulla al macero di marzo
Solstizio nuovo di vecchia sostanza
sotto la pioggia fredda
che cade oggi come ieri sulle ossa aperte
Federica Galetto: nasce a Torino. Poetessa, scrittrice, traduttrice, appassionata di lingua e letteratura inglese e americana, scrive sul blog letterario “La stanza di Nightingale” http://lastanzadinightingale.tumblr.com/ed è redattrice del blog culturale WSF http://wordsocialforum.com/ . Nel luglio 2010 pubblica per i tipi di Lietocolle Editore la sua prima raccolta poetica “Scorrono le cose controvento” e nel 2011 la sua prima raccolta di Poesie in lingua inglese “Ode from a nightingale”, Masque Publishing, l’e-book “Silent is the House” (bilingue, Inglese-Italiano), Errant Editions 2011, l’e-book “Nell’erba il punto”, La Recherche, 2012, “Stanze del nord”, Onirica Edizioni, 2012. Sue poesie, racconti e traduzioni sono stati pubblicati su diverse riviste, blog letterari e antologie. La sua Poesia è stata citata da Maurizio Cucchi su La Stampa e sulla rivista Poesia. Vincitrice del Premio “La vita in Prosa” edizione 2011 e Verba Agrestia 2011, segnalata al Premio Ossi di Seppia 2012. Vive e lavora in Piemonte, in un piccolo villaggio del Monferrato.
Autrice molto brava che saluto qui..
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grazie e un saluto a te Roberto. Grazie a Neobar per l’ospitalità, ad Abele, Pasquale Vitagliano e tutta la Redazione. Vorrei puntualizzare, a servizio del lettore, che la poesia “Cento anni” è un testo a sè. Lo dico perchè nell’impaginazione appare come continuazione della poesia precedente.
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Le sillabe si sono scolpite. Subisco il fascino di Federica da quando ho incontrato la sua “stanza”. I versi sembrano sculture di pensieri e della vita, vita vista attraverso la cortina dell’elemento terra, così piena e solida quanto improvvisamente friabile e carsica.
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Cara Meth, grazie di esserti soffermata e di aver descritto così bene la terra di cui sono fatta. Un abbraccio
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“spinto come erba brulla al macero di marzo”
viene da dire wow!
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Grazie!
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Bella La strada che porta ad un progressivo intridersi nel paesaggio, fino a confondersi con esso, tutto comincia dall’averne cura, al sentirne le voci nascoste, poi si diventa un paesaggio, si scopre anche che è fatto di sillabe coi colori di Turner, e che progredisce nel petto, interiormente , credendo di vedere e di udire il dentro nel fuori.
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grazie Giancarlo, un caro saluto
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Anch’io ho sempre percepito la -fusione- di Federica Galetto con gli elementi naturalistici cui attribuisce pensiero, una mediazione sottile che sa farsi specchio della dimensione interiore; seguendola, ascoltandola, si entra in un mondo svariato di sensazioni, come microscopici osservatori in viaggio che piano piano si appropriano dei significati.
D.
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C’è un merlo sul ramo che parla delle sue pene; e l’albero lo consola, tenendolo stretto tra le sue foglie. Grazie Doris
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“Ma oggi è primavera e ce l’ho negli occhi
quel diffondersi di giallo e ocra sui colli
quel vento di leggenda tramortente
quella bellezza perfetta senza errore
venuta da chissà dove
per marchiare l’anima mia”.
Federica autrice di grande valore. Ricordi, sensazioni, ambienti, climi, il filtro del presente vivo e vigoroso, ricerca, linguaggi remoti e sconosciuti:
“Dùn Èideann …
verso che addensa significati, epoche, storie, vicissitudini, vissuti lontani da noi come i tetti d’antracite …
“[Sì, di certo, se domani farà bel tempo, disse la signora Ramsay.
Ma bisognerà che ti levi al canto del gallo, soggiunse]”
ma ecco che il quotidiano rientra nell’intreccio e si avvinghia come un’edera al ricordo come succede ne “La Strada”, ricordo di un ambiente intimo e famigliare ormai scomparso, con l’ultima custode che rassetta e ripulisce, immagina di nuovo, ricorda il tempo passato, la mancanza di chi non c’è più che si disfa e sembra non mancare mai di riapparire con un reiterato saluto, che si mescola all’onirico.
E chiude “Cento anni”, restando impressa con questi versi carichi di suggestione:
“Erano solo cento anni che non mi chiamavi
con il mio nome
poi le sillabe si sono scolpite
hanno attraversato le bolge del dolore e le stelle
per arrivare a me senza più splendore
Ora si leggono e si rileggono
pregando se stesse con litanie mai zittite”
Un saluto a Federica e a tutti voi
Fernando
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Grazie Fernando. Ti ringrazio per aver voluto rimarcare i passaggi salienti di questo viaggio ideale, interiore ma anche temporale, un vissuto desiderato e già assaporato altre volte in epoche andate ma ancora ben presenti; perchè vivere non finisce mai di stupire anche a ridosso del tempo che pare essere sfuggito, finito. Tutto rimane, tutto si dissolve per poi ricomparire. Prima o poi. Un saluto caro
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