Marco Scalabrino, Parleremo dell’arte che è più buona degli uomini, CFR vol. 1 e 2
Mai titolo fu più azzeccato: in un mondo sempre più volgare e rapace, con le grida dei mercati generali, due pezzi per uno, e la sguaiatezza elevata a mitologia della bellezza, abbiamo proprio bisogno dell’arte per rincuorarci, per resistere, per durare in un comportamento etico.
Marco Scalabrino è un grande poeta siciliano che da anni va studiando la poesia dei suoi conterranei, la dispiega nelle molteplicità dei suoi significati e valorizza poeti che sarebbero per sempre messi in ombra e non considerati.
Il siciliano, inteso come lingua dialettale, ha espressioni aspre e pungenti, perfettamente aderenti al significato inteso. Come tutte le lingue vernacolari è di poche parole, non si perde in sentimentalismi e in gioco di rimandi: dove giunge colpisce, e colpisce al centro del bersaglio.
Scalabrino analizza in brevi saggi la nuova o più precisamente rinnovata poesia siciliana che incontriamo nella seconda metà del Novecento con Alessio Di Giovanni. Dopo di lui si è spalancato un mondo di voci nuove a dire il contemporaneo con una lingua antica e scabra.
Che egli sia un maestro nello scegliere poeta da poeta, lo dice con la sua prefazione Pietro Civitarale, studioso della poesia vernacolare romagnola, di cui è notoria la sua competenza nel settore.
L’immane lavoro di recupero e di rivalutazione di Marco nei confronti dei compagni di penna che l’hanno preceduto e che ha consentito loro il transito di Scilla e Cariddi, su comodo legno, perché l’analisi sulla quale viaggiamo é quanto mai rispettosa, precisa e concisa, scevra di piaggerie.
Io non sono un’esperta, conosco la poesia dialettale del mio territorio eppure ogni qual volta Marco mi fa pervenire un libro, mi impegno nella lettura in lingua originale e il mio vocabolario di siculo si va arricchendo di sempre nuovi vocaboli. Sento che divento più ricca anche se tale ricchezza mi costa fatica.
Scalabrino presenta in questi due volumi, le note critiche ricche di riferimenti filologici, storici e bibliografici, su 18 autori siciliani, effettuando in questo modo un excursus sulla poesia siciliana del novecento. I nomi degli autori presenti nei due volumi sono Alessio Di Giovanni, di cui si è detto, Paolo Messina, Salvatore Camilleri, Pietro Tamburello, Aldo Grienti, Carmelo Molino, Antonino Cremona, Salvatore Di Pietro, Enzo D’Agata, Nino Orsini, Elvezio Petix, Salvatore Di Marco, Giovanni Formisano, Vito Mercadante, Nino Pino, Maria Favuzza, Titta Abbadessa, Carmelo Lauretta, Salvo Basso. Completa la raccolta di saggi un interessante saggio sul lavoro edito dalle edizioni Centro Studio Giulio Pastore, Agrigento 2006, a cura di Rosalba Azalone e Franco Biviano “Corrispondenza 1903 -1928” fra Silvio Cucinotta e Alessio Di Giovanni che, oltre a essere strumento per capire meglio i moti i poetici dei due, è testimonianza di un’epoca turbolenta , così simile a quella che stiamo vivendo.
L’elenco poco suggerisce a chi ne ignora le voci e quindi questi saggi, suggestivi e competenti, vogliono suggerire un percorso a coloro che hanno interesse verso la poesia dialettale, che ancora oggi, a tutte le latitudini si dibatte fra una doppia e un accento. Il dialetto è lingua orale e la grammatica la decideva il tono della pronuncia; diventato lingua scritta si è dovuto trovare una grammatica che trasducesse l’orale. Non sempre ci è riuscita, ma poco importa se raggiunge il suo fine comunicativo. Io ho trovato questa specie di breviario laico di poeti, oltre all’appassionata dedizione di Marco, anche uno stimolo alla mia poesia “miseramente” in lingua, bisognevole di tante parole per dire quanto in questo o quel dialetto si dice con una sola.
Credo che tutti i poeti debbano ringraziare Scalabrino per la stampa di questo suo lavoro che apre un’altra porta e ci consente di intravedere un po’ di azzurro nella bufera che infuria.
Narda Fattori
quante suggestioni!
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UJn Lavoro importante quello di portare alla luce la poesia in una lingua diversa ma che quotidianamente convive con l’italiano, e autori che rimarrebbero sconosciuti, di quelli citati non ne conosco nemmeno uno, un’opera nella grande tradizione, che fu anche di Pasolini, dalla sua “poesia dialettale del novecento” ho conoscuto ad esempio Delio Tessa e Biagio Marin , ma anche salvatore Di Giacomo.
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Un sentito ringraziamento a Narda Fattori per la sua generosa nota, a NEOBAR per la pubblicazione della stessa, nonché a Roberto Matarazzo e a Giancarlo Locarno (al quale, se mi comunicherà il suo indirizzo, sarò lieto di inviare la mia opera), per i loro graditi interventi. A tutti un cordiale saluto, Marco Scalabrino. marco.scalabrino@alice.it
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