Nina Maroccolo: La donna sullo/dello schermo – Emma

Swimmers

Titolo del film: “Swimmers” (2005)

Regia: Doug Sadler

Protagoniste principali: Tara Devon Gallagher (Emma)

e Sarah Paulson (Merrill)

 

EMMA

La storia, ambientata in una piccola cittadina del Maryland dedita prevalentemente alla pesca, ruota intorno a una bambina, Emma: undici anni di consapevolezza. Capelli biondi, intelligenza adulta.

Emma è un personaggio sorprendente, e le riconosciamo una precocità di sguardo sin troppo acuto verso la vita, le persone, l’ambiente circostante. Ciò che sentiamo / ciò che vediamo / è un moto rallentato, aspro e infelicemente negato dalla concretezza d’un sogno infranto, dove l’anima È.

Si scivola, insieme ad Emma, dentro e fuori ogni singolo personaggio, deprivati da quei presupposti “ideali” che lei vorrebbe riconoscere “vivi” nella sua famiglia, economicamente modesta (bello il ritratto storico di un’America provinciale eletta a laboriosa suburbia da Chaos primordiale), e che invece si frantumano ai suoi occhi innocenti, portandola alla deriva interiore: quella che rende immutabile ogni destino.

“Solo nell’acqua mi sento libera,” pensa all’inizio del film, ignorando che dopo cinque minuti da quell’affermazione colma d’amore, le accadrà un incidente i cui postumi si concentreranno nella parziale perdita dell’udito. Emma rischia di arrivare alla dissoluzione del rapporto simbiotico instaurato sin da piccola con la Natura, con il mare grande utero-archetipo, simbolo della generosa vastità oceanica che la bambina incarna.

Eppure, niente muta. Il mare suggerisce, e sussurra, e dice. E forse ulula il Nulla in quel suo pianoro acquatile, senza manifestarsi come ingorgo abissale: di fatto, sono sufficienti le alte maree di questo maldestro gruppo di famiglia in un interno: una madre dura e spigolosa, un fratello poliziotto inibito da se stesso (e dal sesso); un secondo fratello, squinternato, ma decisamente volitivo e se non altro “libero”. Infine, il padre di Emma: pescatore di granchi. Personaggio vicino a un Santo bevitore quasi alcolizzato, e occasionalmente fedifrago; soprattutto quando vita coniugale / e coniugio con i granchi, falliscono miseramente all’unisono.

Torniamo all’incidente di Emma. Non è l’acqua al salgemma che la tradisce, né l’acqua dolce della piscina, quando lei sviene – comunque – in acqua: “È come se dentro la mia la testa tutto era congelato…”

Emma dovrà attendere molto tempo prima di guarire. Eppure non versa una lacrima per il suo handicap, pur sapendo che sfiora l’ipotesi di uno scarto totale. Non versa una seconda lacrima.

Emma nuota dentro di sé. Si rivolge agli altri con estrema premura e gentilezza, con la singolarità di possedere una cinepresa al posto degli occhi, dalla quale osservare, dar vita alla sua bellissima e narrante voce interiore.

Emma vive la costante del mondo con dolente saggezza. Solo così potrà diventare la migliore amica di una inquieta ragazza ventitreenne: Merrill. Arrogante, rabbiosa, alla struggente ricerca delle sue radici, Merrill fallisce nell’allearsi contro i propri dèmoni: una madre suicida, il suo ricovero nell’ “ospedale bianco”: “Bianco come il Paradiso,” dirà a Emma.

Il disagio di Merrill accompagna quello di Emma per tutto l’arco del film, un disagio “altro” rispetto al teatrino degli adulti: mai severi con se stessi, mai bastanti, mai consapevoli che cucirsi la bocca è quanto di meglio possa esistere prima di giudicare qualcuno, sottraendosi facilmente alla propria coscienza.

Ma cos’è il disagio?, sia in Merrill che in Emma – binari paralleli. Dove vuole arrivare quest’adulta-bambina che taumaturgicamente porta in salvazione i destini delle persone che ama?

Il rapporto tra lei e Merrill non contiene macchia, bensì un’esplorazione autentica che suggella e pattuisce un’amicizia nobile, piena d’affetto e profonda comprensione. È quell’amore che solo nell’amicizia assume una connotazione assoluta; a tratti indecifrabile, quando le parole diventano superflue rispetto al flusso interiore che due anime possono contemplare, ma soprattutto completare attraverso l’esperienza del dolore.

Che sia proprio il disagio, quindi, a unire, a unirle? Un orecchio che non ci sente, in attesa del suo recupero al duro costo di 15.000 dollari? È l’impronta fragile di Merrill, del suo esplicito erotismo che non odora solo di piacere sessuale (tra l’altro mai consumato), bensì di una guarigione che potrebbe essere accompagnata solo dall’amore?

Cerchiamo di ascoltare il grido di Merrill. Cerchiamo di seguirla dentro la sua storia: cerchiamo d’ascoltarla e osservarla nel bagno, mentre seduta per terra con Emma – là dove sua madre si è tolta la vita – accarezza quella vasca intarsiata di ricordi. La visione di una madre “dissanguata”, il corpo da Merrill ritrovato in sembianze devastanti: fantasma visuale della parola “morte” (morte per acqua),  un’angoscia-rivalsa che supera la nuda realtà in metafisicità del reale.

E se Merrill decide di riprendere il suo cammino, le ferite semichiuse, eppure nuova di rinascita, Emma dovrà imporsi per farsi rispettare in famiglia. Durante una violenta discussione, quando lei, in un atto disperato, batterà sul tavolo con un martello di legno da cucina, gridando: “Basta! Basta, ho detto!”           

L’amicizia e l’amore: ecco gli elementi fondanti e salvifici del film di Sadler.

Memorabile la scena finale. Emma indossa il costumino verde, dono/auspicio di Merill, dopo la riuscita operazione all’orecchio: “Molte persone si dimenticano di vivere…”, pensa, prima che nel silenzio assoluto vada nuovamente incontro al suo amato, amniotico mare.                                                

Nina Maroccolo


9 risposte a "Nina Maroccolo: La donna sullo/dello schermo – Emma"

  1. Grazie a Ninna che con ‘Swimmers’, di Doug Sadler, dà inizio a una rubrica dedicata alle donne sullo schermo/ dello schermo. Un viaggio che comincia con lo sguardo di una bambina che perde l’udito e fa del mare il suo grande interlocutore.

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  2. GRazie, Abele! Felice di essere tornata in concretezza…

    @ Un abbraccio a Roberto

    @ Anna: è da recuperare e vedere. E’ un film molto coinvolgente che mette anche in luce l’America con le sue contraddizioni.

    Baci, Ninette*

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  3. Come sempre Nina Maroccolo entra “dentro”. Il suo è uno sguardo interiore; profondo, sensibile, ma anche critico, accorto. La recensione è scritta a regola d’arte lasciando il grande desiderio di vedere il film. Bellissima questa rubrica! Un caro abbraccio a tutti i “neobar”.
    Cinzia

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