Poesie inedite di giovani poeti. Nei passi mi sono perso di Antonio Di Vilio

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Da quand’è che le cose sono cominciate ad andare male

Mai più sarà questa esistenza
cercare ragione per abitarla
santificare il fine ultimo
ricominciare da capo
piuttosto sia camminare in penombra
infangata lanterna che riempie
i vuoti lasciati dalla purezza
sapere che questa notte
i soffitti verranno fissati
da figli felici
da madri stanche
allora sia questo il verso
senza più mentire
al bisogno di domandare
da quand’è
che le cose sono cominciate ad andare male

*


Tre haiku di primavera

Occhio buio
ancora in giardino
il sole ora

Settima notte
canta tortura solo
ottavo giorno

Ogni affanno
consumato forse
rinasce fiato

*

E ancora appare
inqualificabile
il colore degli sbagli
temperatura del mio corpo
caducità
ti sento nelle gambe leggere
che si muovono
inosservate come frasi
vomitate un momento prima di addormentarsi
dopo un intero giorno trascorso
a catalogare gli umori
a contare tutti i battiti del cuore
Crescere è ancora
guardare con occhi diversi
un pallone rotolare su un prato
proprio verso di te

*

Quel giorno al cimitero
il vento pretendeva i capelli
e il naso doveva colarmi freddo
perché non sentivo l’odore
del prato bagnato
letto rumoroso di foglie secche
calpestate dai piedi distrutti
in un paio di scarpe nuove
indossate per l’occasione
Prima di allora non ero sicuro
di aver avuto bisogno
di qualcuno munito di cerotti
che mi ammonisse
ogni qual volta
faccio per accendere
la sigaretta dal lato sbagliato
E quella fotografia da
film polacco degli anni ‘90
per rendere il tutto meno ridicolo
per giustificare
l’affanno della mano
che cerca la sua spalla

*

La canzone che stasera canto
con questa voce che senti
è una scarpa slacciata
abbandonata
sola al centro di una stanza
vuota, umidità che trafigge
non una tenda che copre
una finestra chiusa un attimo
prima delle luci del mattino
Piuttosto sangue in circolo
un reggimento di soldati che trova
copertura per la notte
una canzone di un orfano che ritrova sua madre
ad un misero tavolo a masticare
senza dentatura
contando i morsi necessari
alla fine del pasto

*

Oggi mi sono alzato
e ho chiesto alla mia vita di mettersi apposto
senza che essa battesse ciglio.
Ho preso il metro e l’ho misurata
chiamando le cose col proprio nome
scandendo i suoi battiti con un metronomo.
E come Walcott ho chiesto soltanto sentire
il rumore era forte
Il sangue era vino pulsante
la gola miniera di parole strozzate
gli occhi noci sgusciate.

*

Due lettere aperte

Signora lei esce dalla parrucchiera
più in ansia di come ci è entrata
Suo figlio è in macchina
impaziente
che l’aspetta
ma glielo dica quanto tempo ci vuole
per far sì che la testa sia apposto coi capelli
che tutti i colori tornino a brillare
sotto il velo a mezzogiorno
quarantacinque anni fa
Gielo dica che la parrucchiera è amica sua
e lei se lo ricorda
l’inverno a teatro
tutti si giravano a guardarla
che De Filippo e Goldoni a nessuno importava.
Signora glielo dica, lo specchio era piccolo
i capelli troppo lunghi
che non si affannava
durante i colpi di spazzola
Signora nei suoi occhi
ci sono le lunghe vacanze
i dolci domenicali
Glielo dica che ballava in punta di piedi
e che ancora le sembra più lontano tutto il resto
da quell’altezza
Che ora è più bassa
e una volta lo era anche lui.

*

Sole
tu vieni qui a squarciare il parco degli aranci
e non c’è nube o tristezza che tenga
il grigio è più vicino al bianco
più vicino al nero.
Raggio
tu vieni qua ad illuminare il passaggio
e le rughe di quest’ albero
sono saltate fuori
come rogne quando non le cerchi.
Luce
passi e te ne vai
e il mio volto è scuro,
ora so dove sono andato
forse non sono mai tornato
e magari ora scopro
che non mi sono neanche mosso.

*

Settembre ti ricorderò per la saggezza
nel fermare l’inverno che vuole arrivare
e questo paese si asciuga la fronte
ancora per poco
aspettando che le crepe si apriranno
per quei sassi radicati e disertori
come gli idioti che celano anche l’attesa
mentre storpio i miei fasci di luce
chiamandoli mancate occasioni

*

Io che da me ora fuggo
per dare spazio a interpretazioni
alla legittima ordinarietà
non sono che una coda in mezzo alle gambe
un operaio che al sole d’agosto
mangia un panino senza aver finito
Una segretaria che smette di amare
in fondo al pozzo credendo di potere

Io la vedo tra le macchine attraversare
la mia anima venditrice ambulante
sollecita tutti i corpi
estraendo un accendino
a chi lo porta in tasca
per abbassare lo sguardo.

*

Nei passi mi sono perso
di nuovo
il terreno si è sollevato
ho avuto paura del cielo
di avvicinare i confini

Antonio Di Vilio è nato a Santa Maria Capua Vetere nel 1995.


3 risposte a "Poesie inedite di giovani poeti. Nei passi mi sono perso di Antonio Di Vilio"

  1. Versi agili e ritmati che scandiscono un sentire giovane, inquieto, che coltiva la poesia con sguardo attento e pensoso.

    Rosaria Di Donato

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  2. Buona poesia direi, esistenzialista, i versi scorrono naturali e sono ben dominati , il lessico è ricco. A tratti i pensieri tendono troppo ad “invecchiarsi”. Tanti versi notevoli, come settembre.. Un po’ deboli però gli Haiku.

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