Roberta De Luca: Pedagogia della musica in Danilo Dolci

Danilo Dolci affida alla poesia, e soprattutto alla musica, un ruolo centrale nella pedagogia umanistica e propone per l’individuo un’educazione e un percorso di crescita che partano proprio dall’ascolto della musica classica e delle sonorità della natura:

Se educhi alla musica:
dall’udire le rane,
da Bach, e non da pedanti esercizi.

La sua biografia rivela una formazione musicale incentrata su grandi autori come Bach, Schumann, Haydn, e legami di amicizia con il compositore Luigi Nono e il musicologo Giancarlo Rostirolla, fattori questi che incisero notevolmente sulla costruzione del suo “sistema”. Il metodo suggerito da Dolci è induttivo: non si educa (nel senso proprio del termine di “tirare fuori”) da esercizi pedanti, dalla grammatica, dall’alfabeto, ma dall’esperienza sensoriale che coglie i suoni circostanti, dalla musica che restituisce all’essere umano una dimensione di coralità, condivisione, apertura – è quindi essa stessa metafora del vivere-, dal gusto della scoperta personale. Il sociologo siculo-sloveno imparò da autodidatta a suonare l’organo e avviò numerosi esperimenti di educazione musicale negli anni ’60 e ’70 a Partinico e a Trappeto (campus Borgo di Dio). In quel periodo fervido attivò dei seminari che, attraverso il flauto dolce e la musica barocca, miravano a produrre il “miracolo” che solo l’ascolto attento può suscitare:

Quando avranno saputo, i tuoi alunni
può una carezza essere infinite
carezze diverse, un male infiniti
mali diversi,
e una vita infinite vite,
arrivando alle scale chiedi le suonino
tesi come una corda di violino
con la concentrazione necessaria
al più atteso concerto.

Bach era sicuramente il suo preferito – amava tuttavia anche autori moderni come Bela Bartòk- e della produzione bachiana prediligeva i corali delle cantate. La polifonia costituisce infatti non solo una scelta espressiva e una cifra stilistica, ma anche criterio esistenziale e disciplina sociale che realizza la necessaria dialettica/tra l’impegno maieutico e l’assumere/responsabili scelte, che rispetta le regole di convivenza, senza infingimenti, false illusioni, senza negare l’assurdo che c’è nel mondo, (sembra di leggere Camus), e che contiene una carica rivoluzionaria inaspettata.

Viene da pensare alla società italiana di oggi e al periferico ruolo della musica nel sistema educativo e scolastico. Nonostante le intenzioni di introdurre e potenziare la musica, essa rimane faccenda per specialisti e, nelle nostre scuole, si continua a educare i bambini a distinguere i colori, ma non a riconoscere i suoni e i timbri e gli intervalli, come se l’orecchio relativo fosse appannaggio di pochi, privilegio di classe. Insegniamo molto ad usare la vista, poco ad esercitare l’udito. Eppure l’orecchio ha una sua natura simbolica che l’occhio non ha, è un organo che permette di aprirsi all’infinito, poiché strettamente legato all’indefinito nelle sensazioni del tempo, quindi all’eternità, e determina una visione immaginifica di mondi possibili (sognando gli altri come ora non sono:/ciascuno cresce solo se sognato).

Ci neghiamo tutto questo nel momento in cui non attribuiamo alla musica una centralità nell’educare, e mi pare che invece Danilo Dolci abbia concepito molto tempo fa un’idea di modernità che per noi italiani tarda ancora ad arrivare.


7 risposte a "Roberta De Luca: Pedagogia della musica in Danilo Dolci"

  1. Grazie a Roberta per queste riflessioni sulla pedagogia di Danilo Dolci, basate anche sulla sua esperienza di insegnante e musicista. Uno dei nostri obiettivi per il nuovo corso di Neobar è di contribuire alla diffusione dell’opera e dell’insegnamento di Danilo Dolci, scrittore, poeta, attivista, educatore e tant’ altro ancora, che riteniamo di grande importanza e sempre più attuale. Danilo Dolci non si è mai rassegnato a un sistema che ha imposto le sue regole e calpestato i più indifesi. Ha insegnato a rovesciare le regole e a rivendicare il diritto ad esprimere se stessi e far sentire la propria voce.

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  2. La figura di Dolci, tratteggiata dalla De Luca, si rivela di profondo interesse.
    La musica, come fenomeno intrinsecamente legato alla dimensione umana, non può non avere un ruolo, sia inteso come ascolto attento e consapevole, sia come partecipazione attiva (esecuzione musicale), nell’ educazione della persona. Anche il mondo scientifico, ci sta dando conferme in questo senso. In “Musicofilia”, Oliver Sacks, riferisce di un esperimento condotto da scienziati giapponesi, su bambini che hanno studiato il violino per un anno; a differenza dei coetanei che non avevano avuto alcun insegnamento musicale, importanti cambiamenti si erano registrati nell’emisfero cerebrale sinistro. Lo stesso Sacks, inferiva che, la musica, nella stragrande maggioranza dei casi, poteva avere la stessa importanza pedagogica, della scrittura e della lettura. Purtroppo concordo sul desolante panorama dell’insegnamento musicale in Italia.

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  3. Amedeo, grazie per l’attenzione che hai riservato al mio pezzo e per le tue riflessioni a sostegno dell’idea che ho cercato di esprimere. Danilo Dolci è stato un pioniere, il cui valore non è ancora pienamente riconosciuto

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  4. altro bellissimo articolo molto stimolante, per cui non posso che ringraziare Roberta.
    “la musica è metafisica in suoni”, diceva zio Arturo, e non credo che Dolci fosse di diverso avviso quando parlava di “metafora del vivere”. Bach, con Beethoven e Mozart, sono la ss trinità della musica classica, anche se in fondo esistono compositori altrettanto geniali/innovativi ma meno conosciuti (tipo il “rivoluzionario” Claudio Monteverdi, che andrebbe recuperato su Neobar, visto che traghettò la musica rinascimentale verso quella barocca). tra i compositori moderni, a Bela Bartòk preferisco Giacinto Scelsi (per certi versi, un neo-barocco!) e Arnold Schönberg. ma non divaghiamo.
    : ))
    indubbiamente la musica ha un potenziale formativo che, a mio modo di sentire, nessun’altra forma d’arte possiede. ad esempio, la scoperta di una indissolubile continuità tra armonia e dissonanza ha segnato la mia vita (nulla può essere completamente armonico o completamente dissonante) dando il la alla mia guerra di trincea contro gli assoluti. l’interdipendenza di armonia e dissonanza (l’una contiene sempre il seme dell’altra) è un’ottima palestra che allena i discenti a scardinare il moralismo di cui è intrisa la retorica di qualunque sistema di potere. eh, bene o male tutta la musica – non solo il punk o il rock – è rivoluzionaria…
    : )
    forse proprio per questo la musica è stata – ahimé – sempre più marginalizzata nelle scuole non solo italiane (eviterei autorazzismi ingiustificati: uno studio del 2011 di Rodríguez-Quiles et al. ci dice che l’Italia per la scuola materna con 2 h/settimana è sopra la media europea, mentre per la scuola primaria e secondaria, con 1 h/settimana è in linea con la media europea). non bastasse, il dramma è che tutta la cultura umanistica è sotto attacco: giusto oggi il “sola” 24 ore ospita un mirabile articolo a firma di Trovati dove si lancia l’allarme Italia: “troppi umanisti!” e a chiosa “l’industria impone nuovi orientamenti, servono più lauree scientifiche”. amen
    : ((

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  5. Grazie a te Malos, alla tua gentilezza e alle riflessioni che hai aggiunto. Sì forse il problema non riguarda solo l’Italia ma conosco musicisti italiani costretti ad andare via perchė qui non trovano orchestre. E forse quelle ore nella media per quantità, non lo sono per qualità. Ciao un bacio

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  6. Grazie per questo bellissimo articolo. Tanti anni fa feci un seminario con Danilo all’università di Palermo, e la musica emergeva come utopia concreta che si realizza. Non è ancora arrivata del tutto l’onda di ritorno del suo pensiero oltre il tempo, ma ci stiamo arrivando, in un’epoca dove i punti di riferimento mancano ma i più coraggiosi trovano il sistema per mantenersi a galla e andare avanti.

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