Abele Longo: Quando non lavori come cerchi di arrangiarti? L’Inchiesta a Palermo di Danilo Dolci

In Inchiesta a Palermo (1956, 2013), Danilo Dolci, l’attivista, poeta, scrittore, che aveva scelto la Sicilia come terra d’elezione portando avanti tante battaglie per la difesa dei diritti della gente e dell’ambiente, commenta i risultati della sua inchiesta sulle condizioni di miseria e degrado a Palermo e provincia agli inizi degli anni Cinquanta. Si tratta, come spiega, di una indagine sugli “industriali”, come venivano chiamati coloro che “s’industriano”, si arrangiano. Ovvero i tanti poveri e disoccupati costretti a inventarsi mestieri tra i più disparati, come racconta Gian Franco Mingozzi nel cortometraggio Li mali mistieri:

Sono storie di profonda verità, che Dolci raccolse come documenti antropologici per sensibilizzare l’opinione pubblica del tempo, corredate da statistiche utili per capire la realtà di quegli anni. Veniamo ad esempio a sapere che, secondo i dati desunti dai bollettini statistici del Comune di Palermo, “la popolazione presente al 4 novembre 1951 risultava di 488.079 persone (residenti 482.960); alla fine del 1955 di 555.563 (residenti: 541.896). Secondo i risultati del censimento, 111.131 famiglie abitavano 96.414 abitazioni; altre 2.807 famiglie, con 12.602 persone, abitavano 2.367 ‘grotte o baracche’. Nel ’54 le grotte o baracche ‘ufficiali’ salivano a 2.461. Nel ’51, su 3.551 matrimoni, 101 risultano con la sposa non ancora sedicenne, 30 bambini nati prima che la madre compisse il sedicesimo anno. Contro 12.924 nati vivi, 2.812 aborti dichiarati; 439 i nati morti. Sempre nello stesso anno: 16 suicidi e 32 omicidi.”

Tra le diverse domande che Dolci rivolge nella sua inchiesta, c’è la seguente: “Quando non lavori come cerchi di arrangiarti? “. Ciò che emerge è l’esistenza di una, chiamiamola così, flânerie sottoproletaria, un andare in giro in cerca di cibo e novità da raccontare agli altri. Una flânerie che vediamo in Uccellacci e uccellini (1965) di Pasolini, con Totò e Ninetto che vagano nella Roma delle borgate estreme che sconfinano nella campagna e che sopravvive anche nei film di Ciprì e Maresco.

Tornando alle statistiche, 106 rispondono che s’arrangiavano alla meglio, come capitava, senza aggiungere altro; 70 rispondono che, quando non lavoravano, cercavano d’arrangiarsi coi debiti. Ecco alcune delle risposte sull’arte di arrangiarsi:

Stando in piazza con la speranza che qualcuno mi dia di lavorare.
*

M’industrio, se capita va bene, se no si stenta la vita e si vive di solo pane. Per uso famigliare faccio legna, vado a verdura.
*

Quando ci sono finocchi si cogliono e si mangiano in casa. E quando non c’è niente da fare, si va a letto.
*

Vado a chiedere l’elemosina a mio padre o ai miei zii, ma loro mi possono dare da mangiare sempre quando non lavoro!? L’altra volta ero disperato, non sapevo come fare. I miei figli piangevano che non potevano resistere con la fame, mia moglie piangeva avvilita come i bambini, io non ne potevo più; in un minuto ho deciso di andare a rubare. Abbracciai mia moglie e i miei figli e cominciai a piangere, pure mia moglie e i miei figli, che sono tutti piccoli, non avevano capito niente della mia intenzione, non avevano capito che quello era un abbraccio di addio, perché, sa, come quando rubano i grossi non li arrestano, quando si muove un miserabile lo arrestano prima che si muove. Allora uscii di casa disperato e piangendo incontrai una persona che mi vide come ero in faccia e si allarmò. Mi domandò che cosa mi era successo: non volevo dirlo perché mi vergognavo, ma poi ci dissi tutto. Mi rassicurò di tornare a casa che ci pensava lui, infatti ora è quattro giorni che lavoro. Sarà per 15-20 giorni di lavoro, ma meglio di niente. Certo che se non fosse stato per questa persona sarei andato a rubare e forse per ora sarei in galera. Non è peccato lasciare una bambina come questa? Questa è mia figlia, la più piccola.
*

A passeggiare in piazza, a contare tutto il selciato che c’è.
*

Non faccio altro.
*

Io con i debiti non so quanti, dagli amici e dalla bottega. Quando uno fa figura mala, poi va da altre parti.

*
Io lo dico, vado al sindaco, dal maresciallo, e ci dico: “O mi date lavoro o rubo”. Ma non c’è niente. Quando non lavoro, mi dispero. Gira, rigira, cammina, vado vedendo che si dice, se c’è lavoro.

*
Ho quattro galline.

*
Ci si adatta pure a rubare. Giuliano era una persona per bene.

*
Niente, uno non si può arrangiare: d’inverno che si fa? Quando sono disoccupato, carico sale, verdura, cose alle botteghe dal camion per 25 lire al viaggio, un 200-300 metri, certe volte: casse di 50-60 chili.

*
Quando ci ho da mangiare mangio, quando non ci ho sto digiuno.

Risposte che rivelano tutta una cultura, fondamentalmente contadina, e un rapporto con la fame atavico che caratterizza da sempre la nostra storia. Domande che andrebbero rifatte, a Palermo come ovunque, vista la loro attualità. Di fame – termine che si tende a non usare, quasi come a volerne rimuovere il problema – ce n’è tanta anche nei Paesi considerati più sviluppati, ma non si domanda più come ci si arrangia.


2 risposte a "Abele Longo: Quando non lavori come cerchi di arrangiarti? L’Inchiesta a Palermo di Danilo Dolci"

  1. grazie Abele. post importantissimo, che mostra tutta l’umanità e l’intelligenza politica di Dolci e ci rammenta come il pilastro fondante della società in cui viviamo (oggi come allora) sia proprio *il lavoro*.
    il lavoro è il principale strumento a disposizione degli individui per garantirsi un’esistenza libera/dignitosa e per realizzarsi come persone. non a caso, la nostra costituzione afferma con estrema chiarezza all’articolo 1, che l’Italia è addirittura “fondata – ripeto, *fondata* – sul lavoro”. ancora, all’articolo 4, si legge “la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”.
    eppure nel 2012 un ministro italiano, artefice di una riforma del lavoro (!!!), con la sua bella faccia di tolla lacrimosa si è permesso di affermare in un’intervista al Wall Street Journal l’esatto contrario (“il lavoro non è un diritto”)…
    e ciò in barba al fatto che era stato tenuto a giurare, all’insediamento del consiglio dei ministri: “di essere fedele alla Repubblica e di osservarne lealmente la Costituzione”… se non è alto tradimento e attentato alla costituzione questo!!!!
    scusa se m’accaloro, ma come medico di famiglia vivo in trincea e la settimana scorsa mi sono trovato di fronte all’ennesima tragedia: un mio paziente di 54 anni, in difficoltà col lavoro e assediato dai debiti si è suicidato… ormai tra i miei 1500 pazienti ho più disoccupati che ipertesi e diabetici. e vai di depressione, ansia, suicidi, abuso di alcoolici, violenze familiari…
    la letteratura medica (chiedo spesso aiuto ai numeri: sono così onesti) ci informa che a un aumento dell’1% della disoccupazione corrisponde un aumento dello 0,8% dei suicidi nella fascia tra 25 e 64 anni di età e che periodi di crisi superiori a 7 anni determinano un raddoppio dei casi di depressione osservati nella popolazione.
    ecco. e sai, secondo me, qual è la nuda e cruda verità? che in guerra ci siamo già, da oltre un decennio… altro che Kim Jong-un!
    guardiamo i numeri: la seconda guerra mondiale (5000-10000 miliardi di danni) è stata meno nefasta della crisi innescata dai mutui subprime (22000 miliardi di danni). di più, dal 2007 al 2016, tre milioni (tre milioni!!) di italiani sono scivolati sotto la soglia di povertà *assoluta*, col risultato che oggi circa 1 italiano su 6 è in condizioni di povertà (assoluta o relativa)…
    se non è un bollettino di guerra questo!! d’altro canto il globalismo liberista e le sue armate sanguinarie (le unioni monetarie, la finanziarizzazione e le liberalizzazioni selvagge), hanno sferrato il più duro e deliberato attacco al lavoro dai tempi della rivoluzione industriale. e come appare evidente a chi ha un minimo di cognizioni di economia (Keynes docet), l’attuale crisi continentale con annesse deflazione salariale/disoccupazione/precarizzazione NON è conseguenza di stringenti urgenze economiche, ma di precise scelte politiche (contrabbandate dai media di regime, a seconda delle occasioni, come proficue per tutti o come inevitabili/giuste punizioni per pregressi peccati capitali).
    speriamo davvero che i popoli europei, ma soprattutto gli italiani, ricomincino a farle e a farsele, un po’ di domande…

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  2. grazie malos! E sull’articolo 4 Dolci ha portato avanti tante battaglie e scritto anche un libro utile per concludere, ahinoi, come poi, a proposito di politici, le cose non sono così cambiate. Del ministro a cui alludi, ricordo quell’infelice “choosy” riferito ai ragazzi che non hanno voglia di lavorare, scelta lessicale che rivelava quanto il ministro vivesse in un mondo tutto suo, di tè e biscottini inglesi.
    La tua testimonianza – mi dispiace molto per il tuo paziente – conferma quanto il problema sia grave e le cifre che citi sono raccapriccianti. Speriamo, appunto, in qualche domanda in più, che se ne parli veramente della situazione. Si continua a pensare alla povertà come a qualcosa del passato o geograficamente lontana.

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