Maurizio Manzo: Il ritrovo

Non devono essersene accorti, ma stava per uscirmi di bocca con forza, ho visto in controluce parti di lettere che schizzavano assieme alla saliva e si impastavano con minuzie di polvere.

A chi viene in mente di ricomporre e passare al setaccio la mia saliva, pensate se lo facessero con Gasparri, ma c’è ben poco da scoprire con lui, certe cose non le direbbe neanche se glielo chiedesse lui in persona.

Per me, invece, è già la terza volta che stava per venirmi fuori, rischio anche la similitudine con l’eruzione del vulcano, ecco, per dire quanto è cocente questo impedimento, comincio a pensare che sia naturale negli esseri umani, che debba essere naturale, ma non posso parlare come penso, al ritrovo non è possibile né con tutti loro.

Ormai vengo da troppo tempo ogni giorno qui al ritrovo, passo sempre davanti al mare, il vento dispone quasi ogni notte i segni di altre presenze tra le maglie delle recinzioni; se ci pensate, le onde secondo il punto di vista, si arrotolano come il filo spinato che chiude certe recinzioni, Andrea le vede sempre in questo modo, quando indica brandelli di vestiti che colorano i litorali.

“Guarda lì, Carlo, io ci farei un vessillo con tutti questi pezzi di stoffa, sono una conquista, questa gente che si disperde nella putredine.”

Così urla Andrea mentre percorriamo il lungomare seguiti dal chiasso degli uccelli. Al ritrovo abbiamo una finestra e vediamo tutto quello che svolazza sputato dal mare. Enrico oggi ha dato una lezione a Veronica, le ha spaccato uno zigomo con un gomito, si è portato davanti a lei dandole le spalle e mentre diceva “che cazzo vuoi recuperare te!” le ha mollato un bel colpo.

Enrico è, come dire, il nostro capo e in sequenza ognuno sotto di lui è il capo dell’altro, per questo motivo nessuno può fidarsi di chi gli sta accanto e non può lasciarsi andare.

Veronica non aveva pronunciato niente che le fosse stato impedito, però aveva mostrato attenzione o meglio, comprensione, verso Renzuccia, che in realtà si chiama Renzo, un ragazzino che spesso picchiano e inseguono fino a fargli scoppiare il cuore: “così se gli crescono le tette ha il petto già pronto!”

Aveva un colore così rosso, il sangue di Veronica, che distoglieva dal resto, dal suo sguardo dalla finestra dal mare dal cielo. Il sangue scivola sul suo viso e gocciola dal mento, compie un delizioso percorso segnandole il viso tondo.

Enrico non aveva mai parlato di punire anche le intenzioni, ma non si può prescindere dalle intenzioni. Tutti iniziamo a sentirci in pericolo, ognuno di noi ha qualche cedimento e qualche buona intenzione, ma a lei, l’innominabile, non ci si può neanche pensare, l’obbiettivo è non pronunciare, ma soprattutto allenare l’anima e meglio ancora la coscienza, a farne a meno.

La stanza principale del ritrovo è grande e mezzo vuota, quando il mare è calmo si sentono i ronzii nelle orecchie di ognuno di noi, e quando il mare è calmo, la finestra diventa come un grosso schermo dove i brandelli di stoffa sono animati e si muovono verso di noi. Ricordo di aver guardato Enrico senza pronunciare parole, però pensavo chissà cosa provano nel sentire la terra ferma sotto i piedi.

Poi non ricordo altro e vedo il buio tutto il tempo, anche se conto le ore e aspetto che arrivi la luce del giorno.


3 risposte a "Maurizio Manzo: Il ritrovo"

  1. Un frammento che presuppone una narrazione di respiro più lungo, per certi versi mi ricorda “Il signore delle mosche”, ma con delle preoblematiche più ampie, qui l’isolamento del gruppo non è fisicamente obbligato, e tutto giocato sulle relazioni personali, la via di fuga ci sarebbe, e si potrebbe cominciare a buttar fuori dalla bocca tutte le lettere che si vogliono, però per il gruppo le persone del mondo esterno sono solo brandelli di stracci sulle recinzioni. Un bel narrare, molto articolato.

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  2. potenza evocativa della tua prosa a parte (cosa che da sempre riconosco e ammiro), questo brano mi ha fatto pensare ad un contesto molto attuale e almeno in parte allegorico. intendo, non ho potuto fare a meno di somatizzare che quello che vorrebbe emergere dalla gola di Carlo sia un rigurgito d’umanità, un moto di empatia che non è più permesso (vedasi la “lezione” che Enrico impartisce a Veronica). i “brandelli di stoffa” ovviamente sono brandelli di vite naufragate, sputate dal mare, brandelli di stoffa di cui Andrea vorrebbe fare una bandiera, un vessillo, che sventoli alto e gaudente in segno di vittoria. ebbenesì, davvero incommensurabili sono i successi del liberismo e del colonialismo finanziario globale. non bastasse la tragedia dei migranti e l’inevitabile guerra tra poveri, il futuro prossimo venturo non potrà che essere ancora più “buio tutto il tempo”, visto che, come ci insegna la storia, quando siamo prossimi al redde rationem di lunghi periodi di sbornia liberista, il peggio deve ancora venire.

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  3. Questo racconto è nato per caso, ai primi di dicembre ho visto su fb questo concorso “laventicinquesiamaora” organizzato dalla scuola di scrittura Belleville, dove una volta comunicato la traccia da seguire, avevi ventiquattrore per scrivere un racconto di circa 3500 battute…la cosa mi ha incuriosito e la traccia svelata al via delle ventiquattrore era intrigante: “Cosa succederebbe se un intero racconto – con i suoi personaggi, gli eventi e le azioni, l’incipit e la conclusione – ruotasse intorno a una parola che non si può nominare?” la traccia è ispirata dal racconto di Dino Buzzati “la parola rubata” e io mi sono immaginato cosa poteva succedere nel caso si vietasse di pronunciare la parola TOLLERANZA, che già accade, e il risultato è la violenza e il buio finale…l’ho scritto in poche ore rubate, perché non ho avuto modo di lavorarci bene e al concorso non se lo sono cagato, giustamente, però pensavo potesse essere interessante per il giorno della memoria riflettere sul buio mentale che ci “stanno-stiamo” ricreando.
    Un caro saluto a Giancarlo e a Malos e a chi si è soffermato.

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