La Parola chiamava forte e per nome Carlo Alberto Simonetti, che non mancava di “risponderle”:
La parola?!
Penso sia la vita stessa, in qualche modo.
Minuscola forse.
Non so più immaginare alcunché se non immergendomi nella dinamica,
tra un confine e l’altro del suo universo.
I suoi confini sgorgarono con l’aurora del tempo in prossimità del principio,
prima, molto prima che le immagini prendessero a sciogliere il proprio corpo
in trame di gocciole sonore!
…
La fossa
il fischio del treno fascia la notte
nel rumore del frigo
la lampada elettrica
e i tuoi rimproveri poiché non ti amo
accendi una sigaretta nuda
Io non ti amo questo è il fatto
qualcuno dà l’accento
alle nostre scoperte
con i suoi passi prigione
di asfalto e d’assenza di giardini
eppure tutto questo aveva le dimensioni del tuo
corpo
dieci anni fa
quando un vestito era la nostra taglia
ora la coperta del tuo letto
sgretolata di pioggia e di città
riempiti fino all’asfissia
di edifici in libertà
la verità è che non abbiamo mai sfogliato
tra le ciglia-prigioni di mari sconosciutiti
le nostre storie
conosciamo le nostre pelli
come avremmo potuto conoscere
le nostre anime distorte
quando incontriamo un mendicante
tu-io io-tu
con gli altri
stiamo come sempre
accoccolati sulle nostre pelli di tagliaborse
fare l’amore con te è un’esplosione universale
ancora
ma questo è un fatto di pelle
che non mi ritrova
sui conti della spesa
e sulla casa da pulire
di cui a me non frega niente
non hai torto
sono assurdo
come la neve d’agosto
che sta cadendo sul nostro letto disfatto
posso solo aiutarti se me lo chiedi non riesco
ogni giorno a pensarci
&
forse non ne ho voglia
vivo ogni giorno come te
168 ore
ne lavoro 40 ne dormo 56 come te
no non ti amo
e la fossa delle ore
affoga di secondi
nel rumore del frigo.
Il fischio del treno fascia la notte…
(24/12/74)
dalla raccolta “Il pugno nero del cielo” 1974
*
Morte
Non accorato, non triste
ma un male piuttosto
d’essere lontano chissà da chi?
o chissà da cosa?
e ustola
nell’animo un senso di rivedere
o di rivivere
ma forse
principiare a vivere, o a…
E vago per trame d’asfalto
quasi a districare la genia alogoi
e il gagnolio… dei pensieri!
Rullano!
Rullano del rullio del motore
ovattati quasi, e impercettibili
ma tenaci ed intrusivi
ma effusivi anche
come “l’Ainda dei Madre Deus”
che m’avvoltola di vaghezza
in una sorta d’ebbrezza, sonora…
perché non spegnere il lettore, allora?
e perché?
per ritrovare la mutezza?
È una sera inquieta
viva forse
ma trepida
e mi porta al monte!
È la sera della sete, e della vetta!
della sosta e…
del posteggio.
Come parcheggiare l’anima sulla cima e…
è appena notte!
appena appena, e già mi aspetta…
è turbata la notte!
è smaniosa
è concitata:
da un gorgogliare che avviluppa
da uno strosciare arcano
di sorgente indistinta
di fonte sfuggente;
da un crocchiolare smarrito
senza impronte, e…
dentro l’orizzonte
solo un lampeggiare
deforme!
Come tra l’onda…
solo le lampare!
Sale una condensa
di comparse
e d’anonimia
a strati!
E vi galleggiano su
le luci delle facce
dei giorni
e delle storie:
noumeni…
luci a filo di tenebre e di nebbia.
E fluttuano spere
di fotoni artificiali
e i riflessi
di presenze fosche
dalle facce futili, sterili un po’, e…
dalle storie, non dimeno, e dai giorni
di colori velati
quasi evanescenti
anzi già svaniti
Latenza
ombre di ombre!
vive:
del baluginare
e di motilità riflesse!
Alternanza, forse!
che nella nebbia insedia.
Latenza!
E nel rezzo:
inedia e paura…
al fine!
Scorre, scorre, e scorre
la paura
ma è scorsa anche
tra gli argini degli anni
dissimulata, travisata…
scorreva…
e si scorgeva…
dissimulava e travisava
tra gaudio e tripudio…
Sale una condensa
di comparse
e di anonimia
a strati!
E vi galleggiano su
le luci delle facce
dei giorni
e delle storie:
noumeni…
luci a filo di tenebre e di nebbia.
Perché la morte?
ma perché la vita piuttosto?!
Perché la folle corsa dentro cornici di platino
o tra gli affreschi di volti disfatti…
Cosa è la morte?
ma cos’è alla vita?!
“…chi non vuole lavorare nemmeno mangi”
Solo, dietro un parabrezza, ormai
si hanno occhi per il cielo!
Poi l’area del fare, fare, fare
o sito del lavoro
o cantone
e sono lontane, lontane
quanto la vetta dalla valle
le dispute per le contrade degli idiomi
e dai paraggi desueti…
perciò
dirigo le risorse a velocità legali
contro striature avvampate di tramonto
o nubi inzuppate di crepuscolo
o d’un rosseggiare ostinato
che inalba, altre volte
e gocciolano…
<< E colano esili gocce da muscoli spossati, e zirlano le mosche i loro sibili concitati! sulla soglia del travaglio odo solo gocciole, e note talvolta, rotolano lente, e tintinnanti. Suono ottenebrante per sguardi ottusi e senza cielo… nel sudore qualcuno scova miniere di diamanti! >>.
Ma sono gocciole altre, vedi?
Un rotolare di silenzio ebbro, gocciola!
Gocciola nubi.
Ebbre!
Ebbre di toni calmi e velature,
nubi ottuse, simulate di rosso svagato! e…
nubi altre,
o avidità di tenebre!
Le tenebre voraci di aurore,
inafferrate sempre.
E gocciole ancora, altre!
Nell’intruso silenzio,
gocciole di gocciole!
e l’ustolare intemperante…
gocciola!
cupido degli affanni
gocciola!
Asserragliato di brame
e di mutezza barricato.
Cruenza e fragore, insomma.
Sale una condensa
di comparse
e d’anonimia,
a strati!
E vi galleggiano su
le luci delle facce
dei giorni
e delle storie:
noumeni…
luci a filo di tenebre e di nebbia.
Dunque questa è la solitudine dal monte
questo il suo rumore…
rigoglio di presenze, tra la distanza e il buio
dietro il baluginare dei lampioni
dall’ermo monte
cui il solo raggiare
è già stupore.
Luccichio di diamanti
rapinati al sonno
d’un sudore covato…
o lucciole!
Le care lucciole!
Che perdono il volo
solo che le tocchi.
“Perché tanta operosa follia?”
Veniva un vecchio contro un tramonto
lo sguardo allibito
un bastone nodoso appena scortecciato
e la mano tremula avanti a sé,
veniva su rigidi passi dalle gambe larghe
e un giornale nella mano!.. l’altra.
Balbutivano occhi
di tramonti andati!
Agli sguardi incrociati
balbutivano,
e alle presenze intuite:
“…leggeme, leggeme, leggeme tu?!”
Verrà, verrà la morte Epicuro!
Verrà la morte e condurrà gli occhi allibiti!
Delle tue parole spente…
allibiti!
o bastoni appena scortecciati!…
le parole!
O suoni sgretolati di significanza
e muti
qui
non fuori del tempo
dove il sole tramonta di tra le gambe rigide
di passi spalancati che vogliono
o imparano a volare.
Verrà la morte e sarà come
uscire dal gorgo di mutezza
tra aurore di silenzio…
Sale una condensa
di comparse
e d’anonimia
a strati!
E vi galleggiano su
le luci delle facce
dei giorni
e delle storie:
noumeni…
luci a filo di tenebre e di nebbia.
Luci a filo di paura.
E insidia di nebbia…
l’ansia
e pungola…
la paura
e ottenebra…
la nebbia
e annebbiano…
le tenebre
solitudine, paura, nebbia, tenebre
e…
“…chi non vuole lavorare nemmeno mangi”
La solitudine, la solitudine, la solitudine
e la paura!
la paura d’essere Dio?!
Affanna, la solitudine.
Proprio così Marcello!
È un vortice macabro
il rumore di Seneca
scava le sue miniere
ed è paura…
tintinnano le virtù
e la solitudine di Dio fa paura.
Nella solitudine la paura di esserlo allora!
Allora tramonti di fervore, e di travaglio, per albe d’angoscia e:
“… leggeme, leggeme, leggeme tu!”
… le cose, le parole, i gesti, il lavoro
l’amore, l’altro, la patria
la morale, il tempo, la sapienza, l’arte
e campi, campi ancora, campi altri…
o giardini.
I giardini pensili della paura…
Verrà la morte e mi raccoglierà
in un alito.
Un alito di solitudine, finalmente
o talea di Dio sulle fatiche disfatte
e sarà come guardare giù di qui:
“Non accorato, non triste
ma un male piuttosto, d’essere lontano chissà da chi?
o chissà da cosa?
e ustolava nell’animo un senso di rivedere
o di rivivere
ma forse principiare…
a vivere, e…
non più feto nell’utero del tempo!
Nato, finalmente!
corpo di solitudini placate…
nascere, nascere, nascere finalmente!
da “Lo Scrigno, I Bagliori, Le Cose“, raccolta edita 1996 tip. Visconti Terni
*
Ascolto favole tradotte
dalla polvere del tempo
favole narrate dal vento.
Colgo lo scolo del displuvio
dalla falda della vita
dalla falda della morte
racconti e folate da ascoltare
silenzi e aferesi dell’affabulare
senso e verso, ma sono stanco
di specchiarmi nel maestrale
dei secoli andati per ascoltarmi
tra le pieghe e le scie del futuro
Ascolta con gli occhi
Le parole evase
le parole esitanti
le parole implumi
o occhi di passero
mal appena snidati
le parole dei moti
mal appena annebbiate
nuvole immote e
colori di vespro
oggi! è mattino e
sapore al tramonto
nel gelido inverno
dita latitanti del maggio
ornano una volta allibita
intrico di vie e
parole imboscate o
bosco d’incanto e
gli occhi! Solo gli occhi
lobo del poeta
dalla raccolta “Pensieri con gli occhi” ed. Thyrus 2005
*
Acque incostanti di un torrente infido
colano contro
la mia preghiera e
contro la mia fede.
Anche i miei passi
colano e spremono
acquitrini
dalle tette della terra e
dalle labbra della mia presenza.
Vorrei scalare le parole
della lode e del grazie,
ma scivolo
sul sesto grado, umido
della mia vetta orizzontale
che si annuncia…
alla palude mia.
*
L’amore negato
Sono il riassunto
dell’amore negato
intruso del viaggio forzato
resto apolide
escluso
dall’amplesso e dalla tenerezza.
Non pellegrino,
profugo nel guado
del fiume terra promessa.
Infine assumo
tutte le energie del pianto
mai versato
per tanto amore respinto,
ma risarcito
dal miracolo di ricordi futuri
appesi alle code dei tuoi occhi
saldati in comete
che sovrastano i cieli
del viaggio che mi trascina.
Sono il riassunto
dell’amore scippato.
*
A proposito di amore
Il mio epilogo scrive
la storia della barriera
-uragano e turbine-
tra me e l’amore.
Vivo all’ombra delle montagne
non abito la vetta,
un po’ la immagino
e un po’ spero di vederla
nelle figure raccontatemi
e da lontano
d’incontrarla
oltre il suono delle parole.
Non so l’amore e
non so trovare più
un vocabolo indolore
in tutta la mappa delle mie relazioni
andate e da venire.
Non so l’amore e
mi fa male tutto e ognuno.
Oramai rimangono
l’uragano e il turbine
per barriera.
Tra me e l’amore
solo uno spreco di ricordi e
amplessi sgualciti
eiaculati nel panico della noia
e sperperati
nelle pattumiere dell’amnesia.
Il rosario dei miei anni
ha sessantatré grani
misteri e volti
li ho sgranati
tra preghiera e imprecazione
e non so se per l’una o l’altra
alla fine dell’Acheronte
incrocerò la vetta
del monte di Venere.
L’amore forse.
*
Appendice dei miei desideri
e subbuglio
appendiabito di ogni giorno
resto in riva
al preambolo dei tramonti
e raccolgo
aliti di sogni, incubi e bonacce e spruzzi
dal mare del mare e
delle sue tracce
sospese o
appese
alla meridiana dei silenzi.
*
La notte è un grattacielo smarrito
dentro lo stormo di stelle
dove volano pensieri
parole e sguardi senza terra,
senza gravità, senza meta,
ma ci sono e volano
tra le arcate dell’universo
a caccia di un senso
e coprono il suolo dei giorni
con il guano dei putridi perché.
Ma tu che ci fai tra le parole
se non diventiamo mai
una frase compiuta?
*
I cieli della mia infanzia
ciottolosa e acciottolata
camminano per strade
d’asfalto, oggi
lungo il dicembre.
Siepi di primavere
legano e sbarrano
il letargo alle fronde
trillano, zirlano e
cinguettano come
mosche sonore
sul sonno
pelle d’inverno che
sbadiglia senza tregua
e non può stringersi a Morfeo
Un merlo in picchiata
sullo sparo di una doppietta si fa sentire
con gli occhi, prima che all’orecchio.
La polvere del tempo
si alzava polvere
per le strade allora.
I cieli di questa
improbabile età
nostra
sono nuvole
di polvere e nebbia rosa
colore di un tramonto accidentale
tra filari di pentagrammi
ulivi e note
di cortecce nodose
e promesse
immagini di oli
extravergini
spremuti alla mola
tempo diverso
dalla stesura dei miei ricordi!
Gli occhi si perdono
e fiati di parole
tamponano il microfono
del cellulare
che vellica l’orecchio
del mio amore
più antico dell’udito
che mi riceve…
verso un orizzonte
che non so.
*
Redattore di stupore
Non un docente
il poeta non insegna
impara il silenzio
dell’ascoltare
dagli spruzzi di colore
dalle parole e
gli aliti o dita
delle loro carezze
e le racconta stupito
che lo stupore sia
un contagio
sepolto dalle grida
delle briglie
tratte dalla presunzione
di sapere.
Un redattore di stupore
è il poeta…
*
Sì questa è una notte strana
di carta vana
e francobolli inviati
al telaio dell’anima arcana
di poesie e racconti
di narrazione singolare
la danza dei miei libri amorale
un po’ solitudine e un po’ corale.
avere libri attorno
isola io e loro mare
migrazione di sogni a occhiaperti
scendono a leggerti loro
e la lettura di te tu inverti
e questo è l’amorale
che solo averli attorno
è uscio
e migrazione fatale
impostati nella notte tana
di una crescita strana
testi scelti presenti in rete e tratti da varie pubblicazioni tra cui “Vicoli ciechi ed usci“ed. Thyrus 2008
*
Carlo Alberto Simonetti (1943-2015) è stato un intellettuale ternano, uno scrittore, un poeta che ha saputo declinare la sua creatività artistica in svariate soluzioni, come la regia, la sceneggiatura, la recitazione. Noto e apprezzato nella sua città così come nei circuiti letterari frequentati anche in rete, negli anni settanta uscì con “Terra raggruma sepolcri luce” e “Il pugno nero del cielo”, sillogi poetiche improntate dalla letteratura beatnik. Sempre in quegli anni partecipò e convogliò la rabbia, la fantasia e le nuove attese di giovani poeti ternani nell’antologia “Brani dai viaggi sul Nera”. Fondò con Marcello Ricci una delle prime emittenti private, Radio Evelyn, facendo scuola con la rubrica “Mantide religiosa”, dove puntualizzava con caustica e irriverente ironia i difetti della classe politica locale, sollevando non pochi vespai sotterranei. Negli anni ottanta, spinto da un forte moto interiore si dedicò allo studio e alla meditazione di temi teologici e filosofici e più in là, proseguendo ancora, si dedicò al teatro collaborando a diversi spettacoli del Progetto Mandela contro razzismo e intolleranza. Del 2002 è “Lo scrigno, i bagliori, le cose “ opera in versi, e poi le sillogi “Pensieri con gli occhi” 2005 (ed. Thyrus), “Racconti a quadretti” 2006 (ed. Thyrus), ” Vicoli ciechi e Usci ” 2008 (ed. Thyrus).
Leggo con piacere questo poeta che non conoscevo e resto stupefatta dai suoi versi pervasi da un’umanità così intensa e meditativa; per-corsa da un sentimento del tempo e da una quotidianità “perdente”, ma non rassegnata ove il canto lascia spazio all’interiorità. La solitudine e lo scacco aprono un varco all’inquietudine esistenziale che si pone in ascolto…
Intellettuale ternano, Carlo Alberto Simonetti, che lascia con i suoi scritti e il suo impegno, una traccia indelebile della sua feconda operosità. Grazie Doris, per questa proposta!
Un saluto,
Rosaria Di Donato
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Grazie a te Rosaria, per le parole attente e precise, lasciate con entusiasmo. Questa è la prima pagina dedicata a Carlo Alberto Simonetti ma ne verranno altre, nell’intento di puntare una luce su quella che è stata la sua produzione poetica e letteraria che certamente merita risalto e attenzione. Carlo Alberto Simonetti oltre alle pubblicazioni avvenute aveva in serbo un romanzo, una lunga favola, riflessioni, una nuova silloge già definita, insieme a molto altro materiale che spero un giorno prossimo possa trovare il modo d’essere divulgato.
Un caro saluto…
Doris
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