Beat Generation. Ginsberg, Corso, Ferlinghetti. Viaggio in Italia
a cura di Enzo Eric Toccaceli
Poesia e musica per il finissage
mercoledì 28 marzo 2018
ore 17.30 – 19.30
Intervengono:
Ferdinando Vicentini Orgnani
Plinio Perilli
Damiano Abeni
Roberto Laneri
Sarà presente il curatore della mostra
Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea
Sala delle Colonne
A chiusura della mostra Beat Generation. Allen, Corso, Ferlinghetti. Viaggio in Italia, a cura di Enzo Eric Toccaceli, mercoledì 28 marzo alle ore 17.30, la Galleria Nazionale ospita un programma di poesia e musica, per ripercorrere insieme riferimenti alle figure dei poeti protagonisti della Beat Generation e all’epoca che ha accompagnato questo movimento.
Il documentarista, e amico di Lawrence Ferlinghetti, Ferdinando Vicentini Orgnani introdurrà all’interno delle coordinate della Beat attraverso la proiezione del documentario Sessantotto – L’utopia della realtà (realizzato per Cinecittà Luce nel 2007), prezioso materiale audiovisivo con incontri e interviste a personaggi chiave legati al movimento. A seguire, spazio alla poesia attraverso una conversazione intermezzata da letture di alcuni brani insieme al poeta Plinio Perilli e a Damiano Abeni, scienziato e al contempo traduttore di poesia americana. Il musicista Roberto Laneri, jazzista ed esperto di canto armonico, offrirà un momento di musica restituendo sonorità legate al gusto sperimentale e di ricerca che inizia negli anni della Beat Generation.
La mostra, che espone un ricchissimo nucleo di materiale d’archivio sull’esperienza in Italia dei tre poeti, come manifesti, vinili, articoli di giornale, prime edizioni e preziose fotografie inedite scattate direttamente da Toccaceli, rimarrà ancora visibile fino a lunedì 2 aprile.
Ferdinando Vicentini Orgnani (Milano, 1963) è un regista, sceneggiatore e produttore cinematografico. Diplomatosi nel 1992 in regia al Centro Sperimentale di Cinematografia, ha scritto e diretto i film Vinodentro (2014), Ilaria Alpi – Il Più Crudele dei Giorni (2003) eMare Largo (1998). Ha prodotto e diretto film e documentari tra i quali: Un minuto de silencio (2013), Sessantotto – L’utopia della realtà (2007); ZULU meets JAZZ (2008) eTime in Jazz (2009) con Paolo Fresu; Viva Zapatero (2005 – Nastro D’argento) e Draquila – L’Italia che trema (2010) di Sabina Guzzanti (Cannes 2010). Scrive per Filmaker’s Magazine, con la rubrica “Contaminazioni”.
Plinio Perilli (Roma, 1956) esordisce come autore di poesia nel 1982, ottenendo diversi riconoscimenti anche internazionali. È inoltre critico e saggista, curatore di testi classici, antichi e moderni, nonché di un’apprezzata antologia interdisciplinare, Storia dell’arte italiana in poesia (1990). Tra le sue pubblicazioni, ricordiamo inoltre Petali in luce (1998), un vero calendario lirico-emotivo; Melodie della Terra, lo studio sul ’900 italiano in rapporto all’idea di Natura; la raccolta antologica Promises of Love (Selected Poems); il vasto compendio sui rapporti fra il cinema e tutte le altre arti, Costruire lo sguardo. Storia Sinestetica del Cinema in 40 grandi registi (2009). Ultimo nato, un vasto canzoniere – quasi un romanzo in versi – sull’amore in tutte le sue sfumature e sfaccettature, dedizioni e rivoluzioni: Gli Amanti in Volo (poesie 1998-2013), 2014.
Damiano Abeni (Brescia, 1956), epidemiologo, conduce un’intensa attività di ricerca clinica testimoniata da circa 200 pubblicazioni scientifiche internazionali. Dal 1974 traduce poesia nordamericana. Oltre ad Allen Ginsberg, Lawrence Ferlinghetti e Gregory Corso, tra gli autori tradotti si annoverano John Ashbery, Mark Strand, Elizabeth Bishop, CK Williams, Anthony Hecht, Charles Simic, Charles Wright, Frank Bidart, Moira Egan, Ben Lerner e Ocean Vuong.
Roberto Laneri (Arzignano, Vicenza, 1945) è un compositore e polistrumentista. Si esibisce suonando clarinetto, sax, didjeridoo ed è specialista di canto armonico. A partire dalla sua formazione negli Stati Uniti (Ph.D., Università di California), comincia a dedicarsi allo studio delle culture musicali extra-europee. Nel ’73 fonda il gruppo Prima Materia, che usa tecniche vocali dell’Asia centrale e Tibet in lunghe improvvisazioni di grande fascino e intensità, partecipando a numerosi festival. Parallelamente sviluppa un percorso discografico di spessore con progetti personali (Two Views; Anadyomene; Memories of the Rain-Forest; PRIMA MATERIA; Sentimental Journey; Escher; Breath) e collaborazioni. È docente e autore di libri di riferimento sul canto armonico, sul quale tiene conferenze e seminari in prestigiose istituzioni di tutto il mondo. Ha insegnato, inoltre, fino al 2011 al Conservatorio Cherubini di Firenze.
Informazioni
Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea
viale delle Belle Arti 131, Roma
Ingresso disabili Via Gramsci 71
orari di apertura
dal martedì alla domenica: 8.30 – 19.30
ultimo ingresso 45 minuti prima della chiusura
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L’ITALIA IN BEAT
Note e appunti
Il racconto per immagini di Enzo Eric Toccaceli, “BEAT GENERATION Ginsberg, Corso, Ferlinghetti VIAGGIO IN ITALIA” – un vero e proprio reportage o romanzo fotografico oggi esposto alla GNAM, da passeggiare e gustare, un’istantanea dopo l’altra, per metri e metri di corridoi, sale, ballatoi (comprese le pause, le vere e proprie aiuole o laghetti visivi, i policromi rettangoli delle grandi bacheche o meglio ripiani in vetro affastellati di libri, locandine, giornali, prime edizioni, cartoline, lettere, dediche buffe, care e fumettistiche) – ci consente di rivisitare, riattraversare il mito della Beat Generation, in Italia, anche come cartina al tornasole, decennio dopo decennio, di un certo modo di reagire nei confronti del nuovo; per propizio e fausto scardinamento!, diciamolo pure, epocale…
Perché realmente nuovo era lo spirito che animava e sempre animò questi paladini, viandanti di Libertà. E dunque, anche se stili e stilemi altri, o rivoluzionarie proposte espressive, a partire dalle grandi avanguardie storiche d’inizio ‘900, si erano sempre succedute, la Beat Generation significò qualcosa di realmente diverso: un’accelerazione forte, nei contenuti e nella forma.
“L’unica ribellione che si vede in giro”, scrisse alla fine del 1959, su Life, un caustico Paul O’ Neil. Ma intervistato da uno studente di scuola superiore, sempre all’epoca, Jack Kerouac disse che i beat erano semplicemente “i giovani che hanno trasferito la letteratura dalle università e dalle accademie nelle mani della gente, nello stesso modo in cui i giovani del rock-and-roll hanno trasferito la composizione musicale dal ristretto mondo dei musicisti alla gente.”…
Forse proprio per questo la Beat Generation, anche in Italia – prima e anche dopo l’esplosione di massa, il plauso benevolo, spesso maldestro della moda, ammettiamolo – ha avuto la vita così difficile, specie in ambiti accademici, e in seno al cosiddetto establishment della Cultura?
Come ben di rado accade, anche da noi (l’eterno cruccio di Gramsci), si mescolavano, finalmente, cultura ufficiale e quella popolare. Ma ci vollero spiriti liberi, per capirlo. Assolutamente moderni…
E fra i primi, il vecchio Giuseppe Ungaretti, che infatti presentò Allen Ginsberg (Jukebox all’idrogeno) a Napoli già nel febbraio ’66, paragonandolo all’Apollinaire della sua fervida e oltranzista giovinezza parigina.
Anche Pier Paolo Pasolini “marxista a New York”, confessò nell’ottobre del ’66 a Oriana Fallaci di amare molto le poesie di Ginsberg.
E poco dopo, riguardo a suoi film più antiborghesi, come Porcile o Teorema, ammise di dover molto alla polemica di Ginsberg, Ferlinghetti, Kerouac, insomma alla contestazione accanita e ispirata della beat generation: “È in quei tempi che culmina, nel campo della poesia e delle arti, la rivolta contro il dominio della società del benessere. Tutti sanno che poi questa rivolta sboccherà nella deflagrazione della rivolta studentesca”…
In verità, l’italica e più asettica Avanguardia ufficiale, prese un po’ le distanze. Certo non si registrò altrettanta, immediata simpatia in altre figure pur esimie e progressiste delle nostre lettere, che ritenevano in sostanza i beat un mero, balzano fenomeno di costume… (Italo Calvino, ad esempio, fin dai primi del ’60 ammise lealmente di non amare affatto né Kerouac né i suoi sodali, bollandoli come retorici)…
Ci volle l’intuizione delle pubbliche letture sulla spiaggia di Castelporziano (A.D. 1979, una specie di Woodstock letteraria, si disse), per cavalcare quello strepitoso fenomeno di massa come indiscutibile evento letterario. La poesia usciva dalla pagina e chiedeva voce, corpo, vis gestuale, un’attenzione performativa accelerata all’estremo. Non solo Ginsberg o Corso o Ferlinghetti: tutto il mondo si dava un po’ appuntamento in questi happening… La giovane musa russa di Evtushenko, ad esempio; assieme al rap di LeRoi Jones, o ai mantra intonati da Ginsberg assieme all’amico Peter Orlovsky.
Ginsberg qui è seguito per filo e per segno, dagli struggenti scatti di Eric Toccaceli (quasi dei rarefatti, silenziati “fermo-immagine”), in tutte o quasi le sue vicende italiane, da Spoleto a Torino, Venezia, la Milano dei “Magazzini Generali”… Spesso accompagnato dalla traduttrice e ambasciatrice per eccellenza di quell’avanguardia oltreoceano, Fernanda Pivano. Idem Gregory Corso, ebbro ed errabondo a Trastevere, Campo de’ Fiori, o che ritrova l’arcata del Colosseo sotto cui cui dormì, giovane e lieto, in un’estate di tanti anni prima, il ’57. Chiedeva d’essere sepolto al Cimitero degli Inglesi di Testaccio, di fronte alla tomba di Shelley. Come in effetti accadde nel 2001, alla presenza commossa di tanti amici…
Lawrence Ferlinghetti, l’unico sopravvissuto, pressoché centenario, tornò spesso in Italia, e ogni volta per rinsaldare il legame, il richiamo profondo delle radici, ancestrali e culturali. Anche il fervore sinestetico, i suoi quadri di poeta col pennello, che fluxa e rifluxa sulla tela, in un perenne action painting che noi crediamo fosse anche action poetry! Memorabili i suoi ultimi libretti d’autoironico, affilato parallelo… Not like Dante… O le parodie “Alla maniera di Cecco Angiolieri”… E i suoi viaggi in un’Italia postmoderna restituita per scorci buffi e felici: la vecchia fioraia di Piazza della Rotonda “con le sue mani nodose / e le dita piene dei / sottili anelli / delle sue vite precedenti”… “Lungo la via Appia / dei bambini stanno giocando / imitando soldati che marciano e battaglie”… E poi di fronte alle bianche montagne di marmo di “Carrara, guardando il mare”; o immaginando “John Lennon a Porto Santo Stefano”; e finalmente chiudendo, arringando visionario e imploso, “Alla maniera di Dino Campana”…
Quella linea ludica, motteggiante e sarcastica (“Castigat ridendo mores”), che, invece, al solito, dice meglio e solo la Verità, nient’altro che la verità, sia della vita che della poesia.
Plinio Perilli
Ringraziamo Plinio Perilli dell’invito che estendiamo a tutti i nostri amici romani: mostra sulla BEAT GENERATION alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna, mercoledì pomeriggio, dalle 17 in poi (please, massima puntualità). Nell’occassione del finissage, l’entrata
è gratuita.
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Sono andata ad ascoltare questo interessantissimo finissage e sono rimasta piacevolmente colpita dagli interventi tutti validi che mi hanno permesso di arricchire le mie conoscenze su questo movimento soprattutto perché tutti i relatori avevano conosiuto i principali esponenti della Beat Generation. Hanno apportato così ritratti vivaci ed espresso sentimenti di vera amicizia.
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