PREGHIERA IN GENNAIO di Rosaria Di Donato
dalla nuda umanità nascono il canto e la sete di Dio
(Rosaria Di Donato)
Sì. Cantare è riscoprire la nudità dell’animo umano, ossia, della persona, che deve spogliarsi delle sue maschere. L’animo (gr. ἄνεμος «soffio, vento»), che riacquista la leggerezza, mette l’uomo in cammino verso la verità levando a Dio un canto di pace e d’amore. Cantare, allora, è prendere coscienza di sé, “ascoltarsi” e rispondere al “richiamo”; è scendere in profondità elevandosi per donarsi al Padre e invocare il suo aiuto e il suo perdono. Così, l’animo si fa voce e orecchio, respiro di Dio e canto.
In verità cantare è altro respiro / È un soffio in nulla, un alito del Dio. Un vento (R. M. Rilke)
Se cantare è cogliere quel soffio divino, che è la Poesia, qui, in questa silloge di Rosaria Di Donato,
la poesia è canto e preghiera e, in quanto tale, “vocazione”: ascolto e impetrazione, ed è il connubio necessario per una compiuta e sincera richiesta di salvezza. L’animo, che si veste di fede e di bellezza, cresce in spiritualità e dolcezza e può farci prendere il volo liberandoci dagli orpelli e dalle “sovrastrutture”: da ciò che è apparenza e lusinga e che sollecita il desiderio del possesso, o dell’ «avere», nonché di metterci in mostra nascondendo agli altri e a noi stessi il nostro «essere», la natura che ci “fonda”, ci sostanzia (sub-stantia) con la leggerezza di un volto che ci richiama alla sua (alla nostra) identità chiedendoci di lasciare cadere le maschere, di abbandonare le luci abbaglianti della scena che siamo abituati a calcare nel teatro del mondo. Cantare, pregare, è dare ascolto alla voce interiore per cogliervi quel respiro divino che ci dispone all’amore e all’incontro con l’altro facendoci sentire che siamo tutti fratelli in quanto siamo tutti figli del “padre nostro”. Mettere da parte «l’odio» che «ci divora» e ci rende «ostili», rinunciare ai peccati, alle violenze, alla guerra, al possesso eccessivo di beni materiali ed effimeri è la promessa insita nella preghiera, ed è la richiesta del perdono e di aiuto che la Di Donato rivolge al «padre», significativamente con l’iniziale minuscola perché non è soltanto il Padre, l’Altissimo, il Dio lontano e invisibile, ma anche e soprattutto il «dio di tutti», che irrompe nella vita di ognuno facendosi sensibile presenza e, perciò, “padre” terreno, accogliente e accolto. E ciò in virtù del canto di pace e d’amore: sentimento, quest’ultimo, in cui si realizza la Presenza e che perciò può scongiurare «la notte» che incombe sul mondo e portarvi la luce. Qui, sulla terra, dove è calato l’inverno dell’umanità, la nostra poetessa spera in un nuovo inizio, in un nuovo corso della vita dell’uomo, di cui Gennaio, mese invernale e principio dell’anno, è la calzante metafora che esprime la condizione esistenziale dell’uomo e il possibile cambiamento, del quale, a sua volta, la preghiera si fa segno auspicando e implorando un futuro migliore.
Prima che sia notte / ancora vorrei qualcosa / qualcosa di mio / qualcosa che irrompa / nel tempo mostrando / un seme nuovo / un germoglio / e non disamore.
La preghiera, che qui è rivolta al «dio di tutti» per la salvezza dei popoli, è indirettamente rivolta all’uomo, il quale deve trovare in sé la forza di risollevarsi assegnando a sé stesso il compito, la missione della propria redenzione, di liberarsi dalle colpe e da tutto ciò che lo rende infelice e che minaccia la sua stessa esistenza. Sono presenti in questa silloge figure ed episodi tratti dal Nuovo e dal Vecchio Testamento, che sono rappresentativi dell’attuale condizione umana, perché nulla è mutato nella storia dell’uomo e nella sua natura, da sempre invasa e inquinata da sentimenti contrastanti e negativi. Personaggi come lazzaro, maddalena, ruth (sempre con l’iniziale minuscola) possiamo considerarli nostri “contemporanei”, perché in loro possiamo riconoscere le nostre debolezze, i nostri errori, le nostre colpe e imperfezioni, ma anche il bisogno di dare un senso alla vita, di colmare il vuoto, di ottenere il perdono o una grazia divina, che ci sollevi dalle sofferenze e rafforzi la nostra fede nel Dio della misericordia e della resurrezione. La preghiera, che qui è in stretta unione con la poesia, non è solo una lode d’amore e di ringraziamento rivolta al Signore per grazia ricevuta, oppure impetrazione, richiesta d’aiuto per sé stessi o per cambiare il cuore dell’uomo affinché si realizzi la solidarietà fra i popoli e la pace tanto agognata, ma è anche disposizione al bene, all’accoglienza, apertura all’alterità e, dunque, superamento del limite, della misura, dell’egoismo, della rinuncia alla propria centralità, perché «un cristiano / non può dire io / che questo tra tutti / è il limite che orizzonti / più vasti preclude».
La poesia, in quanto consente di scendere nel profondo e di elevarsi a partire dall’interiorità, è un venir fuori da sé e un volgersi verso un «oltre», che è Bellezza, Amore, Assoluto. E in quanto essa è preghiera e canto di fede, quell’«oltre» è il divino che ci chiama all’amore e all’accoglienza dell’altro. Nell’ascolto della voce che ci aiuta a venir fuori, come Lazzaro, e nell’incontro con l’altro è la nostra resurrezione: il cammino verso una vita nuova e autentica in direzione dell’essere che ci abita e che dobbiamo abitare. Compiere quest’atto fondamentale significa ordinare e organizzare al meglio la nostra vita in armonia con l’ambiente e col nostro prossimo e realizzare la convivenza pacifica nel rispetto e nell’osservazione dell’imperativo categorico: abitare sé stessi, per costruire un mondo migliore: quello che la poetessa in cuor suo ha sempre sognato e non può restare un “sogno-finzione”, tanto più che è il sogno del Cristo; ed ella immagina che “il figlio” lo abbia affidato al “padre” rivolgendogli le sue ultime parole.
Nel mondo, dove « il nulla impera», dove la notte tutto inghiotte, la speranza della luce è in questo affidamento del sogno a Dio, il quale lo custodisce e può renderlo all’uomo attraverso il canto dei poeti, che è «amore imperituro, eterno, simile a quello divino» pur se «si muove tra scabrosità e armonia». Ma il canto, che qui si fa preghiera, è allologia: discorso dell’essere per l’altro, l’amore che realizza la presenza, l’apertura all’alterità. Ed è il logos, «la parola annunciata, legame che forgia il Mondo, che va oltre le cose sconnesse» e regna nell’intimità, dove io sono se anche tu sei. Perché “solo dove tu sei, là sorge il luogo” (Rilke).
Guglielmo Peralta
E’ una recensione bellissima, che Guglielmo Peralta, mio caro amico, straordinario poeta e critico, ha scritto con la perizia e l’acutezza che gli sono proprie, e a cui va aggiunto quel qualcosa in più che nasce quando due anime simili s’incontrano. Credo sia questa, infatti, la suggestione aggiunta che fa di questa lettura un volo dello Spirito.
Franca Alaimo
Mi permetto di riportare questo commento che la stimatissima poetessa ha scritto su fb e che apprezzo e condivido dal profondo! Ringrazio Guglielmo Peralta che si è soffermato sull’ebook commentandolo con acume e forte compenetrazione.
Sono grata ad Abele per la pubblicazione .
Un caro saluto,
Rosaria
"Mi piace""Mi piace"
Leggo adesso e ringrazio Franca e Rosaria per i loro commenti “generosi”.
"Mi piace""Mi piace"