Giancarlo Locarno – Città

I st

Ossami chiusi a scatola tra edere con bozza di figura rossa al centro
sole d’oro che sorge appena dietro le spalle un filo d’azzurro
c’è un sentiero sentimento  nero che porta al buco nel sasso
da cui riveder le stelle a filo di speranza.

II st

Se  il cielo è come il mare
dammi la tua benedizione
et io me ne anderò coi gelsomini
là dove va il mondo a mattinare
il cinguettio degli anni
sperduti in un’altra lingua
che corre agli inverni dal cuore serrato
oltre il primo halil di luna.

III st

Occhi accostanti
si rivolvono le barene di bordo
nei ghebi  aggravativi e serenamente letali
baseline di suono delle sirene evocate
per gli eterni che attraverso tutti i giorni
col treno, con la macchina, nell’aria
nell’acqua che   mai si corse
e con l’altro dubitativo che ti commuove
sciolti nel nulla dolciastro di rotture veloci
c’informiamo dell’ordine di impeccabile concisione:
la fillotassi dei peccati sul tronco della città e la città è l’inferno.

IV av

Nella foppa di Sant’ Andrea si concentra per rivoli segreti
tutta l’acqua che cade  nel parco delle Groane e nella brughiera luminosa
dove il mezza testa  porta  il suo cane
tra il groviglio di more e di spine gli si abbruna il sole
Il lago di letargo è un cuore che sta nel fermo immagine
nel rallentatore di emozioni dove le simplegadi colpiscono a caso
guardare nel buco buio alla sua età così libellula
è una retrocessione nel sottobosco dall’odore di muschio muffo
lo svolazzo di macroglosse sulla categoria di ragione
protetta e  ci piove per i lavoretti amnesiaci
di estasiata lentezza il robot con le barre distanziali coniche
offre ai nastri sincopate articolazioni degli arti sacchetti di plastica leste
inutili concertazioni forzate lumacazioni malinconiche
tutti noi abbiamo mezze teste.

V st

Se potessi in cent’anni percorrere due centimetri
mi metterei subito in cammino lungo il falso sentiero
dove in colonia spiavo il giglio martagone
con una certa universalità scolastica e la sua  dispratica
sollevami ancora il lembo di variegate tenebre da sotto il letto.
Legato, con la faccia riversa a terra e il culo alle stelle
devo trovare un cavallo di Troia, una porte dérobée, un virus, per entrare
nell’ambito soggiaciuto e modificare le connessioni
dove si legge omo sul viso.

VI st

Ai tre corridori in cerchio, dico :
Brava gente!  Lo sapete che
l’inferno dei giochi non cooperativi di questo spettacolo
(come  nel Film di De Liguoro e nella tassellatura nuda di Greenaway)
senza la monotonia del campo medio lungo e fisso
è a somma zero?
Gettando la corda nell’abisso si scenderà con l’animale.
E si correrà finalmente senza meta.

VII st

Scuola Santa Rosa
la donna sdentata ci va a mangiare
per la dignità serve una tessera dal costo simbolico
la richiesta taumaturgica di uno sforzo
mai una calda voglia si smaga
così vela in rada
per avere un po’ di dignità anche noi
latra la tuba dei panni stesi
ma non ripara la caldaia
il nemico è il negro ciondolante
che puzza due perenni borse di plastica
un centauro si morde le mani
di lato  un lago circolare di sangue.
;

VIII av

L’inferno che ti costruisco è giovane, ha sempre vent’anni come me, sono  il sussurro del fumo  del focolare,  il corvo ribelle, uscito dallo strappo bianco su blu della luna crescente quando  entra nelle case,  e qui ho gli affari miei a cui badare  tra gli orcioli e le marmitte. Portami con  te e sfamami  sulla linea dei sogni,  quella che dal braccio della donna portano alla sua coscia   attraverso

i cunicoli del senso.  La metterò così in  croce, e  le spighe gonfie dovrete cercarvele  altrove.  Le metterò in croce quelle mani graffiate,  in anticipo sui secoli delle discendenze  e  delle generazioni, e tu li sognerai sempre i diavoletti nel deserto dei loro completini bianchi   friggere le spighe dei tuoi  baci.

IX st

Io sono contro le devastazioni della natura
in un matraccio segno il punto indiano
insolubile nella pioggia indago del temporale col fuoco giallo
corro lungo i sentieri volti alla riversa
adesso il futuro è nell’altrove assoluto
oltre il cono di luce

X st

Non sei più come quello del novecento
tutto alamari e mostrine  tiranno del mio tempo
in  Cina si schiantano con la ferrari i figli dei dirigenti del partito
il tuo modello è il segno dannoso che mi fa parlare.

È giusto finire in foresta di rami neri gettati a caso
dai quali escono edge fund, sukuk,  parole e sangue
e dove inseguono i cani.

XI st

Lo scisma non ci separa perché  noi abbiamo l’antivedere e la lente da filatelia per scrutare
le dolenti note di questo avvolgimento caudino
lungo le connessioni si parlano spezzoni di verba come per elaborarne i dati.

XII st

Chi ha paura della propria ombra? Parcheggio l’auto davanti al conservatorio
è l’ora di meditare nell’attesa, pesci di  luci che nuotano nell’acqua che scende
pensavo non passasse nessuno, invece è l’arrivo sommesso
di tanti pedoni con ombrelli di luce difettivamente  lucida
non voglio che mi vedano così rilasciato come il morto.
Non si riesce ad avere la concentrazione adatta con le ombre attorno che transitano.
A lume spento, come gli scomunicati, una sciocca meditazione da poltrona, nel vuoto che  lascia il    respiro esce la rotonda col suo cerchio di macchine, e proprio  mentre  mi decido  ad  entrare nelle  musiche.

XIII av

Scostamenti di manovalanze e nebbie
lei è piccola sembra sparire  nella stanza
scambia l’acidità con la forza, non sa fare niente, lui invece sa fare tutto
ma ha un tumore al cervello, ne  avrà solo per qualche mese ancora.
Loro non lo sanno
i figli non lo dicono.
Cosa succederà l’anno prossimo?

Io guardo, posso solo guardare
come fosse la neve che non cade mai a Bali
o un sax jazz che scende con le sua ali su  New York.

XIV st

Si prenda  una pagina finanziaria del sole 24 ore
si disegni sopra una cappa campana dalla quale spuntano due gambe e gli occhi.
questo cartone animato di creso con una verniciatina d’oro sotto una cappa di bronzo
è sufficiente nel commensurare le minuzie per la  costruzione degli iniziatori
e per leggere in un cesso greco il saggio di un saggio americano con un bond in mano.

XV av

Va che se l’andava cercando (il mondo)
con un ghirigoro nell’aria
suggerì Andreotti di Ambrosoli
che inserrati numeri scribeba per verba
numeri chiusi come la memoria dell’acqua
che nell’isterisi conserva il ricordo
che dai naufragi fenici disfavilla ai gommoni del Mediterraneo
se ne studia la parapsicologia sommersa a Malta
al bordo del discorso ispirato
dentro i cui morfemi
la bella regina disvelata
alla Scala osservò come la demos-crazia
la crazia del po(l)polo al sonus
albeggia di  inidoneità al suo regno
non declinando affatto con l’Ubù
che va, e va dove lo manda il pòlpopòl,
il  provocativo osculatore del  melonsmellonous
che apre la danza.
Vedo Abulafia  disperatamente  aggrappato ai piedi di Sindona
si sollevano entrambi
come bambini appesi a un palloncino.

XVI av

Il drogato e un goloso, anche l’alcolizzato
come la donna che ci faceva le pulizie
vogliono il massimo della sensazione concentrato nel minimo di tempo.

Anche nella dialogica sono golosi
vogliono spremere il massimo di senso
col minimo di parole.

Ieri,  sul tram che da Rozzano va in Monviso
un uomo sciupato si è seduto accanto, mi fa viso:
“finalmente ho trovato un posto!”
“ sono contento per te, in questo momento è difficile “
“si, ho 25 anni di alcolismo, un rostro sulle spalle,
ma finalmente ho trovato un posto, una comunità
“Bene ,  poco a poco col tempo “ dico
“e con tanta volontà”   interrompe lui
(ah!, s’io mi intuassi come tu t’immii)  
“e si!  ci vuole tanta volontà, ma si riesce, è un’occasione da cogliere al volo”.
“la solitudine è collegata all’alcolismo”
“ si se non bevi diventi più piacevole e sei meno solo”
“per fortuna che ogni tanto c’è la famiglia, la moglie, la figlia, tu sei uno psicologo?”
“ no no!”, “perché sembri il mio psichiatra, il mio demonologo
adesso sono arrivato”
“ ti faccio tanti auguri”  gli dico piano  e poi gli stringo la mano.

XVII st

Giona nella pancia del cetaceo aereo
infernale  umiltà
guardarsi attorno e studiare
cingersi del giunco che ricresce al taglio
dimenticare e ristudiare.

Sulla poltrona sciolgo i muscoli del viso
poi percorro tutto il corpo come una strada.
Il respiro è un uccello che entra nel naso freddo,
si allarga dal becco e pervade come un vento  di torace,
che si ferma nel punto esatto.
Quando esce si comprime nel becco e riscalda il naso,
non c’è più il punto esatto
quando tutto è fuori, lo decido io.

Esce dal vuoto un profilo di demone, poi guerra, combattimenti corpo a corpo,
li prendo dolcemente tra il pollice e l’indice e li deposito fuori.

Nel cielo
tra i pesci.

XVIII av

La materia oscura è fanteria
Ha sei ali come i serafini come i mulini a vento
in marcia col passo d’oca verso un dove sternato
anch’io da piccolo non morii e non rimasi vivo  
c’è un sentiero e il corso di un ruscello e erbacce nel giardino
lungo la cava conica le ghiaie
tutto il buco dell’inferno (ignoto al diavolo)  e buca i sassi
mai pensai di abbandonarmi o che potevo affogare
dal buco del sasso arriverò a riveder le stelle mi dicevo
intorno le fumigazioni del nero inerte
che abbandono alla sua origine del gelo.
Non si avanzi, è sempre stante il vessillo del re dei coglioni seduto sulla sedia  
alla musichetta di un jingle coi vestiti rossolinguati
nello sguardo inerte di un televisore non parlano i fossili a spirale nel ghiaccio
l’hallucigenia e il male sono nel silenzio al centro dell’inerzia che ha carne blu e rossa
da una bocca mangia pop-corn dall’altra maciulla coca cola
Una specie di Garisenda in crollo
al centro di un universo di città di particelle sparse nel gelo universale
a bassa entropia  il rumore di fondo è il muggito del terremoto e noi fuggiamo.
Adesso con un O..Ops si china e cede la testa
precipita
Satana è caduto nel cesso
dalla sua testa risaliamo anche noi seguendo  la natural burella
che dalla colonna sulfurea di  Sant’Ambrogio attraversando
il reticolare di fogna in fogna
si risale a Sant’Antonino
dal nostro naso stupito
si allontana una gazza tra i formentoni.


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