Versodove di Annalisa Rodeghiero (Blu di Prussia 2017)
Il poeta è un prescelto, un mediatore di cui la poesia si serve per parlare con la sua lingua al mondo. La poesia è uno stato di grazia, una missione quasi profetica. Il poeta ha quindi la responsabilità di esserle fedele, riuscendo a tradurre il suo messaggio mantenendone l’efficacia e la bellezza. La poesia è un vettore, ha un senso se in essa c’è un messaggio, se non è solo vocabolario, se non si fonda sul pensiero inconcludente o vanesio. La poesia, pur partendo dal personale tende all’universale e quindi si fa interprete dell’umanità e dovrebbe, attraverso la parola smuovere le coscienze. Può farlo, solo se riesce ad emozionare, attraverso la forza della parola depurata da certe banalità del linguaggio quotidiano. I poeti devono essere custodi e difensori del linguaggio a cui devono restituire forza e valore. La poesia è considerata la forma più alta e sublime di comunicazione. Ecco perché il poeta ha la più grande delle responsabilità e ha l’obbligo di fare sentire la sua voce. (Annalisa Rodeghiero, brano tratto da una recente intervista)
Ho letto con piacere Versodove di Annalisa Rodeghiero, autrice la cui voce canta da anni sempre più forte e con convinzione. Un libro assolutamente coerente alla visione e alle dichiarazioni rilasciate dall’autrice stessa: nell’essenza l’importanza della saldezza e della responsabilità dell’autore nel saper trasmettere con forza la propria visione della vita e del mondo al mondo stesso. La capacità, dote non comune, di saperla condividere coi propri lettori. Il pragmatismo della poetica di Annalisa è proprio questo. Consapevole di esistere, pensare, vivere. Senza il dietro vissuto questa poesia non esisterebbe. Eppure tendere oltre il tempo e all’infinito. Queste tre cose, apparentemente inconciliabili, possono stare assieme, oppure no? Ecco, l’equilibrio è proprio qui, la differenza tra scribacchino e artista sta in questa capacità. Annalisa riesce a fare sintesi equilibrata di questi tre elementi fondanti, creando quasi con naturalezza, la bellezza. Per questo consiglio la lettura di questo libro, ogni lettore saprà coglierne nel proprio punto di vista, il punto di vista dell’autrice. Poesie che non concedono nulla agli “effetti speciali”, ma molto alla fruibilità del testo (mai banalmente) e alle conseguenti emozioni che ne possono scaturire.
- 1) Esiste forse una mezza poesia per il poeta? (pag. 18)
C’è un tempo in cui tutto sembra possibile perché fortemente motivato dal desiderio di realizzare il bisogno. In questo contesto la precarietà del reale diventa allora limite e costrizione. L’incompiutezza non basta, si vuole l’intero pur nella consapevolezza che esso conosce lo smembramento ma con la certezza che ogni parte concorre alla composizione del tutto. È il tempo in cui gli opposti sembrano sgomitare ma in realtà stanno entrambi lavorando al raggiungimento dell’armonia superiore. Non esistono mezze misure per chi sa cosa sta cercando nella vita.
- 2) scoprire solo adesso il senso del disegno (pag. 23)
È come fare -a cose fatte- i conti con la nostra coscienza e trovare il senso di ogni nostra scelta. È come riconoscere la propria identità comprensiva dei doni ricevuti e degli scarti che appartengono a un destino scritto nelle nostre cellule con le mani della terra che ci ha partoriti. Eredità genetica incisiva sul nostro modo di essere al mondo di generazione in generazione: noi impastati della stessa materia/ – ma solo uno per generazione-/ inesorabilmente uniti nel mistero/ nell’imprescindibile unico sentire. (pag.69)
- 3) Dimmi cosa c’era prima (pag.28)
Spesso la poesia s’interroga pur conoscendo, almeno in parte, le risposte. Qui si parla del Big Bang dell’amore. Non c’era niente, prima, e poi si spalanca un mondo nuovo. Non c’era febbre ad infiammare il sangue, non api a fecondare il cielo, non miele per le bocche riarse. Ogni amore è rigenerazione, è principio che come tale già racchiude in sé la fine e altro inizio e altra fine in una realtà ciclica perenne.
______4) E so che la parola oggi non basta (pag. 32)
Riportare in versi una felicità insolita è più difficile che descrivere il dolore. La pienezza che gruma in gola coinvolge ogni cellula del nostro sentire, ci fa sentire appagati, basta da sola a se stessa e a chi ha la fortuna di viverla. Non ha bisogno e non può nell’immediato essere tradotta sulla carta. Come a dire che non si può descrivere a parole il mistero mentre si è dentro il mistero. E il mistero in questione è la totalità dell’amore quando c’è.
- 5) loro non sanno la bellezza (pag. 40)
Loro sono quelli che si svegliano correndo dietro a parole come efficienza, visibilità, potere. Sono quelli che molto presto dimenticano la bellezza delle frasi semplici di senso compiuto. Sono quelli che non hanno conosciuto o hanno dimenticato la tenerezza dei rapporti che contano, dei legami tra i padri e le madri, tra i figli e i padri e viceversa nella cura ininterrotta tra generazioni, così come ce l’hanno insegnata i nostri nonni e ora così marginale in questa società che d’altro si vuole occupare.
- 6) che un segno nel disegno manchi (pag. 53)
La tendenza a sviscerare il nucleo delle cose ha come conseguenza l’insorgere del dubbio. Si poteva forse fare diversamente. Il disegno sarebbe stato diverso? Altra la nostra esistenza? Rimane in ogni caso la certezza che l’incanto debba essere vissuto senza capirlo. L’uomo è un dio quando sogna, un mendicante quando riflette, scrive Hölderlin in Iperione.
- 7) Si resta soli a fine stagione (pag. 61)
C’è silenzio nei luoghi di villeggiatura a fine estate dopo il brusìo di ferragosto. È una solitudine conquistata dopo i fuochi della stagione calda. Porta con sé gli amati aromi di sottobosco e resina a nutrire l’anima a distanza. Può essere epilogo per chi non ha più sabbia nella clessidra ma diventa preludio a nuova fioritura per chi conosce la ciclicità del ritorno. Restando in metafora rimane la consapevolezza che alla fine della vacanza terrena si resta comunque soli, come all’arrivo con la valigia colma/ d’interminabili giorni da vivere.
- 8) La certezza d’altre stagioni a venire (pag.68)
Questo tempo sembra non concedere il tempo vero all’essere umano. Imparare l’attesa sembra impresa sempre più ardua in una società che, come ha scritto Pierluigi Cappello, corre sulle piste ramate degli hardware. Imparare la speranza dopo il dolore o credere nel riscatto dopo l’insuccesso sembra impensabile a menti sempre più fragili che preferiscono soluzioni rapide e spesso definitive. E pensare che la natura è là, pronta ad insegnare le regole dei suoi equilibri a chi ha sensi per osservare. Nello specifico sono gli abeti orfani d’aghi i maestri. Essi hanno pianto la pioggia e il vento ma possiedono la certezza che verrà nuova linfa dalla linfa e che la fine e un nuovo inizio si alterneranno come luce e ombra.
- 9) Al cielo manca qualcosa stasera (pag. 71)
Qui si parla di un addio, considerandone soltanto un particolare aspetto. Solo in poesia, quando va bene, si riesce a spiegare ciò che si può solo sentire. Provo comunque a chiarire: mancano tante cose quando un amore felice finisce, manca la corporeità dei sensi, manca la spiritualità dell’anima, manca essenzialmente l’idea di essere, insieme, parte della bellezza del creato. Ecco allora che la perfezione di un tramonto può ferire, per il solo fatto di non essere più condivisibile.
Ecco che viene temporaneamente a mancare quella che Rilke chiama una lode delle cose.
Un urlo sommesso la chiusa della stessa poesia: Saranno i cieli che non potrò vedere/ il vero pianto dell’addio.
-
- 10) Matassa d’incognite all’interno (pag.76)
La vita, i suoi molteplici imprevisti non calcolati in equazioni mai lineari. L’indesiderata chiusura di parentesi. L’errore umano con conseguenze sugli altri. Quasi mai risarcite.
Saremo altrove
Là dove l’armonia
sembra incrinarsi
fruttifica la parola vera e vive.
Nell’altro possibile respiro
nell’orizzonte tondo
dove il sogno chiede.
Esiste forse una mezza poesia per il poeta?
Mezzo battito d’ali per la rondine?
Il mezzo calice pieno? Il mezzo calice vuoto?
Metà fiore a primavera?
Solo una parte del cielo da toccare?
-Sai- saremo altrove,
dove vince e perde la ragione
ma intero vive il canto.
*
Sei di me la parte
Non del dolore ma della gioia canto
se dei passi tristi del distacco
è ormai solo ricordo la stanchezza.
Ecco l’ora che non tradisce,
il suono annuncia la presenza.
Sei di me la parte
che rende possibile l’intero.
La sola che mi corrisponde appieno.
Inaspettato anticipo d’aurora,
prova tangibile
dell’immutata pazienza della notte.
*
Come abeti
Ho imparato da loro
il tempo silenzioso dell’attesa,
ho avuto anch’io braccia piegate
dall’ impietoso vento di dicembre.
Ho pianto come loro
pioggia d’aghi orfani a terra
in notti di gelate senza luna.
Immutabile a rassicurarli
la certezza d’altre stagioni a venire,
la fine e il principio
nel susseguirsi d’ombra e luce.
Io come loro attendo
ma non so più dire chi, né cosa.
*
Annalisa Rodeghiero, nata ad Asiago (VI) vive a Padova. È Laureata in Scienze Biologiche. Ha pubblicato le sillogi: Percorrimi tutta (Art & Print, 2013), Di spalle al tempo (Venilia Editrice di Natale Luzzagni, 2015) Premio “Profumo d’Autrice” Città di Cattolica e numerosi Premi Speciali della Critica e della Giuria, Versodove (Blu di Prussia, 2017) tra i vincitori del San Domenichino 2017, nella prima rosa dei finalisti del XXX Premio Camaiore 2018 oltre a numerosi Premi Speciali della Critica. Ha ottenuto numerosi riconoscimenti anche con l’inedito in Concorsi Nazionali e Internazionali rientrando spesso tra i vincitori assoluti.
È con altri autori in LEUCADE Antologia poetica a tema IL PADRE di Nazario Pardini. È inoltre tra gli autori dell’ ebook Proust N7- Il profumo del tempo– di AaVv La Recherche.it (2017) e tra gli autori dell’Antologia proustiana 2018: Cherchez la femme– di Aa Vv La Recherche.it e tra gli autori de Il segreto delle fragole 2018 Agenda Poetica (LietoColle). Collabora con riviste letterarie nazionali cartacee (Il Porticciolo) e on line (Versante Ripido, La Recherche.it, Alla volta di Leucade) con note critiche e testi poetici.
Un’esperienza insolita quanto stimolante rispondere a mancate domande, rivivere attraverso i versi scelti
accuratamente da Flavio Almerighi ciò che la poesia aveva in passato dettato, ritrovare nei versi le tracce del percorso – quasi sempre misterioso- che si compie con la scrittura poetica.
Grazie Flavio, lettore attento, critico e sincero, grazie a Neobar per la pubblicazione.
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La poesia di A. Rodeghiero parla, canta, riflette, esalta la vita, celebra l’amore e la passione…sempre con l’armonia del verso che si adagia morbidamente nel lessico elegante e raffinato , senza alcuna ricercatezza. E’ una poesia che si legge come se la Poetessa ci venisse incontro portando tra le mani a coppa la vita stessa con tutti i sentimenti e il suo significato…il dolore e la gioia, l’attesa e la memoria. Proprio tutto quello che con chiarezza e spontaneità esprime in questa intervista che, in definitiva, mette in luce la sua poetica. Mi complimento. Edda Conte
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La scelta di limpidezza d’espressione rappresenta una scelta voluta di intelligibilità del testo da cui spero possa trasparire il mio sentire in cui si riflette il mio sguardo poetico sulle cose della vita.
Grazie Cara Edda per la tua lettura attenta.
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L’autenticità è cosa sempre più rara (e non soltanto in campo letterario) al giorno d’oggi.
Questa “intervista senza domande” è, dunque, quanto di meglio Annalisa potesse aspettarsi per parlare della sua poetica e di sé. Lei – e lo affermo perché ne conosco personalità e pensiero poetante – è vera, e non le sarebbe stato possibile rispondere né distaccatamente parlando di poesia (cioè del suo io) né, tanto meno, fingendo.
Al contrario – attraverso una non casuale scelta di versi – prende a raccontarsi.
“Esiste forse una mezza poesia per il poeta?” (pag. 18): ho curato la presentazione di “Versodove” titolando lo scritto “La poetica dell’intero in Annalisa Rodeghiero”; ma, la sua, è anche, e soprattutto, poesia d’amore: quello che “mòve il Sole e l’altre stelle” (dissi ancora in quella stessa circostanza), quello del “Big Bang” come qui si legge. E’ anche poesia della natura: “Nello specifico sono gli abeti orfani d’aghi i maestri. Essi hanno pianto la pioggia e il vento ma possiedono la certezza che verrà nuova linfa dalla linfa e che la fine e un nuovo inizio si alterneranno come luce e ombra.”, risponde ad un altro suo verso. Ed è anche poesia del mistero: “La tendenza a sviscerare il nucleo delle cose ha come conseguenza l’insorgere del dubbio. Si poteva forse fare diversamente. Il disegno sarebbe stato diverso? Altra la nostra esistenza? Rimane in ogni caso la certezza che l’incanto debba essere vissuto senza capirlo”.
Serve altro – dico io – per capire che si è di fronte ad una scrittura onesta? Serve altro per rendersi conto della profondità e bellezza di questa parola?
Cos’altro è più completo di ciò che tutto ingloba e vive?
Ecco perché “il poeta ha la più grande delle responsabilità e ha l’obbligo di fare sentire la sua voce.”. Annalisa questa consapevolezza, questa coscienziosità non solo la scrive: la mette in pratica.
Sandro Angelucci
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Che dire Sandro: se non vedessi la mia foto sotto il mio nome, se non sapessi che ciò che hai scritto l’avevi già pensato anni fa dopo aver letto alcune mie poesie, se non avessi avuto mille occasioni per discutere con te sul senso della poesia e della vita e della poesia che sa essere la vita –quando è generosa- potrei pensare che non si stia parlando di me.
E invece si parla proprio della mia poetica e ti sarò sempre grata per averle dato un nome definendola “poetica dell’intero” in riferimento all’amore, all’armonia degli opposti e al ruolo che in noi deve svolgere la ragione. “Consapevole di esistere, pensare, vivere” come afferma Almerighi nella sua nota di lettura e consapevole che tutto questa esuberanza di vita si possa poi rintracciare nei versi e possa diventare dono da porgere al lettore.
Un’ultima considerazione: non credo si possa scrivere poesia onesta senza essere autentici, non credo che la vita sia vita se non la si vive con ferma fedeltà al nostro desiderio, qualunque esso sia.
Credo sia l’unico obbligo che abbiamo verso noi stessi. Ma anche questo già lo sai.
Annalisa
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Poesie che non consentono nulla agli “effetti speciali”, dice Flavio Almerighi, e ha ragione. La poetica di Annalisa Rodeghiero scende nella profondità del reale, i cui orizzonti non si esauriscono nell’apparire fenomenico, ma includono a pieno titolo il mistero da cui l’apparire stesso viene. Un background tanto più concreto quanto più invisibile, che non ha nulla a che fare con la proiezione fantastica, con il gioco evasivo, con l’utopia. Qui si parla di fede, di unità degli opposti che “sembrano sgomitare ma in realtà stanno entrambi lavorando al raggiungimento dell’armonia superiore”. “Qui si parla del Big Bang dell’amore, … rigenerazione… che già racchiude in sé la fine e altro inizio e altra fine in una realtà ciclica perenne”. L’epilogo esiste “per chi non ha più sabbia nella clessidra, ma diventa preludio a nuova fioritura per chi conosce la ciclicità del ritorno”. E non è un parlare astratto, quello della poesia, una descrizione oggettiva e fredda del dolore e della gioia, della notte e del giorno, della primavera e dell’inverno, bensì un’immersione nel vivo e diretto, angoscioso e festoso, fermento della vita. La poesia, ci vuole dire Annalisa nell’intervista, ma ancor più nella sua pratica di scrittura creativa, non è altro che la voce della realtà, la voce stessa della natura e della vita. Purtroppo “imparare la speranza dopo il dolore o credere nel riscatto dopo l’insuccesso sembra impensabile a menti sempre più fragili, ma, dice Annalisa, “la natura è là, pronta ad insegnare le regole dei suoi equilibri a chi ha sensi per osservare”.
Franco Campegiani
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Hai ragione Franco, Flavio è sempre sincero e giustamente ha scritto che la mia poesia è senza effetti speciali ed entrambi avete affermato che al mio vissuto attinge.
Eppure la mia esistenza è un’esistenza speciale. L’eccezionalità viene però ridimensionata nei versi – come in me – forse perché la “troppa realtà” è difficile “da sopportare” (come ha scritto sapientemente Eliot in Burnt Norton) e forse perché include lo stupore del mistero quasi sempre intraducibile, tantomeno con effetti speciali.
Hai ragione Franco anche quando aggiungi che il mio “non è un parlare astratto”. Pur avendo educato generazioni di alunni all’astrazione, non ci sono deformazioni professionali a interferire con le mie immersioni “nel vivo e diretto, angoscioso e festoso, fermento della vita”.
Nemmeno la natura, fonte inesauribile d’ispirazione viene tradotta nei suoi innumerevoli e stupefacenti effetti speciali, essendo per me maestra d’equilibrio che tutto regola seguendo leggi ineccepibili spesso oscure all’uomo.
So che il tuo pensiero a riguardo, è vicino al mio e ti sono grata per averlo espresso ancora una volta ma in modo sempre nuovo e sempre incisivo, qui.
Annalisa
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