Maurizio Manzo: Divoc (3 e 4)

Primrose Hill

DIVOC

3

Questa mattina sembrava che aspettassi qualcuno. Stavo sul divano, teso, e ho aperto e richiuso le tende tre volte finché ho lasciato che alcune nuvole si affacciassero sul salone di casa, come per avere un po’ di compagnia, perché c’è sempre più silenzio in tutta la casa e si fa acutissimo.

Oggi nella piazza centrale ai piedi del monumento a William Blake, hanno trovato tre ragazzi morti, avevano diciannove anni ciascuno, la mia età e uno lo conoscevo bene, Sebastiano, l’avevo incontrato l’altra sera, un bravo ragazzo; li hanno sparati in bocca, poi hanno pulito il luogo e li hanno disposti a raggiera, con la testa, o quello che si può chiamare testa, rivolta verso la statua.

Piazza Blake si trova vicino casa e questa mattina mentre l’attraversavo pensavo ci fosse qualche festa o una manifestazione politica, invece avevano appena ritrovati i cadaveri di quei ragazzi. Proseguo per il mio solito giro e quando passo oltre il gruppo di persone che si era radunato attorno al ritrovamento dei corpi, mi rincorre un signore in borghese che mi afferra per un braccio facendomi voltare.

“Mi scusi, sono Porfirio Perdau della omicidi, come mai questa indifferenza? Sapeva già cos’era successo, ha per caso visto qualcosa?  Si trovava in piazza questa notte?”

“No no, io non ho visto nulla, non mi piace immischiarmi, curiosare…”

“Non ti agitare, ragazzo, chiedevo perché io invece sono curioso, ma non farci caso, vai pure.”

Il dottor Porfirio Perdau è il commissario che guida le indagini su questa tragedia. Una cosa inspiegabile, qui  non sono mai accadute cose di questo tipo, così raccapriccianti. È strano il modo in cui mi guardava il commissario, sembrava avere la sicurezza di sospettare qualcosa, ma con una certa tenerezza; poi gli si è illuminato lo sguardo mentre sollevava la testa e la ruotava osservando i palazzi attorno alla piazza. Aveva notato sulla terrazza in linea con la statua, frontalmente sulla disposizione dei cadaveri, un signore che guardava sulla piazza e aveva una postazione ideale, da cui non poteva sfuggire assolutamente nulla.

Il commissario Porfirio Perdau mi guarda e sorride, in qualche altro racconto avrebbe detto: bingo!, ma qui sfuggiamo alla logica e non ce lo possiamo permettere.

“Conosci quel signore?”

“Sì, lo conoscono tutti, un uomo molto gentile, il signor Gianfranco Mulas, cura gli orti verticali di alcuni palazzi.”

“Bene! Quindi è una sorta di Dio, a cui non può sfuggire la debolezza umana, ragazzo…il tuo nome e anche l’indirizzo dove vivi, se puoi mostrarmi un documento, ma ripeto senza che questo ti spaventi, è la mia incontrollabile deformazione professionale.”

“Divoc Arduéss, abito in via Jenner 7/96, questa è la mia carta d’identità.”

“Arduéss? Ok, mi sarà difficile non ricordarmi di te, puoi andare, ragazzo.”

il suono delle sirene ha coperto gran parte del cielo. È strano, ma sembrano influire sull’andamento delle nuvole, ti pare di vederle pulsare e così i visi delle persone colti dall’incertezza; un cane inizia a ululare e anche lui si rivolge al cielo, è in apparenza la fine del mondo, in realtà il suo attaccamento più forte che cerca di trattenere la vita che diventa un’anguilla che non sa che a volte vorresti ributtarla in acqua.

4

Quando sono rientrato a casa erano quasi le undici, il signor Andrea, che vive al primo piano, sembrava attendermi sul pianerottolo: “Divoc, ma è vero quello che dicono che è successo? Eh, i ragazzi se la cercano, spavaldi, impertinenti e stupidi…ma non la senti anche tu questa puzza?”

Il signor Andrea è un uomo di settant’anni che passa il tempo a scarrellare le pistole della sua collezione. Non perde occasione per fartele vedere, lucenti e fredde; sono la mia famiglia, dice spesso quasi commuovendosi.

“Divoc, la tv ha detto che li hanno sparato in bocca, non mi sorprende, si dicono tante di quelle cose questi ragazzi…eh, visto che i giovani vanno pazzi per i Simpson, sarà come quando quello ciccione ha fatto la gara dei peperoncini: un bruciore allucinogeno!”

Il signor Andrea è una persona abbastanza inutile, ogni volta che rasento la sua porta sento la tv a tutto volume, spari e urla intimazioni, e mi si rafforza la convinzione della sua inutilità e che oltre che inutile è un essere pericoloso per la collettività.

“pronto?, mi scusi signor Andrea, arrivederci!”

Mi ha chiamato Tiziana, dovevamo vederci di pomeriggio e passare la serata assieme. È sconvolta per quello che è accaduto, ma soprattutto è distrutta perché hanno ricoverato nonna Enrica, è grave in terapia intensiva, non sanno bene cos’ha, non recupera il respiro; me l’immagino coi suoi occhi bianchi, che sembrano non comunicare niente, rendere incomprensibile ogni espressione ma non perdere la sua cortesia mentre si aggrappa all’aria che si allontana.

 

Divoc 1 e 2


3 risposte a "Maurizio Manzo: Divoc (3 e 4)"

  1. narrazione dal passo intrigante. il filtro soggettivo applicato agli eventi (“quello che è accaduto” per me non è quello che è accaduto per te) offre al lettore diversi spunti di riflessione. ad esempio già il semplice fatto di prestare *attenzione* (si veda l’inizio del capitolo 1, dove il protagonista afferma di attribuire “tutto allo sbalordimento o meglio all’attenzione”) o di limitarsi a una *distratta* indifferenza (“io non ho visto nulla”) stravolge la realtà (affettiva/effettiva) delle cose. parimenti, Teresa è “sconvolta per quello che è accaduto” e non si tratta dei tre diciannovenni assassinati bensì dell’anziana nonna da tempo ridotta a poco più d’un vegetale e ricoverata per insufficienza respiratoria. su tutto aleggia la puzza, una presenza “metafisica” eppure tangibile (“non si vede” ma “azzera lo spazio”) quasi a rimarcare l’inarrestabile disfacimento della materia sociale umana.
    molto bene: attendo sviluppi.
    : )

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