Sud. I poeti. Annamaria Ferramosca, poesia «per riscrivere vita»

Annamaria Ferramosca

Sud. I poeti. 13: Annamaria Ferramosca, poesia «per riscrivere vita»

a cura di Bonifazio Vincenzi, Macabor, 2022

Testi: Luca Benassi, Franca Alaimo, Lucetta Frisa, Abele Longo, Ivano Mugnaini, Mario Famularo, Sandro Angelucci, Donato Di Stasi, Silvano Trevisani, Franco Campegiani, Marta Celio, Francesca Del Moro, Alfredo Rienzi.

La poesia di Annamaria Ferramosca contiene in sé l’essenzialità del gesto primordiale dell’elevazione della pietra alla ricerca di una stabilità del sacro nella relazione fra ctonio e celeste, fra terra e spirito, fra linguaggio e bellezza. Spesso nella poesia di Ferramosca torna la circolarità della pietra e la presenza del dolmen («una malinconia residua della nascita/ ingorgo che resiste/ allo sperpero del vivere/ furore dei cieli di una volta/ grida bianche dei dolmen che insistono/ nel vedere ogni volta il mattino sorgere/ sulle rovine ogni volta/ qualunque sia l’inclinazione della luce»), ed in questa circolarità l’autrice salentina mira all’ancestrale, a un luogo e a un tempo dove il crepitare del fuoco e il sibilo del vento costituiscono il segno e il suono che precedono il linguaggio, a una ripetizione del significante come territorio di incontro e cortocircuito con la sensibilità altrui.

Luca Benassi

Non è certamente facile armonizzare questo richiamo alla gioia e all’amore con la complessità e lo scandalo della crudeltà a cui la storia ci ha abituati (dalla Shoah alla morte di migliaia di extracomunitari annegati nel Mediterraneo), e, per operare questo salto, l’autrice si appella alla libertà e al flauto magico delle parole “inturcinate”; o alla trasfigurazione, evitando la nuda rappresentazione dei suoi ‘oggetti’, che consegna ai lettori già poeticamente pensati, assimilabili ad uno stato d’animo illimpidito attraverso lo stesso labor estetico. Oppure al salto del distacco contemplativo, che, proiettando la pietas sul piano dell’universalità del sentimento, approda ad una sorta di accettazione, da cui si origina la struggenza della visione.

Franca Alaimo

La poesia di Ferramosca è ricca di futuro perché è ricca di passato e quindi di profondità. Leggendola, mi sono sempre immaginata di appartenere a un passato sempre presente, qui vicino a dove mi trovo, immersa in un’estate dorata del sud, fluttuando sull’ignoto mare di Odisseo che conserva in sé tutte le estati estatiche del mito; ogni volta che incontro la sua poesia lei sa restituirmi una memoria umana e animale che l’uso sfrenato e indiscriminato dell’attuale tecnologia vorrebbe sottrarmi e cancellare.

Lucetta Frisa

C’è il desiderio lancinante, ci dice Ferramosca, che “l’umanità giunga ad una solidarietà planetaria”. E in questo senso, le parole “capaci delle più forti indicazioni” sono “quelle incontaminate dell’infanzia e quelle, sottili e intensissime, dalla natura e dall’oltre natura, che chiamo infravoci” (Annamaria Ferramosca: la poesia Anima Mundi, 2011). Ritorna in ogni raccolta “l’eco archetipica di dea madre vigile e pacifica – mentre scaturisce da resti archeologici, da tradizioni millenarie e da leggende”: in mano ha la fiamma/ che ancora mi divora piango/ un destino incendiario/ ma seggo ritta d’orgoglio/ sulla madre che accoglie/ generosa di frutti (Trittici, 2016). È un mondo-donna che si schiera e si leva come speranza di salvezza, inno-preghiera per una natura da amare e difendere.

Abele Longo

Andare per salti presuppone e comporta un volo, uno spazio e un tempo in cui si perde il contatto con il suolo. Si ha di conseguenza l’impressione di una progressiva volontà di recuperare la superficie, imperfetta, pietrosa ma imprescindibile. Il tumulto richiama l’effetto di un sommovimento tellurico. Gli spazi inaccessibili sono quelli intricati di una giungla, una boscaglia, non certo quelli eterei del cielo. Annamaria Ferramosca percorre con coerenza i cerchi e le curve del suo tempo individuale e dei tempi che osserva, evitando di farsi inglobare ma schivando con identica determinazione la tentazione di chiudersi in una torre d’avorio. Cammina in punta di piedi ma con tenacia sul filo sospeso tra il corporeo e l’incorporeo, tra la paura e la necessità di sporcarsi le mani con la sabbia e con il fango, il sudore e il sangue, la feroce attrazione dell’imperfezione.

Ivano Mugnaini

Una parola consapevole dei propri limiti, dell’oppressione derivante dalla nominazione e dal linguaggio, ma anche tesa e slanciata con vigore a raccogliere l’esperienza del mondo e dell’essere in relazione con esso e con l’altro, concentrata a restituirne lo splendore e le contraddizioni dolorose – non senza una lucida ironia – tra un dettato dalla razionalità quasi scientifica e un trasporto che non nasconde il legame stretto con il passato e la tradizione, con cui condivide una sobrietà solenne e una profondità imponente; queste alcune delle sensazioni che è possibile riscontrare nel leggere le opere di Annamaria Ferramosca, e in particolare Curve di livello (Marsilio, 2006), libro ricco di rimandi classici e dal sapore incredibilmente attuale, pur senza particolari e forzosi riferimenti cronologici e geografici, se non ponderatamente e magistralmente sussurrati

Mario Famularo

Palingenesi? Si, è necessaria, è improrogabile se si vuole proteggere la favola-verità dell’arca ed eleggerla a rivelazione. È il superfluo che nuoce, che non ci fa spogliare, che ci costringe a formulare dati norme statistiche facendoci ritenere che in essi risieda la password, che quella è la chiave che apre il passaggio segreto per abitare il mondo. Ma la Terra non può decifrarla, non conosce codici, lingue diverse da quelle più semplici, con le quali comunicano e le parlano le sostanze più elementari, dalle quali lei stessa è formata. Noi – gli uomini – ci siamo voluti affrancare dalla legge universale, abbiamo sempre pensato che la stessa fosse perfettibile, senza renderci conto che fallace ed illusorio era il nostro proponimento. Non abbiamo capito che la compiutezza non andava cercata; era lì, nel caos originario e nella sua mutevolezza. “[. . .] eppure è così che prende forma la terra/ emerge – fuoco d’artificio –/ da tutta la cieca materia dei detriti/ muri crollati tendini recisi e/ dalle foreste perdute tronchi ossa piume/ tutto farà humus / per il grano che germoglia per il pane [. . .]”

Sandro Angelucci

Annamaria Ferramosca non usa la poesia per stare semplicemente al mondo. Non sovrappone un’artefatta immagine di sé alla propria autenticità di persona. Vive accanto alla poesia, dentro la poesia, con un linguaggio in costante movimento, con una pluralità di sguardi sempre vigili, intersecando la sua individualità lucida e accorata con i potenti effetti di oggettività che le provengono dall’esterno (il movimento spontaneo e obbligato dei popoli migranti, il caleidoscopio delle relazioni umane, il rapporto uomo-natura).

Donato Di Stasi

Ma non per questo la sua poesia diviene “civile” termine oggi tornato di moda, come in un ripensamento tematico agli anni dell’”impegno” attivo dei poeti, da Quasimodo a Scotellaro, proprio perché la sua attenzione è costante e non crea fratture, scompartimenti, con il suo modo di procedere che è sempre teso a un unicum. Non è una rivendicazione sociologica o politica in senso stretto ma una dichiarazione, un “reclamo” potremmo dire, di attenzione umana.

Silvano Trevisani

Fin dalle prime prove letterarie, la poesia di Annamaria Ferramosca risulta immersa nel mezzo di una svolta epocale. Si ha l’impressione, leggendo, di una catarsi susseguente alla conclusione di una maledizione storica. Un ciclo si chiude mentre un altro è sul punto di aprirsi. È il crollo dell’antropocentrismo? la fine della tirannia dell’uomo su tutto il vivente? l’annuncio di nuove, più umane avventure? Tutto questo senz’altro, ma in un orizzonte squisitamente intimo che solo di riflesso diviene collettivo. Il rinnovamento interiore come premessa di un rinnovamento sociale e storico. Poesia civile a tutti gli effetti, pur essendo poesia dell’anima. Niente a che fare con il millenarismo utopico, roboante, ascetico o laico che sia. Qui non si annunciano trasformazioni radicali del mondo, quanto piuttosto ravvedimenti privati, indispensabili ma immersi nel relativo.

Franco Campegiani

La poeta apre un ciclo, sembra (apparentemente) chiuderlo, per poi riprenderlo, riaprirlo, “rinnovato e intimamente arricchito”, invitando il lettore alla doppia lettura (segno-scrittura / immagine) e a “costringerlo” alla continua ricerca di nuovi punti di osservazione. Una prospettiva che avvicina e allontana il lettore tenendo presente tutte le minime distanze. Si è parlato di “segno” come scrittura, ma anche segno “profondamente compiuto” ma che allo stesso tempo offre spazi a nuove relazioni.

Marta Celio

Oltre a nuovi composti, la scrittura di Annamaria si arricchisce di altri neologismi, spesso generati tramite calchi da altre lingue o sostituzioni di fonemi o suffissi: i latinismi dulcimi e ultimula; angelezze (sostantivo derivato dalla parola ‘angelo’); azzurrisce (da ‘azzurrire’, dal lemma letterario “azzurrare” con sostituzione di vocale tematica); disincontro (calco dallo spagnolo desincuentro); stranitudine (con sostituzione del suffisso); sbreccio (sostantivo generato a partire dal verbo ‘sbrecciare’); sgolare (in luogo del riflessivo ‘sgolarsi’); stepidare (con cambio di vocale tematica da ‘stepidire’); bicchierando (verbo derivato dal sostantivo ‘bicchiere’); abetico (aggettivo derivato dalla parola ‘abete’).

Francesca Del Moro

È un canto dolente, certo, dove «l’umano s’allontana», le città sono sepolte, le foreste sono le ultime, dove si prospetta un «futuro d’ombra» e dove la separazione dall’altro è causa di separazione da sé: «…la materia in disordine/ la terra che non riconosce più il suo seme//nemmeno io riconosco te l’altro/ nemmeno me stesso non ricordo/ com’ero come/ avrei voluto essere» (p. 68). Ma l’essere poeti offre speranze. Forse oltre le congetture razionali, le considerazioni programmatiche. Le offre perché il poeta sa di una realtà ampia, nella quale le notti sono solo un tempo, finito. La finitezza delle cose del mondo è parte di un «oltreorizzonte», di una (ri) «nascitamistero» e della «della promessa inesauribile di un’alba». Accogliere la limitatezza, dunque, è confrontarsi con il senso stesso del limite e di ciò che lo sconfina.

Alfredo Rienzi

Biobibliografia

Annamaria Ferramosca nasce in Salento, a Tricase (Lecce). Frequenta il Liceo classico a Lecce. In questi anni inizia la sua passione per la letteratura antica, soprattutto per la poesia degli autori greci e latini, ma ben presto scopre anche i contemporanei. Uno studio che proseguirà poi senza pause, contemporaneamente mettendosi alla prova con la scrittura poetica. Da sempre affascinata dal mondo naturale, decide di proseguire gli studi universitari nel campo della Biologia. Si trasferisce a Siena dove si laurea brillantemente in Scienze Biologiche. Nel 1970 si stabilisce a Roma, dove si sposa e ha un figlio, cui mette nome Manuel in omaggio alla poesia spagnola contemporanea che in quel periodo monopolizza la sua lettura. Per molti anni insegna Scienze Naturali nei Licei romani. Intanto studia Fitoterapia e si specializza in Scienza dell’Alimentazione, dedicandosi quindi alla ricerca scientifica e al lavoro di nutrizionista e contemporaneamente alla scrittura, mai abbandonata, di poesia.

Decide di pubblicare solo dopo uno sterminato chilometraggio di letture poetiche e su sollecitazione del poeta Plinio Perilli, che scrive l’introduzione della sua prima raccolta dal titolo Il Versante Vero, presentata a Roma nel 1999. Dopo l’esito lusinghiero di questo suo libro d’esordio, che ottiene il Premio Opera Prima Aldo Contini Bonacossi, pubblica negli anni successivi numerose raccolte.

Con il libro Curve di Livello, edito da Marsilio nel 2006 nella collana elleffe curata dal poeta Cesare Ruffato, l’autrice riceve numerosissimi riconoscimenti dalla critica, e diviene nota nel panorama italiano poetico contemporaneo.

Le recensioni critiche evidenziano nel loro complesso la capacità della poetessa di evocare, con un linguaggio originale che fonde impronte di classicità e richiami dalla scienza, la visione possibile di un’umanità capace di abbandonare l’errore dei contrasti per volgersi verso un incontro solidale planetario. Consistente si fa negli ultimi anni anche la sua attività di scrittura critica su poesia contemporanea e la collaborazione con riviste di poesia, come La Clessidra, Poesia, Gradiva, La Mosca di Milano, Le voci della Luna, e numerosi lit-siti in -10- rete come Poiein, Blanc de ta nuque, Rebstein, Carte Allineate, Neobar. Nel 2011 è collaboratrice volontaria per la didattica di poesia all’Università Roma Tre, facoltà di Scienze della Formazione. Nel 2016 assume l’incarico di Voice Ambassador di Poetry Sound Library (mappa mondiale online delle voci dei poeti) per Italia e Puglia. Ha fatto parte per molti anni della redazione del portale Poesia2punto0.com, come ideatrice e curatrice della rubrica Poesia Condivisa, che ha diffuso la poesia dei più grandi autori contemporanei da tutto il mondo.

L’incontro con il noto poeta ed editore Alfredo de Palchi è decisivo per dilatare la sua poesia in terra americana e in ambiente anglofono, con la pubblicazione del volume antologico di percorso Other Signs, Other Circles (Altri segni, Altri Cerchi) edito da Chelsea Editions a New York nel 2009, con introduzione e traduzione di Anamaría Crowe Serrano).

Ha pubblicato negli anni 11 libri di poesia ricevendo numerosi riconoscimenti. Suoi testi sono presenti in numerosi volumi collettanei e antologie e su vari lit-siti in rete. Ha curato la versione poetica italiana del volume di percorso 3DPoesie 2003-2013 del poeta rumeno Gheorghe Vidican, CFR 2015 (Premio Accademia di Romania per la traduzione).

È stata Presidente del Premio di Poesia De Palchi-Reiziss nel 2010, giurato per il Premio Davide M. Turoldo e per il Premio Franco Fortini nel 2011, per i Premi don Milani e Il Giardino di Babuk – Proust en Italie nel 2015 e 2016; per il Premio Costruire la Città Terrestre nel 2019.

Nel 2017 ha ricevuto il Premio Internazionale Naji Naamann Literary Prize ed il titolo onorario di membro della Maison Naamann pour la Culture (Libano). Numerosi sono i testi in traduzione inglese apparsi su riviste straniere, quali: Gradiva, Freeverse, World Literature Today, Inverse, Salzburg Poetry Review, Italian Poetry Revue, Fire.

Sue poesie sono state tradotte oltre che in inglese (Anamaría Crowe Serrano, Riccardo Duranti), in greco (Evanghelia Polimou), rumeno (Eliza Macadan), spagnolo (Antonio Nazzaro), turco (Mesut Senol), arabo (Sayed Gouda), per riviste straniere su carta e on line.

Dal 2019 è Voice Ambassador di Italia e Puglia per il progetto Poetry Sound Library, mappa sonora che diffonde in rete le voci di poeti da tutto il mondo. https://www.zeemaps.com/3218677/Annamaria_Ferramosca_(Italia)

Gli ultimi libri di poesia pubblicati dall’autrice sono: Per segni accesi ( prefazione di Maria Grazia Calandrone, Giuliano Ladolfi, 2021 ) e Luoghi Sospesi (nota di Elio Grasso, Puntoacapo Editrice 2023) e, dopo il qui citato volume monografico Sud I Poeti – Annamaria Ferramosca – Poesia per “riscrivere vita”, Macabor 2022, sono di recente uscita il volume bilingue di poesie scelte: Volver a escribir la vida , Abisinia Editorial, Buenos Aires, 2023 (traduzione di Antonio Nazzaro) e la plaquette Va veni Oceanul, Editura Cosmopoli, Bacau, 2023 (traduzione in romeno di Eliza Macadan).

Letture dell’autrice sono stati registrate e incluse nell’Archivio della Voce dei Poeti di Multimedia in Firenze. Ampio materiale bibliografico e critico è presente nel sito personale http://www.annamariaferramosca.it


4 risposte a "Sud. I poeti. Annamaria Ferramosca, poesia «per riscrivere vita»"

  1. non credo di essere all’altezza di scrivere cose di senso compiuto sulle parole di Annamaria Ferramosca (a volte scrive Poesia e mi sfugge, anche se altre mi raggiunge e poi “mi stende” con due versi che neanche un pugile). però ci provo (sono un tipetto assai nanostinato). sicut ad exemplum, inizio col citare – a braccio – il passo qui di seguito che lessi tempo addietro: “e noi, colti alla sprovvista / senza nemmeno un ultimo selfie” che mi è rimasto in testa (poi che lo lessi, sempre mi torna a casa Lessie) e che è tra i versi più ficcanti letti in vita mia. ecco, non possiedo la stessa chiarezza, anzi, non possiedo nemmanco un briciolo della chiarezza sfolgorante che anima il “fiorire di petali nuovi”. l’orizzonte del mio essere è assai più terra terra (letame più che petali-e-fiori, anche se De Andrè… ‘spè no, cambio brano, mi pare che De Andrè cantasse che i nani non sono belle persone perché hanno il cuore più vicino al buco del culo… lo cantava? boh, m’è venuta così, comincio ad essere vecchietto anch’io, mia madre c’ha un Alzheimer che galoppa, comunque questo è quanto… e quindi non ho scampo).
    : ))
    in ogni caso, come nulla è completamente bianco o nero (tutto è infinite sfumature grigie), così anche l’essere nano ha aspetti positivi in “controtendenza”: sono *per forza* costretto a vedere le cose da un punto di vista all’altezza dei bambini. uff… sto divagando? chissà, le dita nel vasetto… eccheccazzo! la marmellata di parole è così buona! ehm, non so se mi spiego…
    : )
    vabbè, nella produzione di Annamaria Ferramosca, le poesie che più mi appaiono potenti sono quelle dove l’umano “prende forma” imitando/ascoltando lo “stormire basso”, il silenzio imperfetto (il quasi-silenzio) della radiazione naturale di fondo. un r/umore-respiro che a saper tendere l’orecchio, da un lato intona canti sottovoce (misterica rivelazione della natura umana che si specchia nel tangibile sfumandolo d’intangibile, un “minimo urlo di Munch”) e dall’altro detona l’io nello spazio-tempo: un’esplosione di parole scomposte che si riannodano in logos-legos (eh, i miei amati mattoncini) e sedimentano in socialità/comunità. il linguaggio del’io poetico pare ribadire “attento: non parlo di me, senso strictu” (quand’anche sembra accadere, è per riflesso empatico di un noi… realtà stratificate nei millenni… rocce sedimentarie che invece di essere tali diventano sedinointarie, rocce metamorfiche che mutano in noitamorfiche e così via… insomma, tra olismo e simb’olismo, Annamamaria ci addita la realtà riposta di un sentiero che è il viatico “per un incatamento”).
    mmmm… ho perso il filo. ah, no ecco, volevo dire che il mondo tradotto/trasmesso dalle sue poesie è un pianeta antropizzato e antropomorfizzato (i fianchi dei monti, i capricci della luce, il respiro della giungla, il sole che ride feroce, etc) nel senso che mediante la parola si è fatto uomo (vedasi il vangelo), una sorta di ibridazione che però essendo raggiunta mediante l’affabulazione diventa una libridazione (scritta in quella “lingua animale universale” in cui *potremmo* riconoscerci tutti).
    che ovviamente non esiste, ma ciò non implica che non si possa pro-tendere ad essa, prendendo in braccio le code per poi spostare di peso la gaussiana.
    : )
    l’altra faccia della medaglia di un poetare molto alto, è però che a volte il cruccio etico giunge alla mente del lettore già filtrato attraverso il travaglio poetico e/il distacco contemplativo (e ogni tanto invece, come diceva mio nonno falegname, “obiquando ce vò, ce vò!”). sì, insomma, il bambino non fa soltanto splash nelle pozzanghere (olé): poi mi torna a casa coi vestiti buoni ridotti uno straccio e smerda tutto il pavimento che avevo appena pulitooooo! Aaaargh!
    ; ))
    in ogni caso, com’è chiaro, invidio Annamaria Ferramosca per il suo spirito-capriolo sul dirupo, per il suo costante atto di presenza poetica (tutto il rigore/coraggio morale del dire “sono viva, qui e lo canto”) , per il semplice fatto che sa la verità (per contro io spesso mi smarrisco nel non senso) nonché – ultimo ma non ultimo – per la nonnitudine che sta sperimentando (qui ancora niente, anche se il più grande ne fa a breve 26…).
    un abbraccio forte a Annamaria e a tutti i neobarocchi, sudisti o meno.
    : )

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  2. Posto qui il mio commento alla poesia “Forse con una donna” (da Curve di livello, Marsilio 2006) , recuperato nel mio PC, che iniziava un lungo capitolo-Poesia condivisa 2- sul blog Poesia2.0 curato da Anna Maria Ferramosca che mi consentì di arricchire notevolmente il mio orizzonte poetico. Questo il testo della sua poesia che leggo ancora oggi con vero piacere:

    Forse con una donna

    Lasciarla far luce
    con le sue lanterne, vigile
    sulle alte mura trasparenti
    lasciarla apparire e sparire
    come lei vuole
    dosare i richiami
    perché possa appartarsi
    in qualche sua giungla di luna

    Forse con una donna
    disperata di te, del tuo mondo
    non serve dividere corone
    meglio farsi esuli insieme
    navigare con lei navicella lunare
    approdare su placide ginecosfere
    dove lei è dispensiera
    di pane e parole

    Forse con una donna
    sentire più spesso stupore
    che istupidimento, soprattutto
    quando dalle macerie risorgono
    lentamente i villaggi
    illimpiditi dal pianto e lei
    ricomincia a parlare alle rose

    Forse con una donna
    ridere insieme
    della tua enfasi e imperfezione
    lei complice custode
    di pienezza e inquietudine
    del riso e del pathos
    che non debordi
    nel suo patimento

    Ti immerge
    nella morbida offerta
    tu colmo di lei le correnti
    inverti al tuo mare, dissenti
    dal banditore che eri
    ( ora più aperte sul mondo le porte

    Questo il mio commento :
    “Bella poesia, dell’equilibrio direi, in un linguaggio essenziale ma nello stesso tempo altamente efficace di donna che parla della Donna ma nello stesso tempo dell’ Altro, per far emergere dall’ ombra il senso da attribuire all’intero equipaggio nella piccola “navicella lunare” di cui si fa parte. Argomento non facile dal momento che si è scelto di parlarne velando l’Io sin dall’incipit e quindi privando la poesia di argomenti sensibili. Da questo punto di vista c’è da chiedersi a chi sia rivolto l’infinito dell’incipit. Sarà questa l’idea guida, la traccia da seguire?
    La seguirò. Miniera di potenza e di insensibilità, l’uomo. Bisogna attaccargli addosso un post it al minuto per ricordargli di lasciar perdere la durezza nel volere solo per sé quel che anche l’altro vuole. Due mondi separati dalla levità dell’apparire e sparire in una giungla di luna. Si, sono d’accordo, dosare è termine giusto. E non si tratta solo di richiamo, ma c’è anche il tempo, lo spazio la volontà. Volere tutto in una volta è il contrario del desiderare che quantifica il piacere in piccoli pacchetti di dare e non dare. E’ a questo che l’ Altro deve adattarsi per forgiare le sue chiavi d’ingresso nel mondo dell’interezza dove dare e ricevere sono la stessa cosa. Tutto il problema che sta alle spalle è rappresentato da ciò che chiami “corone”, il potere insomma.

    Forse con una donna
    disperata di te, del tuo mondo
    non serve dividere corone
    meglio farsi esuli insieme
    navigare con lei navicella lunare
    approdare su placide ginecosfere
    dove lei è dispensiera
    di pane e parole
    Ecco dunque farsi avanti la medicina dell’esilio. Tappa necessaria per l’educazione all’amore. Non un “buen retiro” ma un ritrarre i remi in barca della ostentazione di sé, della volontà di affermazione per abbandonarsi alla semplicità del” pane e parole” nella navicella lunare dove la barra per l’approdo su ciò che chiami ginecosfere – ed io intendo la sfera più intima e meno accessibile della psiche femminile-è tenuta da Lei.
    Forse con una donna
    sentire più spesso stupore
    che istupidimento, soprattutto
    quando dalle macerie risorgono
    lentamente i villaggi
    illimpiditi dal pianto e lei
    ricomincia a parlare alle rose
    Ma se la domanda del mondo è di razionalità anche il linguaggio deve essere attutito ed in un certo senso cambiato, sostituendolo con la capacità di parlare alle rose- della delicatezza e del sentimento, dunque- in maniera che appaia evidente la sua forza di fronte alle macerie causate dagli interessi e dalle tante ragioni economiche. – Tanta è la fertilità del linguaggio innocente, capace di stupirsi di fronte ad una rosa –
    E’ nel recupero di questo linguaggio potente che rinascono i villaggi.
    Forse con una donna
    ridere insieme
    della tua enfasi e imperfezione
    lei complice custode
    di pienezza e inquietudine
    del riso e del pathos
    che non debordi
    nel suo patimento
    L’oltre è rappresentato dal desiderio di far partecipe l’Altro di tutte le contraddizioni insite nel riso e nel pathos. Luce e ombra in un solo nucleo fondamentale che a sua volta non è volontà di dominio, ma di un semplice sorriso che illumini enfasi ed imperfezioni altrui senza fargli sentire patimento.
    Ecco, adesso si è pronti alla tappa finale di questa splendida educazione sentimentale verso l’offerta in cui la dimensione donna appare nella sua vastità e complessità di richiamo, immediatezza, sentimento, innocenza ma nello stesso tempo capace di interezza e senso d’esistenza:
    Ti immerge
    nella morbida offerta
    tu colmo di lei le correnti
    inverti al tuo mare, dissenti
    dal banditore che eri
    (ora più aperte sul mondo le porte
    Ah quel tu adesso è onda che ritira la mano dal pianeta che credeva bandito e proibito e che immaginava di poter solo prendere e assoggettare. E’ il pianeta ad arricchirlo, maturandolo e colmandolo di sé.
    Se si voleva reindirizzare il lettore al sentimento d’amore, bè, credo che ci sei riuscita, col garbo delle tue anafore, con le tappe che hai delineato nel senso di smussare la conflittualità tra ricerca di potere e dono di sé per arrivare dove la meta sembri solo una porta un po’ più aperta sul mondo. Non facile in questo contesto di egoismi di vario genere incrociati tra loro.
    Mi rimane molto di questa poesia, come fatto, intendo, che in qualche modo coinvolga e sia esperienza. Soprattutto la chiusa è importante perché rimette in mano all’Altro e quindi al lettore la disponibilità all’ascolto come frutto di un atto d’amore.
    Per il resto è un piacere aver avuto la possibilità di leggerti e a mio modo commentarti.
    Un caro saluto
    Franco

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