Dalla prefazione di Anna Maria Curci
Sono molte le immagini evocate dal neologismo Tenebrezza, scelto dall’autore Davide Cortese come titolo di questa raccolta; sono immagini volutamente contrastanti, giacché alla tenerezza dello sfogo del cuore e dell’effusione si affianca la “triste tenebra” della malinconia, della mestizia che offusca lo sguardo, dall’interezza del dire non è disgiunta l’ebbrezza della luce sorgente di amore.
[…] Ancor più decisa dell’ombra, la tenebra, come “il sole nero della malinconia” nella poesia di Gérard de Nerval El Desdichado, è segno, marchio doloroso di una rappresentazione della quale l’io lirico così come il suo doppio, la marionetta, non conosce il disegno completo, ma dalla quale riceve impulsi che agitano profondamente e che si rispecchiano nella mimica facciale e nella gestualità.
[…] È la natura la testimone silenziosa ed eloquente dell’inquietudine dell’io (“Sono un inquieto. / Non c’è di me / null’altro da sapere” e ancora: “Dormo un sonno d’inquieto poeta. / Addormentato appaio in sogno a un elfo”). Un prato, la pietra, il “fondo del mare / una nuvola in posa da flâneur” accompagnano l’alternarsi di schermo ed esposizione (“exposure”, “allo scoperto”, nel senso che Seamus Heaney dà a questo termine nella poesia che porta proprio il titolo Exposure) dell’io, un avvicendarsi reso con metafore che rivelano la consuetudine di Davide Cortese con la poesia che lo ha preceduto, con il Novecento, con alcuni nomi di autori esplicitati – Pier Paolo Pasolini, Italo Calvino – e, a ritroso, con l’Ottocento squarciato da Baudelaire e rinnovato da Nerval, per risalire fino al Cinquecento francese, che Nerval fu tra i primi a rivalutare. I versi che seguono sono un autoritratto dell’io lirico nel suo essere insieme inquieto nell’animo e preciso nel dire: “Ma il mio scudo è di vetro soffiato. / Ogni lembo di me / è offerto al taglio della lama, / al colpo della pietra, / alla spietata parola”.

selezione testi
Difendi il tuo sorriso,
nada màs.
Di’ nomi che fanno bene.
Di’ Lucignolo,
Cosimo Piovasco di Rondò.
Sii tra le foglie.
Disegnati una mongolfiera.
Fischietta.
Vai a cena dagli Addams.
Leggi poesie per la loro pianta carnivora.
Riposa nell’azzurro.
Taci nel verde.
Sii bianco per rotolare nel fango.
Cerca un’ombra perduta da Peter Pan,
la perla verde di bambù,
la sola lacrima d’assenzio
che pianse Rimbaud.
Di’ Nevada e aspetta.
Ridipingi la panca nel giardino
e lascia che vi si siedano
a frotte i tuoi sensi di colpa.
Poi guardali andarsene via
con le brache colorate di vernice.
Canta una canzone stupida
che parla d’api o torte di mele.
Pensa a come ti chiameresti se fossi un clown.
A che animale assomigli.
A cosa diresti mai
se incontrassi il bambino che sei stato.
Inventa nomi diabolici per i tuoi angeli,
nomi dolcissimi per i tuoi demoni.
Bacia il tuo sorriso.
*
Sono un inquieto.
Non c’è di me
null’altro da sapere.
Mi trema dentro
un ruggito d’oro.
Splende in me
l’adolescenza del buio.
*
In apnea fendere
l’acqua che non so respirare,
abissale di un mistero mio
e attraversare sul fondo del mare
una nuvola in posa da flâneur
per afferrare con tutte le dita
un piccolo astro che brilla
come una parola che da secoli
vuole esser detta
proprio da me.
*
Quando sono qui
sono lontano.
Piccola davvero
eppure invalicabile
la distanza tra me e me.
Rimango
sempre a un passo
ad affamare il cielo del mio volo.
*
in copertina illustrazione di Davide Cortese
*
Davide Cortese (Isola di Lipari, 1974) ha pubblicato la sua prima silloge poetica, ES, nel 1998. A questo libro sono seguite le sillogi: Babylon Guest House, Storie del bimbo ciliegia, ANUDA, OSSARIO, MADREPERLA, Lettere da Eldorado, DARKANA, VIENTU (una raccolta di poesie in dialetto eoliano) e Zebù bambino e Tenebrezza. Nel 2015 ha ricevuto in Campidoglio il Premio Internazionale “Don Luigi Di Liegro” per la Poesia. Nel 2023 ha ricevuto a Firenze il “Premio La Chute alla Poesia”. È autore del romanzo Tattoo Motel, di due raccolte di racconti: Ikebana degli attimi e Nuova Oz, della monografia I Morticieddi–Morti e bambini in un’antica tradizione eoliana e della fiaba Piccolo re di un’isola di pietra pomice. Ha inoltre curato l’antologia-evento YOUNG POETS * Antologia vivente di giovani poeti al Teatro Aleph di Roma, GIOIA – Antologia di poeti bambini (con fotografie di Dino Ignani) e VOCE DEL VERBO VIVERE – Autobiografie di tredicenni.

bello il titolo della raccolta, anche se oggi, dato il caldo torrido padano, lo cambierei ben volentieri in “tenue brezza”.
: )
interessante più d’uno spunto, sia nella prefazione di Anna Maria Curci sia nei (pochi, ahimé) versi qui riportati. innanzitutto pregna di significato è la marionetta come doppio che riceve impulsi “che agitano profondamente” e che nel contempo incarnano l’agito che anima i versi (le smorfie di dolore?) dell’autore esorcizzato (l’invalicabile “distanza tra me e me”). sì, insomma, “àgitano l’agìto” mi ha fatto pensare, ed è sempre cosa bella.
poi mi è piaciuta molto la parodia serissima-quasi-beffarda dell’ombelico poetico (l’io che splende in me, la parola che attende da secoli di essere detta da me, il mistero mio, ogni lembo di me, e infine – altrove – “ululo da solo alle mie lune”). una forma originale di autoironia sofferta, capace di piazzare “colpi bassi” notevolissimi, si veda ad esempio l’ottima chiusa, decisamente urticante, di una lirica non riportata qui: “Io respiro / e non c’è niente che mi scagioni / dall’accusa di essere vivo.”
una voce che appare interessante, dunque, in grado di inquadrare la realtà soggettiva del poeta da un’angolazione sufficientemente obliqua per “illuminare eternità che non so”, come attesta l’acuta osservazione di un mare/male che diventa “il ventriloquo della conchiglia”.
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