“Fare gioia, fare pace… farsi grazia”
(A Maria Teresa Codovilli)
Libera molta forza e intriga fascino in egual misura, la poesia di Maria Teresa Codovilli, perennemente tesa e sospesa come un inesorabile turbinìo, insieme, della luce e del buio: lì dove annida la coscienza che reclama i sensi, e il sentimento panico, irruento, dell’esistere: il nostro dono mai domo… “Spinosa gioia,” Lei la chiama e reclama: “irta e potente insieme, / che mi rincuora e rassicura”…
Marchigiana di Sassofeltrio (il che ci trasporta alle dorate, istoriate cronache rinascimentali del Ducato di Urbino), s’è laureata in Pedagogia, ha insegnato a Cattolica, dove ancora risiede, davanti al mare disteso e festevole della riviera romagnola, ma con alle spalle, in cuore – ecco già una poetica – l’appennino avito e colto, il codice d’arte ed eleganza da cui proviene: insomma quel Montefeltro brumoso e arroccato da cui, nel pieno ‘400, Francesco di Giorgio Martini architettava i sogni e i canoni di Bellezza dell’Europa tutta.
Numerose e ispirate le sue raccolte, a partire dagli anni ’90, impennate e impegnate – già nei titoli – a cogliere e cantare l'”itinerario circolare” del vivere, e insomma tutta l’anima-corpo Nell’attimo-frammento (2001), per adesione piena e molteplice “d’armonie” e “disarmonie”, terrestrità “D’aria luce” (1999), èmpito Di multiplo verde (2002)… Pariteticamente dedita, per intenderci, a L’ora che riarde (2005) – abbacinante Sole a picco “Nella palpebra del giorno” – ma anche alla dolce e cara quiete nottivaga e sognante, cioè Al segnosogno flessuoso della luna (2004)…
Il viaggio mi percorre (2009), titola Maria Teresa Codovilli. Enigma cadenzato e coltivato, sempre Ella va chiedendosi, con instancabile, quotidiana ritualità, Dove va ogni dove? (2013).E più ancora dove approda L’elusivo canto fuggente (2015)… “Amo pensarmi in forma d’aquilone,” – confessa in un testo più antico, dedicato a Mario Luzi – “immaginandomi ogni momento d’ascesa e mutazione”…
La Critica apprezza da tempo la sua impennata e lirica fertilità, che “in forma di quasincongrua allegria”, gioca a sorprenderci. Neuro Bonifazi, parla di “una Parola estesa e vibrante, ‘multipla’ e ‘fluente'”… Maurizio Cucchi, registra la sua “inquietudine lirica”, risolta o meglio sublimata “nell’accavallarsi di immagini e metafore”…
La vera attenzione, infatti, qui va dedicata al linguaggio (che è insieme filosofema e vitalistica, instancabile dichiarazione di Poetica): e ancor più al fascino della bella resa sinestetica, che imperla e infibra tutti i suoi libri, e questo verseggiare spasmodico e sinuoso, innamorato del Logosma soprattutto dell’Èthos – che è fuoco d’esistere, matrice della vita, animacorpo, direbbe Maria Teresa: che costruisce, aggrega infiniti ossimori come speranze sfiduciate o strenue fragilità, fiori-e-colori, ed egualmente ombre assolate…
Moglie di un artista importante come Augusto Gennari (artefice spesso delle sue copertine, che sono “Danza” di pigmenti naturali o un “Policromòro” scolpito a legno d’acero e foglia d’oro), Maria Teresa s’infervora e s’installa in un sodalizio che è prezioso per l’immagine e la parola al contempo – e chiede in fondo all’arte di parlarci, dialogare essenze, disquisire lo scibile. Ma anche esige dalla poesia di effigiare l’anima, dare forma e contorno e cromìe (lessicali, va bene – ma l’Arte è tutta un lessico, una Babele rinfrancata e resa unitaria, dispiegata finalmente a unire, a far capire).
Qui, Nell’oscuroluminoso segreto ci siamo tutti, ed appartiene a tutti. Inesausta, arcana metafora, e felicissima ridda di analogie… “Fare gioia, fare pace… farsi grazia” giura Maria Teresa. Che parte da un “recesso di bosco inaridito / a strapiombo sulla costa sassosa”; recupera in gioia “il festoso girotondo dei giorni inebriati, / nella pienezza della nostra estate!” (da un mare all’altro, dal Tirreno caldo della Versilia all’Adriatico affabulante, vagamente felliniano del riminese, quasi un calco della memorabile estate panica dell’Alcyone, il capolavoro lirico dannunziano), offusca e rischiara la visione, “pensieri affilati di desiderio e d’ombra rappresa”…
“Istante per istante, nel tramonto rapinoso”, anche la lauda laica di Maria Teresa orchestra e seduce i sensi tutti, in magica sinestesia: “sontuosa s’infiamma la tastiera marecielo”…
Lo sguardo e la visione, ricorrono continuamente nelle sue pagine, nei suoi squarci rutilanti, nel sue laiche epifanie del vivere e dello scibile (“nel mio assorto guardare”, “il mio intento guardare”…). Orizzonte – sequela – di “giorni riarsi” (“di ricordo in ricordo, si concatena e frana il pensiero”), ma anche e soprattutto “l’avvento del verde fuoridentro”: che riesce con virtù proprie ad evocare, insieme, Il falso e vero verde di Quasimodo, ma anche “La forza che nella verde miccia spinge il fiore…”, cifra ed aura cult di Dylan Thomas…
Barocco e franto il suo stile, perennemente innamorato della vita e dei suoi travagli, capace di restituire in danza eufonica e musica d’osmosi “maree e bradisismi”, le care ombre da cui rinasce ogni luce, e la perenne “profezia di un nuovo approdo”… Ascesa e mutazione… Vertiginoso, rapinoso “aprirsi d’altri varchi e d’altri cieli”; estuosa, visionaria ars dictandi, che allittera “all’incauta incantazione” avverbi dolcissimi (“musicalmente”, “splendidamente”), ma anche verbi tesi e moti aspri, acerrimi (“Si cauterizza”, “s’infrange”, “si scompone”)… “Il deflagrare sereno del sole che reclina”… la induce insomma ad evocare la Natura e l’Anima allo stesso modo: l’anima propria, complice e distesa, presentimento alato… E la più vasta, indicibile Anima Mundi, che ci guida e protegge, tra gesti, ansie, concetti, pause e rifrazioni…
Le basta questa bellezza (che non è più, certo, La Beltà zanzottiana, avulsa eppure storicistica, lacaniana teoresi dell’Io, lirica d’intelletto ereditata e innovata tra Idioma e Fosfeni), la semplice, definitiva e immemore bellezza “che rifulge e si consuma / in entropia del sé e del tempo”…Lei invoca e insegue “musica d’arsione”, “energiamateria”, fiume di me… E poi un credo inesausto, uno smarrimento che invece continua l’estasi, la rinsalda: “Di certo non può sostenere questo splendore / la ferita aperta del pensiero – del suo cuore / più profondo e pulsante”…
In esergo, a mo’ d’epigrafi sapienziali, s’affollano Gibran e Milosz, il Camus d’ogni “estate invincibile” e il Bonnefoy che ci ammonisce “La parola non salva, talvolta sogna”… Ecco, Maria Teresa Codovilli sogna sempre – e proprio questo sognare la salva, perché lievita ad occhi aperti! E s’impegna in questa sua accanita e pur garbata guerra onirica, che è credo lirico, piccolo e strenuo volo di Libellula (“Panegirico della Libertà”, giurava Amelia Rosselli), “in amnesia/amnistia d’odio e rancore”…
Torna il lessico a mimare la guerra continua degli elementi, a impetrare una breve tregua, una minima grazia; tornano i verbi a coniugarsi duri, aspri, riarsi, ma infine domati: “Attraversare”, “Eludere”, “Varcare”… Svola e si aggira la Libellula che è sempre la Poesia: “Sì, pensarsi in forma di libellula, abbagliata e lieve / – appenatremante, / a pelo d’acqua e d’aria, / con la trasparenza delle ali penetrata di liquida luce, / in segnosògno d’intangibile grazia, inebriata”… Nel mentre, come note, solfeggiano ed echeggiano tutte le sue parole accoppiate ad ossimoro (“spinosa gioia”, “imperturbata e fragile”)… E i verbi, poi, cadenzati a gnosi, sensuose litanie sperimentali: avvampa, sorprende, rincuora, rassicura, accarezza…
Questo il suo dono e questa la sua missione: testimoniare e raccogliere “la profusione di ogni prodigio di vita e bellezza”, onde “riemergere a un cuore di gratitudine, più umano”… E dunque “fare gioia, fare pace, farsi l’un l’altro varco, farsi grazia”… “In lucebuio”…
E l’abbraccio d’altrove – munifico, espressionista – non è allora solo al suo Augusto, ma gesto d’amore universale, carezza della carezza che “attraversa/annulla tutte le distanze, i muri e le nebbie”… Fra fantasmagorici “ricordi felici” e “l’agguato degli angeli irti e sghembi”…
Plinio Perilli
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Maria Teresa Codovilli nata nel 1947 a Mercatino Conca, ora Sassofeltrio (PU). Laureata in “Pedagogia” all’Università di Urbino, ha insegnato a lungo, vivendo a Cattolica. Poetessa e anche pittrice con una forte matrice simbolico-figurativa. Nel 1981 sposò il pittore e scultore Augusto Gennari, con cui strinse un felice e sempre ispirato sodalizio artistico e sentimentale.

