Con l’anima in veste di luce
a Marina Petrillo
poetessa utopica e insieme empirica,
percettiva ma in raziocinio d’aere,
terrestre volo dello spirito,
a un sesto senso iperconnessa…

Caparbia e ariosa, risoluta in passione ed effusa in dulcedo… Loica e sensuosa, la poesia di Marina Petrillo ricerca, scandisce ed esige a ogni suo passo o snodo o respiro un fiero, impennato Indice di immortalità (Prometheus, Milano, 2023), ma al contempo procede, perlustra e avvera in itinere un paziente, docile e luminoso raggiungimento quotidiano, fatto di esperienze e (ri)pensamenti, dense gioie terrene e divinanti emozioni…
Per trama antesignana all’ordito
il cosmo non agita alcun gesto
Silenzioso assioma balbettato
da eventi insidiosi eppur perfetti.
Il tacito rullìo del pensiero intercetta
la spiraliforme eclissi della parola.
La stessa dedica, così scandita, lievitante in un bivio tra l’arcano più puro e la sorgiva matrice gnomica, o vocazione creaturale (“Ai Maestri – Alla Madre”), si ripete, di libro in libro, come una costante fondativa e connaturata.
I Maestri – attenzione – sono laici o sacrali allo stesso modo: specialmente poi nella peculiarità del suo stile e della sua materia ispirativa, che è lirica ma non elegiaca, temprata, eppure suadente, echeggiante accordi profondi, cadenzati e sfumati assieme; elegante, ma giammai esornativa; esoterica, esplicitamente alchemica, eppure discepola di raziocini affilati, ambasciatrice di generose profezie euristiche, cioè magnanime impennate interpretative…
Ma è l’affidamento, la devozione alla Madre che più forse ci emoziona e ci affascina. La Mater Matuta, la madre destinata, potenziale, che è in tutte le donne; e naturalmente l’Alma Mater, la Madre sacra insieme del Dio fattosi uomo e dell’uomo che vorrebbe, potrebbe ricondursi alla deità creaturale… Una trasparente, trascolorata AveMariaGratiaPlena che, dimessa ed esemplare, accompagna sempre o quasi tutti i testi della Petrillo. Con rarefazioni o impennate entrambe potentissime…
Siamo qui
in un perduto gesto
mentre l’Altro da noi
trasmigra in atto parallelo
o, tenue, diluisce in liquido amniotico
di altra vita specchio.
È un passaggio esemplare di Materia redenta (Edizioni Progetto Cultura, Roma, 2019) che ci porta in discrimine d’ansia ma anche pienezza, vigore della speranza sino alla soglia, al destino, all’auspicio della maternalità:
Partoriti siamo dunque
ma dal Sogno
cercando di vita in vita
la Madre.
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Uno spazio irrinunciabile ed egualmente devoto – per vocazione laica, sarebbe errato dire “pagana” – è quello che Marina destina, tributa poi al Mito, che davvero risale (o discende) ondivago per tutti i suoi poemi (tali sono in fondo le sue raccolte: poemi sinfonici, veri, strutturati e architettati romanzi lirici, e non porzioni, sezioni di liriche, raccolte parcellizzate tra titoli e variazioni (varianti): come frastagliati e sfaccettati racconti collezionati, collazionati di indicibile ma concreta poesia…
“… L’indicibile” – Ella esordisce in Indice di immortalità – è in quello spazio sottratto al nulla della parola che non trova espressione se non attraverso il suo opaco riflesso. La poesia tenta di abitare tale cono di ombra in luce, tracimando ciò che l’esperienza sensibile nega. Struttura alla deriva convertita in canto, suono primordiale amplificato da intuizioni che precorrono ogni pensiero. …”
Ma anche qui, l’originalità di Marina Petrillo la distingue e la nobilita. Niente a che fare con quell’uso e ricorso al Mito, che già da alcuni decenni rinfranca, ad esempio, la nuova poesia italiana verso uno sguardo paladino di accenti forti, ed echi profondi ribaltati dalla mistura e tessitura della Realtà… Penso all’amico Giuseppe Conte, che fin dagli anni ’70 (L’ultimo aprile bianco, 1979; L’Oceano e il Ragazzo, 1983; Le stagioni, 1988) s’allontanò dal grigio, meccanizzato e trafficato panorama corrente, per correre dietro ai grandi orizzonti e verso i panorami additati, profetati da Yeats o Graves, poi in fondo anche da Dylan Thomas e magari dai nuovi romantici ispanici: Machado, Lorca, Vicente Aleixandre (il suo Ombra del paradiso, è del 1944)…
Mitomodernismo, Conte teorizzò, e si disse. Andò pure di moda – il che non è mai conclusione felice. Ma glissiamo in fervore…
Il Mito che a tratti rapisce e inebria Marina, è – tanto per dire – un’ombra rilucente di Medusa, più acquatile che terrestre; e sì che il suo mito (e il suo sguardo malefico) la portavano verso destini impietriti e nefasti, angosciosi alla massima potenza…
Involve ad altra forma la sinuosa Medusa
Essere fluttuante luce tra onde del cui segno
è traccia l’orizzonte scalfito da ostile scia
Violacea incede a velo di sposa
giacendo in angolo di mare
del cui tacito esilio è vedovanza.
Smarrita appare al cielo delle stelle dormienti
quando in brillio tace il suo canto
e, insperata, giunge ignota
dai fondali reduce, remota stirpe
irridente l’umano lascito terrestre.
E allora, nella potente e sinuosa stratificazione d’ispirazione e anche adozione d’una grande tavolozza di archetipi, ecco che alla gabbia
ontologica, alla griglia filosofica, s’aggiunge un fiero abbandono fideistico, l’offertorio perseguito e meritato d’una schietta liturgia di preghiera, dunque d’adesione e umile adempimento dell’Altissimo.
Nell’algoritmo del presente vive l’imponderabile stato di non prevedibilità che agisce da buco nero atemporale, ove sostano nuovi piani di realizzazione.
Decanta l’Io nel cielo della ri-velazione sino a stemperare in ciclo esistenziale: ampolla del sublime intento cui il sogno si abbevera e germina.
In un oscillare continuo, forse anche ereditato di un certo andamento eliotiano che s’intride, contride delle giuste porzioni, pulsioni di religio, ma declina meglio il sacro proprio specchiandolo, salvandolo e quasi riscattandolo in un Raziocinio Redento, in un chiaroscuro ove è l’ombra che ci guida al sole, ed è il buio (come in un quadro fulgido, risoluto del Caravaggio) che ci guida e ammaestra di luce.
Attraversa in potenza genealogica, la parola, il Logos. Sublima il suo stato in vibrazione e lì permane, sede regale tacitata a poesia. Evento indifferente al crogiolo del dubbio. Santificazione del presente a sua dottrina. Apologo del sempre detto in amnesia perenne.
Sospinto oltre il bando della illuminante prigionia, regna, redento, il candore.
Nella nomenclatura lirica, nella tabula praesentiae della sua poesia i sostantivi, gli aggettivi, i verbi che sempre ricorrono, rintoccano, o s’elevano a coro… sono pochi e caparbi, sempre quelli, pennellati morbidi o spatolati con virulenza come i suoi colori principali (finanche alchemici: albedo, rubedo, nigredo); ma a seguire anche quelli intrisi, commisti e mescidati come colori secondari, derivati…
… redento candore cosmo vuoto assoluto
splendore l’ombra eterno ciclo l’istante
Bellezza lo sguardo la memoria …
Memorabili, taluni suoi versi si snudano e si tramutano a mottetti, adagi intimamente cosmici, cioè introiettati e universali:
Non fui mai. Solo intrattenni dialogo
con l’anima in veste di luce abbagliata
da origami diurni graffiati a fosforo.
Così vedo allontanarsi la notte.
Difficile – e comunque fuori posto – voler ora riassumere questo denso, cifrato dono poetico come una sontuosa mappa d’itinerario, o peggio, indecifrabile perlustrazione emotiva; sì, un inesausto peregrinare, pellegrinare in lungo e in largo per tutto o quasi lo scibile, inteso dai minimi pertugi della Cognizione Umana, ai vasti lidi, al delta supremo della conoscenza divina (che è, per l’appunto, inconoscibile)…
Vuoto ponderato ad azione
Attrito postumo all’impatto
quando non v’è stupore nella visione
ma opposta sintesi in idea.
Ci basti però l’enunciazione, la glorificazione d’un colore (o stato, stadio cromatico), per dare fulcro a un miracolo auratico, per dare rifrangenza a un’illuminazione, insieme (Rimbaud lo sapeva), della Mente e del Cuore…
Visione zaffirica
………………….
Essere onda del sé
Non pronunzio “io”. Non lo sono
Mi lascio dimenticare e sovverto in stupore quell’infanzia
Entro nella sezione aurea
Un frattale si moltiplica sino a giungere alla particella
unica
……………………
*******
Sarebbe utile seguire – inseguire – il percorso di Marina Petrillo ab initio; divagare e abbracciare le sue lasse liriche sin dal primo breve, e lancinante apparire/svanire dei barlumi (loro sì, montaliani) de Il normale astratto, raccoltina deliziosa e stoica del 1986… (Edizioni del Leone, Venezia).
Una sequela di quadri (nel buon cinema si parlerebbe di fermo-immagine, di ferme-immagini) che a noi personalmente ricordano il miglior Sironi, quello dei paesaggi urbani… Cupi e sacrali, sconfinati d’umanità negletta e dolente…
Linee
di pura luce
infrante
su lampioni
fermi
come sguardi
Lampi
di un’esistenza
dimenticata
agli abbracci
spenti
di chi non ama
……………………..
Il cuore
spenge
il battito
della vita
in giorni
lunghi
di noia
Sarebbe oltremodo decisivo affidarsi anche alla sua seconda raccolta, quella della Materia redenta che sempre ricorre e affolla le “illuminazioni” di Marina. Ma prima sarebbe doveroso, ahinoi, duellare con le forzature di una prefazione (quella di Giorgio Linguaglossa) zeppa d’acribia dialettica e ostiche forzature interpretative,
“… È là dove la Petrillo foscoleggia che ottiene l’apice della monumentalità per quell’empito della voce da basso continuo, classicista nutrita di anticlassicismo per quella fedeltà alle regole formali della poesia a partire dal ritmo franto ai raffinati tecnicismi dell’a capo, attraverso cui la poesia modernista del novecento riaffiora in una veste anacronistica e inattuale in un mondo che non sa più che farsene di quella metafisica dell’apparire e del disvelarsi …”
Puntigli finanche epocali, che Linguaglossa (nomen omen!) si sforza anzitutto di catalizzare, puntualizzare in una data – un dies a quo e poi un dies ad quem – dove sarebbe dunque avvenuto il massimo misfatto di una Modernità che diventa post, rinnega se stessa, ribalta gli opposti
“… Oggi, nelle nuove condizioni del Dopo il Moderno, non c’è più un passato da distruggere, anzi, non c’è più un passato, non c’è più nemmeno alcuno spazio per il Futuro.
La poesia di Marina Petrillo la si può inquadrare in questo ambito storico: un tentativo di scavalcamento all’indietro della modernità ripristinando le tematiche ‘alte’ e quelle ‘basse’, il lessico ‘alto’ e quello ‘basso’ …”
Il che – la bruniana coincidentia oppositorum – sarebbe anche giusto, spesso inevitabile – ma non può essere il frutto d’una logica a tesi, d’una mission incauta e forse anche stoica, dove il classicismo diventa anticlassicismo: e insomma la Petrillo intavolerebbe Teatrini dell’Assurdo dove l’assurdo è il far poesia cotidie, mentre si aspetta l’indicibile, si aspetta Godot, e udite udite, forse si paventa che alla fine Godot arrivi, ma più che altro per colpo teatrale e forse sublime (peraltro adorabile) controparodia, boutade montaliana (il Montale senile di Satura): “I critici, da me depistati”…
I critici ripetono,
da me depistati,
che il mio tu è un istituto.
Senza questa mia colpa avrebbero saputo
che in me i tanti sono uno anche se appaiono
moltiplicati dagli specchi.
………………..
No, Marina non depista nessuno, proprio non se ne cura. Chi vuole la segua pure nella sua sana dissipazione antiromantica (quando romanticismo è maniera, è melassa o merendina stucchevole), per chi invece vorrebbe salire, impazzire di Poesia – fino e oltre alla soglia dell’Amore; forse la stessa soglia, Torre, che varcò e per 37 anni (dal 1806 alla morte, nel 1843), accolse Hölderlin, innamorato pazzo di Suzette Gontard (modello della fanciulla greca che chiamò Diotima, e alla cui morte uscì di senno)… Hölderlin, l’immenso autore di Iperione e de La morte di Empedocle, divenuto e firmatosi Scardanelli.
Marina si versa da par suo in queste vicende, che sceneggia e poeteggia liberamente […]… continua qui PDF: “a Marina Petrillo”di Plinio Perilli

Marina Petrillo è nata a Roma, città nella quale vive e risiede. Venuta a contatto giovanissima con ambienti letterari e circoli poetici, pubblica, nel 1986, la sua opera prima, “Il Normale astratto” (Edizioni del Leone), con prefazione di Aldo Piccoli. Seguirà un lungo periodo connotato dal desiderio di entrare in contatto con nuove discipline e vie di sperimentazione artistica e di scrittura volte all’interconnessione tra vari campi di ricerca. Interessata all’aspetto trascendente della realtà, si dedica allo studio di discipline quali la Cabala e all’ermeneutica di testi sacri e filosofici di varie culture. E‘ anche pittrice. Dalla collaborazione con l’artista reggiano Marino Iotti, nasce nel 2016 “Tabula Animica”, percorso artistico poetico premiato nell’ambito dell’Art Festival di Spoleto nel 2017, pubblicato a tiratura limitata. Nel 2019 pubblica per Progetto Cultura, “materia redenta”, opera segnalata nel 2020 nell’ambito del Premio Internazionale Mario Luzi. Sue poesie compaiono su riviste letterarie e antologie. Ha collaborato alla rivista on-line “l’Ombra delle parole “di Giorgio Linguaglossa e suoi articoli sono apparsi sul Mangiaparole. Promuove e organizza eventi volti alla diffusione della poesia, collaborando con numerosi poeti e artisti. A settembre 2023 è stata pubblicata l’opera poetica “indice di immortalità”, con saggio introduttivo e post-fazione del Professore Francesco Solitario, Casa editrice Prometheus, testo che si è classificato vincitore nell’ambito del “Premio Internazionale Centro Giovani e Poesia – Triuggio” 2023. È intimamente convinta dell’intrinseco legame che si instaura tra poesia e Phonè, tale da evocare, in chi ascolta, l’attivazione di uno stato introspettivo fecondo alla propria crescita interiore. Tale opera è stata segnalata al Premio Montano 2024.
Molto interessante il modo in cui la poetessa Marina Petrillo viene raccontata, circondata da leggiadria ma allo stesso tempo contenuti forti, materici..il tutto sospeso in un tempo indefinito.
I miei complimenti
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