

incubi al cubo
sottotitolo esplicativo: sfumiamoli con Canva
alcuni soli fa, tra le macerie, giocavo a acchiapparella
c’erano Ahmed, Haidàr e Hassouna
e c’era pure il braccio di una bimba che
non conoscevo
correva velocissimo
la mano impolverata ci acchiappava tutti
perfino Haidàr che è sempre il più veloce
non aveva scampo
“preso!”
non c’era gusto…
allora abbiamo smesso di giocare
da quel giorno
il braccio con la mano impolverata
batte il tempo con le dita
sopra una lamiera…
muore di noia: non può ospitare
un circo di pidocchi
e non ha coste da contare mentre
sfilano in parata, così
torna a rincorrermi di notte
nel buio che straripa tra le tende
fulmineo come i lampi delle bombe
o i cubi di tungsteno a raffica
si mescola agli spifferi e alle voci
s’incunea negli squarci
mi strappa via gli stracci e le coperte
esige che lo guardi
* dritto negli occhi *
e poi mi tocca
d’istinto, mi difendo: mi aggr’appo all’app
con cui correggo le mie foto
occhiaie, rughe, imperfezioni varie e lo
fotoritocco
*
sveglia Poeti e poeti! siamo AI titoli di coda…
è stato bello, abbiamo sognato (o anche solo dormito), ma è ormAI giunta l’ora di svegliarsi.
e il risveglio, in questo caso, è una doccia molto fredda… gelida… freddissima: come trovarsi all’improvviso dentro una ghiacciAIa (o a una ghiaccIA-IA, per dirla all’italiana)
“AI-generated poetry is indistinguishable from human-written poetry and is rated more favorably”, recita uno studio di Porter & Machery, pubblicato il 14 novembre 2024 sulla prestigiosa rivista Nature .
ebbene sì, mentre l’intelligenza umana è AI minimi storici (prodotti artistici sempre più sguAIati e modAIoli, ne sono specchio fedele), l’AI (Artificial Intelligence) ci sorpassa in curva. ad esempio, i versi che avete letto a inizio post sono stati scritti su mie istruzioni da Deepseek, una AI particolarmente “intelligente”, dopo che le ho fornito in copia-incolla come “traccia-guida” una decina di mie liriche sui temi più disparati.
non vorrei essere frAInteso, fratelli e sorelle: tengo a sottolineare che non sono aprioristicamente ostile all’AI.
però son molto preoccupato: l’AI è più additiva della cocAIna, più ammaliante della televisione e, soprattutto, la sua programmazione è proprietà privata dei burattinAI (basta un click nella stanza dei bottoni per farle dire questo e/o non dire quello, si veda ad esempio lo studio di Agiza e colleghi.
conoscete qualche rito apotropAIco che possa agire da esorcismo?
prima che nei millemila commenti che fioccheranno in calce al post s’inizi ad abbAIare alla luna e che parta l’assalto alla bAIonetta contro il nano (che sarei io), riporto qui di seguito la fedele traduzione dell’abstract dello studio di Porter & Machery citato più sopra.
“La produzione di testi generati dall’AI è in continua evoluzione, tanto che distinguerli da contenuti scritti da esseri umani è diventato assai difficile. Questo studio ha valutato se i lettori comuni siano in grado di distinguere in modo affidabile tra poesie generate dall’AI e poesie scritte da poeti umani noti. I risultati mostrano che i lettori comuni sono più propensi a giudicare le poesie generate dall’AI come composte da esseri umani rispetto a quelle effettivamente composte da esseri umani (p < 0,0001). Le poesie generate dall’AI, inoltre, vengono valutate più favorevolmente in termini di qualità come ritmo e bellezza, e questo contribuisce alla loro errata identificazione come poesie di autori umani. I nostri risultati suggeriscono che i partecipanti utilizzino euristiche condivise ma imperfette per distinguere la poesia generata dall’AI da quella umana: la semplicità delle poesie generate dall’AI potrebbe essere più facile da comprendere per i non esperti, inducendoli a preferire la poesia generata dall’AI e a interpretare erroneamente la complessità delle poesie umane come incoerenza generata dall’AI.”
sarebbe molto interessante ripetere il medesimo studio con lettori “esperti”, magari esimi letterati o poeti/Poeti essi stessi, per validare l’ipotesi interpretativa di Porter & Machery.
inoltre, sarebbe parimenti interessante disquisire sul significato di “semplicità”, che solo in casi molto limitati implica “banalità”, mentre è sempre sinonimo di “fruibilità”, ovvero della possibilità di godere appieno delle emozioni comunicate dai versi. emblematico, infatti, che nello studio di Porter & Machery, i partecipanti nei loro giudizi abbiano usato la frase “non ha senso” per le poesie “umane” più spesso che per quelle generati dell’AI (144 volte vs 29 volte). tale risultato è pregno di implicazioni se si considera l’istintiva tendenza dei Poeti (e spesso pure dei poeti ) a indulgere in seghe mentali e/o in trastulli kitchen (si veda, in proposito, https://lombradelleparole.wordpress.com), confidando nella pareidolia e/o in fenomeni affini al test di Rorschach per sopperire ad una straziante mancanza di idee, ovvero di cose “importanti” da dire.
d’altro canto, è innegabile che una certa dose di complessità e di “sintomatico mistero” (per dirla con Battiato) sia elemento capace di affascinare il cervello umano in ogni ambito, arte compresa. in proposito, ricordo che secoli addietro avevo ipotizzato l’esistenza nelle nostre menti di una peculiare manopola a doppia scala inversa: da un lato troviamo l’astraziometro (quantificante il grado di astrazione e quindi di complessità di uno scritto) e da quello apposto lo straziometro (quantificante il grado di supplizio subito dal lettore). la manopola vista alla risonanza magnetica cerebrale sarebbe fatta più o meno così:

in ogni caso, al contrario di quanto riportato da studi precedenti, resta il fatto che i lettori non solo non distinguono più la poesia umana da quella generata dalle AI più “evolute”, ma la giudicano “più umana di quella umana”. tale riscontro segna un balzo in avanti nella potenza dell’AI generativa: in precedenza la poesia era uno dei pochi ambiti in cui i modelli di AI generativa non riuscivano a raggiungere il livello di indistinguibilità da produzioni umane. infatti, in uno studio precedente, il lettore comune era risultato in grado di distinguere le poesie di ChatGPT-2 da quelle umane, mentre nello studio di Porter & Machery il lettore – come già accennato – non solo non è stato in grado di distinguerle, ma anzi ha giudicato “più umane” le poesie di ChatGPT-3.5 rispetto a quelle umane.
se poi ampliamo lo scenario precedente includendo nel ragionamento la situazione dei giovani discenti, il quadro si fa inquietante.
difatti, se da un lato i “gggiovani” non sono certo dei completi analfabeti, d’altro canto è innegabile che in genere leggere li annoi: il modello socioeconomico capitalista/consumista gli ha insegnato ad avere fretta, sono fenetici, impazienti di arrivare a fine pagina e di passare ad altro (solitamente un qualche social su un display) e come logica conseguenza spesso saltano parole o intere righe solo per riuscirci. stesso problema per il messaggio in “uscita”: comunicano mediante frasi brevissime e sgrammaticate in formato tweet o menù fast-food, del tutto inadeguate a veicolare pensieri articolati.
ed ecco allora che l’opportunità di copiare dall’AI è di quelle da cogliere al volo: una magia che, tra l’altro, consente di velocizzare l’esecuzione di qualsiasi compito, così da avere più ore a disposizione per social media e compagnia bella. in proposito, vale la pena di ricordare che un recente studio di Kosola e colleghi pubblicato sempre nel 2024 su Archives of Disease in Childhood (rivista affiliata al British Medical Journal), mostra che circa la metà del campione di 564 adolescenti analizzato (età media 16 anni) usa il cellulare per almeno 6 ore al giorno e manifesta disturbi d’ansia o dipendenza da social media.
chi ha a che fare con l’insegnamento sa che sempre più spesso capita di trovarsi a dover correggere elaborati che gli studenti hanno “commissionato” all’AI. saggi, ricerche, riassunti, traduzioni, temi, poesie e compagnia bella saltano fuori con un click… addirittura un mio assistito, professore di scienze al liceo, mi ha raccontato di aver sorpreso un suo alunno mentre inseriva le domande nel suo smartwatch durante un compito in classe e trascriveva le risposte.
quanto manca perché spuntino sugli scaffali sillogi poetiche o romanzi scritti delle AI? costo zero (nessun diritto d’autore da pagare), maggiore attrattiva commerciale (come visto, il “prodotto” è più gradito al lettore) e, di conseguenza, più ampi margini di profitto…
peccato.
scrivere non soltanto era il modo più valido per esprimere i nostri pensieri. l’atto di scrivere era soprattutto un allenamento a pensare: sedersi, fermarsi a riflettere, raccogliere i dati, ampliare le proprie conoscenze, formulare frasi, cercare le parole giuste, collegare concetti, argomentare, usare metafore, parallelismi, antitesi, portare avanti una sintesi e trarre le dovute conclusioni. in altre parole, scrivere era il miglior modo che io conoscessi per elaborare un proprio punto di vista.
tuttavia, mentre io temo per il futuro dei nostri figli, per contro, c’è chi è più che contento.
è evidente, infatti, che chiunque (specie se giovane), abdichi tali capacità intellettive e di ragionamento demandando la scrittura all’AI, sarà uno schiavo migliore.
verso la metà degli anni ’60, lo scienziato informatico, Joseph Weizenbaum creò ELIZA, uno dei primi chatbot. gli esperimenti che condusse utilizzando tale “nonna” dell’AI, attestarono che ELIZA non era intelligente, ma ciò nonostante le persone che interagivano con ELIZA mostravano una spiccata tendenza a immaginare intelligenza dove non ce n’era. Weizenbaum arrivò a concludere che “periodi di utilizzo anche molto brevi di ELIZA erano in grado di indurre forti convinzioni illusorie in persone del tutto normali“. e proprio per tale motivo, Weizenbaum sarà poi una delle voci più critiche nel dibattito sull’AI.
in sostanza l’AI è uno strumento troppo potente per lasciarlo gestire agli scienziati e ai grandi gruppi finanziari. le AI odierne, di tipo Large Language Model (LLM), sono strumenti molto diversi e ben più insidiosi rispetto alle “vecchie intelligenze artificiali” e vengono attualmente sviluppati e messi a disposizione del pubblico al di fuori di chiare leggi che regolino progettazione, realizzazione, proprietà e utilizzo.
invece di giocare a dimostrarne la reale intelligenza, sarebbe il caso di tornare ad applicare il famoso test di Weizenbaum per valutare l’utilità sociale delle AI in base al loro impatto sul mondo reale.
- Chi ne trarrà beneficio e chi ne avrà un danno nell’immediato? Lavoratori? Multinazionali?
- Chi ne sosterrà gli enormi costi materiali e soprattutto energetici?
- Che conseguenze avrà tale tecnologia per le generazioni future?
- Quali saranno le implicazioni non solo per l’economia e la sicurezza internazionale, ma anche per la nostra idea di umanità e di società?
- Come sopravvivremo all’automazione della poesia, dell’arte e di parti sempre maggiori dei nostri pensieri?
- Tale tecnologia è reversibile?
- Quali limiti dovrebbero essere imposti alla sua applicazione?
ho scritto quanto pensavo, dicendo ciò che ritenevo importante. non resta che salutarci con un altro prodotto poetico in lampante malos-style sfornato da Deepseek sulla base di mie specifiche indicazioni. ora credo mi assenterò per qualche settimana perché sono entrato in fissa con l’app di ChatGPT che ti fa vedere come saresti se ti disegnasse lo studio Ghibli. è una figata pazzesca… vado a caricare altre millemila foto di tutti i miei parenti, di amici, di persone famose e così via.
*

io e te
sottotitolo esplicativo: è donismo preconfezionato
galleggio nella vasca, a 37 gradi
e navigo nell’oltre
elettrodi affogati nel cervello
mi godo l’illusione di pensare:
sogno esistenze
cammino su un crinale in alta quota
poi plano verso un cinema all’aperto
scrivo bellissime poesie
m’invento mattatore ad una festa
leggo un libro, cambio sesso, creo community
divento fashion blogger
faccio l’amore con Winona Ryder
e a giorni alterni se mi stufo
scendo financo in piazza
mi mescolo alla folla e manifesto
* contro il sistema *
sono felice: ho tutto quello che desidero…
vieni con me, nella tua vasca
*
La vedo breutta, nessuna tecnologia è reversibile
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almerighi wrote: “nessuna tecnologia è reversibile”
non sarei così trachant: è un dato di fatto che le tecnologie possono anche essere reversibili. per esempio c’è la climatizzazione reversibile che combina pompe di calore e climatizzatori per adattarsi alle diverse stagioni calde o fredde. eppoi ci sono gli elettromagneti reversibili in corrente continua, con due bobine per ottenere movimenti inversi. addirittura c’è la fascia per capelli reversibile: leggera ed elastica, con tecnologia AROC-Dry (asciugatura rapida), assorbe il sudore “double face” (l’ho scoperta mentre cliccavo le offerte a casaccio su Amazonzo).
: )))
più seriamente, per quanto immanenti e pervasive, le tecnologie potranno risultare reversibili (in toto o in parte) o irreversibili (TINA “there is no alternative!”) sulla base della volontà politica generata dal contesto socio-culturale e dagli interessi economici.
il problema che si pone nel magico mondo del tecno-capitalismo finanziario ordoliberista è semmai che gli interessi economici sono in grado di *orientare* molto efficacemente il contesto socio-culturale…
per dirla in altre parole: se fare politica è costoso e i politici hanno bisogno di essere “finanziati” (ovvero, in certi casi, “corrotti”), chi finanzia/corrompe i politici può farlo solo se dispone di grandi capitali. io, tu, noi, abbiamo forse a disposizione “grandi capitali”? come logica implicazione, ne segue che non solum il capitale governa, sed etiam tende ad autolegittimare il suo predominio mediante vincoli di natura tecnica e tecnologica. tali vincoli sono funzionali, per l’appunto, ad imporre politiche impopolari (cioè politiche a favore dell’oligarchia finanziaria, come privatizzazioni, liberizzazioni e austerità) al riparo del processo elettorale (cioè politiche anti-democratiche). cose che ormai dovremmo aver ben compreso e che invece, spesso e volentieri, laggente non capischeno…
eviterei dunque di partire dall’assunto che “nessuna tecnologia è reversibile” perché la tecnologia è l’ancella del capitale e ciò determinerebbe la nostra resa a priori via TINA. in tal senso, un ottimo spunto di lettura per chi lo desidera, è il saggio di Carl Benedikt Frey “La trappola della tecnologia. Capitale, lavoro e potere nell’era dell’automazione”, che riprende ed amplia il pensiero divergente di Raniero Panzieri, sociologo socialista. e già che ci siamo, andrebbe riletto con grande attenzione anche Herbert Marcuse, che nel suo saggio “L’uomo a una dimensione”, scrive: “La società tecnologica avanzata tende a diventare totalitaria nella misura in cui determina non soltanto le occupazioni, le abilità e gli atteggiamenti socialmente richiesti, ma anche i bisogni e le aspirazioni individuali. La tecnologia serve per istituire nuove forme di controllo sociale e di coesione sociale, più efficaci e più piacevoli. Essa plasma l’intero universo del discorso e dell’azione, della cultura intellettuale e di quella materiale. Entro il medium costituito dalla tecnologia, la cultura, la politica e l’economia si fondono in un sistema onnipresente che assorbe o respinge tutte le alternative”.
insomma, miei cari amici, Poeti e poeti, in verità, in verità vi dico: le cose stanno in modo ben diverso da come ce le racconta lo storytelling in offerta speciale vendutoci dai media del grande capitale. c’è poco di nuovo sotto il sole, c’è solamente il “trasformismo” con cui il tecno-capitalismo ci ammalia e ci ipnotizza. è tutto un gioco di mirabolanti (e truffaldini) effetti speciali super-tecnologici: la storia vichianamente si ripete e i social in ultima analisi altro non sono che una “fabbrica fordista virtuale-digitale” chiamata a trasformare la società stessa nel suo complesso in un’immensa fabbrica globale digitale. i “social” e la rete servono a massimizzare i profitti dei grandi capitali, spingendoci a lavorare h 24 per produrre dati nel mentre, drogati e alienati, ci consumiamo aggratis! ecco cosa siamo: siamo i nuovi operai schiavizzati delle piattaforme digitali, che saranno pure virtuali ma cannibalizzano il nostro “lavoro” e la nostra “vita reale” ancor più di ciò che accadeva all’inizio del novecento (rendendoci sempre più soli e asociali). viviamo in un mondo asservito al fordismo-taylorismo degli algoritmi, delle profilazioni, dell’adescamento e delle suggestioni artificiali… siamo asserviti alla signoria dei dati digitali che traggono valore/profitto privato dall’intera esistenza umana. tutto si è trasformato in merce: sentimenti, relazioni, informazioni, cultura, arte… il lavoratore stesso (ovvero l’essere umano) è diventato merce
quando il “nuovo che avanza” non solo non è affatto nuovo, ma è un feticcio che minaccia seriamente il nostro “essere umani” (e cioè l’arte, il libero pensiero, la democrazia, i diritti sociali e la vita politica), la nostra risposta non può e non deve essere di impotente rassegnazione. si può e si deve fermarlo, o almeno normarlo in modo chiaro ed efficace riappropriandoci del nostro spazio politico, ovvero della scienza economica e del potere che “appartiene al popolo” (qualcuno rimembra ancor la nostra Costituzione?). ripetiamolo insieme: la pretesa sovrastruttura del tecno-capitalismo è reversibile, se lo vogliamo.
ahinoi, la fiction narrativa di una tecnica/tecnologia democratica, libera e liberante in sé e per sé ha irretito le (a)sinistre progressiste e le nostre menti. aridàtece Gramsci, Basso, Caffè, Pasolini e le sinistre socialiste…
un grazie di cuore ad almerighi per aver commentato e innescato questa mia lunga digressione.
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Eccellente poesia, non c’è che dire.
Se vogliamo parlare in generale, sta avvenendo una frattura tra chi predilige l’uso dell’I.P. (Intelligenza Personale) e dell’I.A.; frattura portata avanti da chi ci governa, sfruttando a suo favore la sempre maggior velocità possibile che caratterizza il flusso di notizie in entrata e in uscita dal nostro sistema percettivo: per creare quel rimbecillimento collettivo, che sarà essenziale per mantenersi al potere dal 2030 in avanti.
In realtà si sta consumando una frattura (e se guardiamo a certi eventi del passato recente, probabilmente s’è già consumata) tra una maggioranza sempre più manipo/labile e una minoranza che, per quanto frammentata e indecisa sul da farsi (e soprattutto sul come farlo), ha la capacità di resistere.
Questo essere minoranza non deve esser visto come un guaio; e non perché la qualità più cresce, più diventa minoranza: non lo deve, perché non è automatico che, in caso di manifestarsi un tentativo di meritata estinzione, a farlo sia la minoranza, anzi.
Molti anni fa lessi un saggio sull’evoluzione (del quale non ricordo more solito il titolo), nel quale l’autore affermava pressappoco: “Immaginate una popolazione di animali che si nutre dei frutti di qualche particolare specie di alberi. Al suo interno, quegli esemplari che sono handicappati perché, a causa di problemi agli arti, non riescono a muoversi al meglio su quegli alberi e quindi a nutrirsi, sono svantaggiati.
Ma se un giorno, per un dato motivo quegli alberi iniziassero a scomparire, proprio quegli individui sarebbero avvantaggiati per resistere a tale cambiamento, essendo stati costretti ad adattarsi a una differente dieta.”
Si tratta quindi solo di accettare l’ineluttabile e di mettere in campo strategie di sopravvivenza: che prediligano il nostro “buon vivere”, lasciando la porta aperta ai pochi che prenderanno coscienza fra quella maggioranza, per insegnar loro almeno come applicare strategie simili, se non sarà possibile accoglierli. Con gli altri che verranno lasciati andare per la propria strada. Ciò non ci garantisce che ce la faremo, dovesse arrivare il celebre asteroide, ma ci garantirebbe qualche possibilità – fors’anche parecchie – in più. Compreso l’avere tempo per studiare il modo di contenere la massa di cerebrolesi, che non sapranno dove andare e cosa fare, dovesse crollare il sistema che li manterrà “in vita”: problema, anche solo numericamente parlando, non da poco.
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@Alberto Rizzi
ringrazio sentitamente Alberto Rizzi, confidando che non sia un chatbot.
: )))
mi fa oltremodo piacere scoprire che nel magico mondo del think fast (quindi *less*), move fast, live fast, buy fast, work fast, eat fast, insomma, in pratica, nel fast-all del mercato globale, c’è ancora qualcuno che “perde tempo” scrivendo un commento che superi il numero di caratteri di un tweet.
ringrazio altresì per il giudizio d’eccellenza (troppo buono), ma soprattutto per la pertinenza del commento.
è vero, siamo minoranza, ma la realtà è fatta di minoranze: qualsiasi maggioranza si compone di minoranze. tengo molto a quest’aspetto perché temo le derive elitarie: amo ciò che è popolano (non ciò che è popolare), in questo mi sento molto vicino a Pasolini. vieppiù, come papà Pierpaolo, ho una visione cinicamente apocalittica. “Ma se accanto ad essa – per condividere le sue parole – e all’angoscia che la produce, non vi fosse in me anche un elemento di ottimismo, il pensiero cioè che esiste la possibilità di lottare contro tutto questo, semplicemente non sarei qui, tra voi, a parlare”.
ecco.
e come scrivevo nella risposta al commento di almerighi, cerco di non cedere mai alle lusinghe delle Tina (che non è l’Anselmi). quindi non accettiamo “l’ineluttabile” semplicemente perché l’ineluttabile non esiste (se non nei sogni bagnati del sistema di potere che ce lo dipinge come tale). non rassegniamoci alla sopravvivenza: puntiamo alla dentrovivenza! sporchiamoci le mani, non lasciamoci andare “per la propria strada” (eh, le tue parole sanno la verità, se le si rilegge “lasciando la porta aperta” a “qualche possibilità“).
: ))
fosse anche solo per gioco, ne vale la pena. sarò bambino, e forse pure un po’ bamboccio, ma credo fermamente solo in due cose: nel gioco e nel riso dei bambini. ricordo Dario Fo raccontare che suo padre, prima dell’arrivo del nazismo, aveva capito che buttava male perché quando un popolo non sa più ridere diventa pericoloso…
e a proposito dell’asteroide… molti anni fa ho scritto un racconto che ho disperso (magari lo riscrivo, quando ho un attimo di tempo), su un asteroide in rotta di collisione con la terra.
NASA, USA, URSS (c’era ancora l’URSS) le provano un po’ tutte per deviarlo… niente da fare Armageddon punta dritto sulla terra. disperazione per disperazione, il Papa ha una visione! la Madonna gli consiglia di *soffiare*. subito, il Santo Padre s’affaccia su piazza San Pietro e in un accorato discorso urbis et orbis chiede a tutta l’umanità di soffiare verso il cielo. l’asteoide devia.
che aggiungere?
un abbraccio fraterno a te, Alberto, che non hai un link attivo e che non ho il piacere di conoscere. aggiungo dunque, come sempre faccio che “in caso di cose” da dire al nano, la mail è sempre malosmannaja@libero.it
ps: preciso che non sono religioso: son fatto sola materia ( l’anima è una sòla)
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