Antonio Sagredo, Mi dicono che la finzione è il mio limite


Mi dicono che la finzione è il mio limite,
che dal marmo tracimano le memorie dei Morti.
Ti devo lasciare, Poesia, la mediocrità mi aspetta
per inventare un passato di cui nulla si conosce.
Inchiodato sulla soglia di una storta luce
era il mio passo deciso e la mente remota
al di là dei marosi e gli applausi di sale.
Il canto delle mie mani nei calici
e nei coralli dei miei pensieri un rosario in lacrime.
Il congedo della carne mi salutava
con tardiva sapienza quel mattino di leuca
nei cori del decimo requiem.
Ai lutti era concesso il rimpianto di una corona viola.
Ossa - memoria della carne!
Si parlava tra vicoli e crocicchi di finte resurrezioni,
di angeli ruvidi nel carparo ingiallito.
Corrotti dal salmastro i gesti macerati dell’attore salentino.
Da un carro di lauri lacrime di cartapesta cantavano.

(Antonio Sagredo, 11 maggio 2025)

Una risposta a "Antonio Sagredo, Mi dicono che la finzione è il mio limite"

  1. Caro Sagredo, non sei una novità ma sai scrivere, questa è un’elegia intensa e teatrale, dove la voce poetica si congeda dalla finzione e dalla poesia stessa con amarezza e grande consapevolezza estetica. I’identità e morte si intrecciano in una liturgia barocca della disillusione.

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