dissert’azione letteraria (più o meno fritta)

verso le 23:27 un pensiero fortuito m’ha colpito forte alla nuca. l’aggressore, partendo dall’ambito medico, di soppiatto ne ha travalicato i confini assumendo le sembianze della lente elettromagnetica d’un microscopio a scansione, consentendomi d’osservare dettagli del reale quasi invisibili.

nel XIX secolo, Samuel Hahnemann getta le basi della medicina omeopatica ispirandosi alla locuzione latina “similia similibus curantur”, ovvero, i simili si curino coi simili. in quell’epoca, la medicina faceva ampio uso di terapie dannose, in qualche caso anche mortali (sanguisughe, purghe, mercurio), quindi l’idea di Hahnemann di usare come cura sostanze estremamente diluite attinenti alla malattia non era più strampalata di altre, anche perché almeno riconduceva l’arte medica all’ovile del “primum non nocere”. in sostanza, l’approccio di Hahnemann, può essere assimilato a una “visione mistica omeontologica” della terapia medica, basata su principi privi di basi scientifiche, seppur dotati di eleganza metaforica.

che c’entra? vediamo…

il pensiero omeontologico, come lo chiameremo d’ora in poi, incarna una tipologia di approccio alla realtà che trascende ampiamente l’ambito medico. il conformisticismo che alligna nel “pensiero unico” ne ha fatto un pilastro di molte narrazioni, elevando il pensiero omeontologico a “motore immobile” di aristotelica memoria: una sorta di pricipium supercazzolorum da quale tutto (accon)discende.

tanto per fare un esempio, in ambito politico, all’evidente disfunzionalità per l’Italia del progetto europeista, si sente spesso rispondere che – similia similibus curantur – per risolvere il problema ci vuole… “più Europa” (la risposta ai problemi di una struttura già troppo dispotica, burocratica e anti-costituzionale, sarebbe un’ulteriore cessione di sovranità a piccole dosi e a suon di trattati cervellotici anti-costituzionali)

che c’entra? un attimo di pazienza.

il pensiero omeontologico raggiunge vette di fallacia logica anche nel quotidiano, suggerendo che – similia similibus curanturun’errore di ortografia si posssa coregere diluendoni con dgli altrri, che il problema delle lunghe attese nella sanità pubblica si possa risolvere prolungando i tempi di attesa e che se a causa di forti piogge si allaga il centro storico, possiamo migliorare la situazione aggiungendo gocce d’acqua.

che c’entra? arrivo.

il pensiero omeontologico gioca brutti scherzi anche alla poesia kitchen. il poeta kitchen, trovandosi di fronte ad una società vacua e a un panorama artistico piatto, consumistico e “vuoto”, invece di opporre resistenza, denuncia il vuoto “assimilandosi ad esso (frammentazione, collage, banalizzazione, superficialità e “non-senso” elevati a similia ontologici che nullificano l’arte). invece di una cura, il deficit creativo dell’artista kitchen produce un sintomo similare finendo per omogenizzarsi ontologicamente al vuoto invece di sfidarlo (una forma di collaborazionismo!!), celebrando – similia similibus curantur – il trionfo della metafisica linguistica a-denotativa del vuoto sul Vuoto.

una soluzione di comodo assai poco faticosa nonché estremamente funzionale per chiunque abbia poco o nulla da dire. tanto per capirci, la geniale contromossa del poeta kitchen è quella di curare chi sta soffocando dicendogli di respirare più profondamente, invece di rimuovere il corpo estraneo che ostruisce le vie respiratorie o di sciogliere il nodo del cappio al collo (corda da gioco erotico sado-masochista o da impiccagione che sia). non a caso, in genere i poeti kitchen si leggono e commentano tra loro, dato che il loro onanismo artistico repelle il 99.99% dei lettori: chi mai troverebbe gustoso un bel piatto di pasta condito con una conserva “sotto-vuoto” di Vuoto? i risultati pratici concretamente raggiungibili dal vuoto ontologico della Poesia kitchen sono pertanto: (1) fare il vuoto attorno a sé, (2) colmare il vuoto creativo dell’artista con il vuoto acquistato in offerta 3×2 al Brico Io, (3) confezionare scientemente l’illusione scenografica di colpire il nemico andando a vuoto.

il pensiero omeontologico gioca brutti scherzi anche alla poesia tardomodernista, che incarna comunque un prezioso smarcamento rispetto al cul de sac del cucinotto. il poeta tardomodernista trovandosi di fronte ad una società vacua e a un panorama artistico piatto, consumistico e “vuoto”, parte bene: si oppone alla remissività creativa del poeta kitchen diventando “letterariamente” violento e tranchant. ma il pensiero omeontologico – similia similibus curantur – è sempre in agguato. ad esempio, il Frankenstein poetico della poesia kitchen viene curato disumanizzandolo ulteriormente per ottenere una poesia declinata in versorobot meccanici da “cronachistica filastrocca”. e ancora, il narcisismo solipsista del poeta kitchen viene curato diluendolo nel narcisismo di un’oligarchia composta da überkünstler (oltre-artisti in stile oltre-uomo nicciano) depositari della Verità e proprietari delle Parole e del Significato.

pertanto, se da un lato il poeta tardomodernista, opponendosi alle malie del marketing, giustamente rifiuta la seduttività del business commerciale orientato al confezionamento di bestseller, dall’altro, nel suo spasmodico bisogno di smarcarsi dalla kitchen e dal mercato, cade preda d’una furia iconoclasta che fa barbaramente terra bruciata del linguaggio “lirico, radendolo al suolo in “ordinario”. il rischio tangibile è che ciò si traduca in un esito similare a quello ottenuto dai poeti kitchen (gli estremi si toccano e il “nemico” gode). vediamo il perché esaminando la questione in maggior dettaglio.

in effetti, a ben vedere, il narcisismo e l’arroganza impermeabile degli *umili* cultori del Dioframmento Cestinabile verso tutto ciò che esuli dalla kitchen e dall’ontologia estetica linguaglossiana, trova più d’una semplice corrispondenza nella pulsione narcisistica e dittatoriale del consesso di oligarchi tardomodernisti. va sottolineato, infatti, che la “maggioranza della comunità artistica” a cui si sottometterebbe l’ego del tardomodernista è una foglia di fico molto piccola, in quanto in massima evidenza identifica l’élite oligarchica di überkünstler accomunati dal bollino blu di appartenenza tardomodernista. difatti, per quanto, il poeta tardomodernista dia l’impressione di voler *ritrovare* il “lettore inesistente” della kitchen approntando un tentativo di comunicazione, in realtà l’esistenza accordata al lettore è quella dello schiavo. in sostanza, il poeta tardomodernista invece di imporre il Vuoto alle parole (cancellando il lettore) impone la Verità Autoriale comunicata a calci sui denti alle parole (mortificando il lettore): il Significato delle Parole diventa *proprietà privata* dell’Autore e nel contempo l’incanto lirico assume le sembianze d’un cilicio da imporre al lettore-schiavo. ne consegue una sorta di aut(enticità) aut(oriale) a cui il lettore, in ginocchio sui ceci, deve sottomettersi: o con la mia Verità comunicata a calci sui denti o morte. ed ecco che, nuovamente, fa capolino il pensiero omeontologico: se i lettori in fuga, già disamorati e respinti dall’universo del frammento non-sens(o)uale kitchen non provano più piacere nella letturasimilia similibus curantur – la situazione di certo migliorerà prendendoli a calci sui denti.

non resta che sperare che i lettori sian tutti masochisti.

anche il rifiuto dell’umorismo ironico in favore di un umorismo sarcastico è probabile che non aiuti a stabilire un qualsiasi legame con lo schiavo avventuratosi nella lettura. la risata inseguita dal poeta tardomodernista pare infatti riconducibile al “riso di superiorità” dove, ovviamente, l’Autore è il Superiore e il lettore (la gente) è l’inferiore. in parallelo al “calcio sui denti”, ciò che l’Autore persegue è dunque la fredda umiliazione del lettore-schiavo e più in generale della povera genteignorante(diluendo “in altre parole” l’attacco frontale alla forza del Potere). tale scelta incarna un uso maldestro e controproducente dalle risata che è, innanzi tutto un mezzo di legame sociale e di comunicazione evolutosi per facilitare le forme basilari di socializzazione. infatti, schematizzando, lo spettro dell’umorismo “spazia” tra due tipologie di risate: si ride “di” (il riso di superiorità dell’umorismo sarcastico, tagliente e aggressivo, che è usato per deridere, umiliare o criticare con intenti offensivi) e si ride “con” (il riso di condivisione dell’umorismo ironico, declinabile anche in senso auto-ironico, che è usato per affrontare insieme emozioni o condizioni negative).

in proposito, a mio avviso, è necessaria una breve riflessione perché, pur facendone un uso “istintuale” quotidiano, ci sfugge che la resilienza evocata dell’umorismo ironico è qualità sociale ben più preziosa e generale rispetto all’offesa brutale dell’umorismo sarcastico.

sul piano psico-sociale, umorismo ironico e sarcastico sono metodologie comunicative con scopi differenti.

l’umorismo ironico potrei definirlo, da un punto di vista medico, come “sistema immunitario sociale”: produce anticorpi necessari a combattere “le malattie” (difficoltà, casini della vita, orrori quotidiani) e previene lo sviluppo di tumori (disfattismo, frustrazione, depressione) creando un legame di *complicità*. l’umorismo ironico incarna la forma più potente e *aggregante* di reazione emotiva/intellettiva di cui dispone il cervello umano: esistono solide prove psicologiche, neuroscientifiche ed etologiche a supporto del legame sociale creato dall’ironia. in primis, l’umorismo ironico svolge la funzione di condividere in un lampo (l’immediatezza illuminante e divertente della battuta) una realtà nascosta e/o scomoda osservandola da un punto di vista diverso e/o creativo. ciò consente all’essere umano di affrontare emozioni negative (ansia, paura, frustrazione) mediante il ricorso al “pensiero divergente” (flessibilità cognitiva) che scardina l’abitudine e il luogo comune, gettando le basi d’un pensiero critico condiviso. i risultati di tale approccio alla realtà, dunque favoriscono: comunicazione intuitiva (cortocircuito creativo), coesione sociale, rafforzamento dell’identità collettiva e della solidarietà, nonché uno stimolo alle abilità cognitive per se.

vediamone, nella pratica clinica, un esempio:

l’umorismo sarcastico, è invece più che altro un’arma di offesa e di distruzione relazionale. il suo scopo primario non è la scoperta di una verità, ma affermare (o riaffermare) una superiorità sull’avversario” (infligge una ferita, aggredisce l’altro per fargli del male). tale meccanismo non evoca complicità: è un atto di *esclusione* e quasi sempre punta a colpire una singola vittima designata (disabili, persone ingenue o ignoranti, persone che si discostano dai criteri inclusivi del branco), e qualora esuli da tale format ricade comunque nella “guerra tra bande” (alimenta lo scontro tra fazioni). rispetto all’umorismo ironico mira ad un effetto quasi opposto, di tipo divisivo: cementa l’affiliazione, rifiuta qualsiasi divergenza e consolida convinzioni basate sulla pretesa di una superiorità morale, etnica, di censo, culturale o religiosa. non a caso, a rimarcare la sua precipua funzione anti-sociale, l’umorismo sarcastico è spesso uno dei cavalli di battaglia dell’anti-politica.

vediamone, nella pratica clinica, anche qui un esempio:

passando al piano filosofico, l’umorismo ironico e quello sarcastico si confermano strumenti con finalità ancora più distinte.

l’umorismo ironico è un invito a “ri-pensare”. quando è declinato in senso auto-ironico ammette una propria vulnerabilità di fronte alle difficoltà della vita: è dunque un atto di umiltà propositiva per il fatto stesso che contiene l’atto di fede che la difficoltà possa essere sopportata, affrontata e superata *pensando* in modo divergente. comunicato ad altri, ha la forza dell’illuminazione: prova a pensare con me. quando è declinato in senso generale, ricorda lo spirito della tragedia greca, che anche quando mette a nudo il dolore ha un effetto catartico e ci rende più forti e propositivi. è dunque, in sostanza, un atto di intelligenza civile e sociale che stimola l’empatia.

l’umorismo sarcastico è invece soprattutto un atto di arroganza dettato dalla disperazione o dal sadismo che si traduce in aggressione verbale. in questo caso, di fronte alle difficoltà della vita, l’incapacità di sopportarne il peso spinge a gettarle contro un altro per “alleggerirsi”. in pratica il ragionamento è il seguente:  “la vita è assurda, ma io sono io (o noi siamo noi, nella logica del branco) e tu sei un idiota e te lo sbatto in faccia”. è dunque, in sostanza, un atto di chiusura sociale che esclude a priori condivisione e comprensione. in altre parole, siamo di fronte a un io fragile che per fortificarsi sceglie la strada di sminuire l’altro.

proviamo, da ultimo, a fare ulteriore chiarezza con una metafora.

l’umorismo ironico è chirurgico: trovo e condivido ferri chirurgici in grado di “operare” una guarigione, ovvero cerco “un meglio”. ergo, colpisco il problema, non la persona. in più, i ferri chirurgici sono sterili quindi non causano infezioni mortali.

l’umorismo sarcastico è un atto di pirateria: brandisco una scimitarra e colpisco la persona inferiore (o il gruppo di inferiori) causando dolore, emorragia e infezioni. colpendo la persona (o il gruppo) più che il problema, il risultato è spesso quello di alimentare una relazione simmetrica (un ciclo di provocazione e reazione che si autoalimenta).

chiedo venia per la digressione (che in apparenza può non sembrare prettamente letteraria), ma da nano che crede fermamente nel socialismo costituzionale, *soffro* a vedere sperperato il prezioso patrimonio intellutale dell’umorismo ironico in favore di quello sarcastico. è plausibile che, giustamente, l’oligarca tardomodernista (molto anarco-individualista) replichi alle mie crucciate argomentazioni con uno sprezzante “me ne frego!”, ma, come già esplicitato più volte in passato, il nano non pretende mica di “cambiare” le idee di nessuno, bensì di sommare le idee.

e torniamo al lettore-servo che il poeta tardomodernista sta maltrattando a colpi di calci sui denti e di sarcasmo. alla luce di quanto scritto più sopra, la domanda che sorge spontanea è: cosa si spera di ottenere? un moto d’orgoglio del lettore? abbastanza improbabile, visto che *mancano gli strumenti mentali*. in pratica, siamo ormai regrediti culturalmente al secondo dopoguerra: oltre ad essere stata svuotata di competenze nonché umiliata economicamente (tagli alle risorse e insegnanti con stipendi da fame), la scuola ha rinnegato da tempo le materie umanistiche per (dis)educare alla manovalanza del saper fare; e tutto questo mentre la pochezza immediata delle immagini trionfa in ogni dove sullo slow-food della parola scritta (il pensiero critico è ormai completamente disarticolato in frammentweet di pochi caratteri).

il quadro generale è, purtroppo, quello di un’inversione dell’effetto Flynn con annesso calo delle capacità cognitive della popolazione sia in termini di ragionamento astratto che di problem solving.

per questo, trovo più utile, in questo momento storico, l’approccio di un Gianni Rodari rispetto a quello di un Pasolini o di un Guareschi (tanto per tornare su una recente diatriba).

in conclusione, la mia personalissima nanovisione del mondo (ammesso e non concesso che ciò abbia la benché minima importanza nel panorama letterario provinciale) è in ovvia antitesi con quella dei Poeti kitchen e in parziale sintonia con quella dei poeti tardomodernisti.

ciò che digerisco più a fatica dell’approccio tardomodernista è il fatto che si ceda sovente alle malie del ragionamento binario (bianco/nero, vero/falso, tutto/nulla, sempre/mai, autore/lettore): la dittatura dell’autore (“chi scrive ha sempre ragione” e chi legge mai) è sempre dietro l’angolo se, rispetto alla poesia kitchen, il cambio di traiettoria millimetrico passa dall’inesistenza del lettore all’ininfluenza del lettore (cosa che, essendo il nano per naturale inclinazione molto democratico, m’ingenera non poco disagio). sarà pur possibile trovare zone grigie più “abitabili” tra il deserto del Sahara della morte dell’autore di scuola barthesiana e il polo nord della morte del lettore di scuola linguaglossiana! ciò su cui possiamo agire direttamente (per ovvie ragioni) è il polo autoriale, onde per cui ciò che più di tutto dobbiamo scongiurare è il rischio che l’egolatria narcisistica dell’Autore del nuovo millennio viva e muoia all’interno della figura retorica dell’auto-messaggio ricorsivo, privo di qualsiasi implicazione sociale. peraltro, sull’inesistenza di un Significato Autoriale Unico e Immutabile il decostruzionismo e il post-strutturalismo (Derrida in primis) ci hanno insegnato cose molto interessanti: la pluralità di interpretazioni possibili è una risorsa, non un vulnus del messaggio. poi com’è logico, sta al sapiente “tuning” delle parole, operato dell’autore (guidato da riscontri inter-soggettivi tra autori e tra autore e lettori) la codifica di un messaggio che arrivi (su uno o più piani) nel modo più consimile al pensiero dell’autore stesso e nel modo più funzionale all’evocare i risultati perseguiti dall’autore.

è il solito discorso del senso della misura: un po’ di sale esalta il sapore di molte pietanze. per contro, una quantità eccessiva di sale rende il cibo stomachevole e una completa assenza di sale svilisce la palatabilità di un piatto…

ergo, dato per buono che, com’è giusto che sia, la cronaca giornalistica ideale (neutra, circostanziale, chiara, rigorosa e semplice) non trova spazio nella storia della letteratura (bensì negli archivi dei giornali e nei trattati storici), torniamo a condividere una elementare ma preziosa visione schematica.

una Poesia “egotista” nella quale l’ispirazione artistica è dominata dal bisogno dell’ego ipertrofico dell’autore è soprattutto: noiosa, autoreferenziale/solipsistica, ermetica e liricamente enfatica.

una poesia “altruista” nella quale l’ispirazione artistica è dominata dal bisogno di condividere un messaggio è soprattutto: stuzzicante, universale/illuminante, poliedrica (comunicativa) e liricamente emotiva

e questo è quanto.

a voi la parola.


12 risposte a "dissert’azione letteraria (più o meno fritta)"

  1. Caro Malos,

    la tua disamina mi è parsa particolarmente lucida e incisiva. La cosiddetta poesia kitchen, per quanto ho avuto modo di leggerne – e mi riferisco in particolare agli autori che più conosco e stimo, come Giorgio Linguaglossa e Franco Intini – mi appare essenzialmente come una forma di poesia postmoderna. In quanto tale, essa può, da un lato, attrarmi e stimolarmi come autore, ma dall’altro anche suscitare in me una certa irritazione.

    Quando, all’interno del gioco – poiché di un gioco, in effetti, si tratta – riesco a cogliere un senso, una tensione o una risonanza autentica, mi connetto volentieri. Quando invece la scrittura tende semplicemente a (auto)citare se stessa e a pavoneggiarsi sul piedistallo dell’autoreferenzialità – quel narcisismo cui accenni – allora mi ritrovo istintivamente a “cambiare canale”.

    In sostanza, dunque, vi è kitchen e kitchen, così come vi è poesia e poesia, anche all’interno dello stesso autore.

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  2. Da conducator del Kolektivne NSEAE, movimento hijacking internazionalista, e artista tardomodernista, sottoscrivo il nanesco elz-eviro di Malos Mannaja (augurandomi che non finisca ad essere un Malos Mannoja). Precisazioni elitarie:

    A. L’omeopatia, ὅμοιος-πάθος, si utilizza, con ottimi risultati, dove, in assenza di antibiogramma (infattibilità dell’indicazione dell’antibiotico corretto) l’infiammazione resista. Per esempio: il Mann(aj)osio. Dove non c’è ὅμοιος-πάθος (che in greco significa «sofferenza comune», essendo il vocabolo, introdotto da Hahnemann, mero sistematizzatore di una dottrina creata da Ippocrate, Paracelso, della Porta, Hunter e von Störck, Homöopathie), con una ironica inversione pragmatica, rimane la mera ‘ἐπίδειξις del modernismo ego-patico e seduttivo. Il tardomodernismo, derivazione NSEAE, definisce l’anacronistica ποίησις come πρᾶξις, da «poesia» a «praxia», intesa come «interazione sociale». Quindi, il tardomodernismo, senza salassi o mercuri, cura la letteratura italiana, con l’ὅμοιος-πάθος, davanti all’impossibilità di una terapia medica. Il tardomodernismo, con l’ὅμοιος-πάθος, cerca, da anatomopatologa dotata di osservazione partecipante tardo-malinowskiana, di constatare la morte (causa fallimento della medicina an-estetica anti-seduttiva del lettore medio) del 90% dei lettori e di salvare, con l’ὅμοιος-πάθος, il 10% dei lettori e il 90% degli addetti ai lavori (c’è la morìa delle vacche [nere]).

    B. Come curare ὅμοιος-πάθος i malati (di modernismo) non ancora deceduti o in stato neurovegetativo? Coi c.d. «calci nei denti» estetici, intesi come una sorta di Erziehungstheorie estetica radbruchiana, che deriva dall’interpretazione socio/giuridica della distinzione «svegli»/«dormienti» di Eraclito (Grecità marginale e suggestioni etico/giuridiche: i Presocratici, 2012).

    C. Se si utilizza Spazza-tour, come modello di riot, non riportando il testo corretto, si scambiano fiaschi con fiaschi:

    La mia abitudine di cantarvi resoconti metrici sulle brutte abitudini dei concittadini ai vertici non deve assuefarsi nel farvi abituare che soltanto i politici facciano cagare.

    La g(g)ente è un abuso dell’uso del buso – la (g) di rinforzo non è mica un refuso-, ciascuno a competere nel non essere men scaltro e nel fare il ricchione col culo dell’altro. C’è chi lavoro e sudore non fanno assonanza, tutti in coda in attesa del reddito di cittadinanza, C’è chi tira, senz’onta, a mendicar due lirette con l’assillo avvilente di scroccar sigarette. C’è chi sbafa due versi al suo micro-editore e elemosina a rate anche il televisore, c’è chi impone al ragazzo una Mercedes in titanio lasciando al suocero i conti del suo matrimonio.

    C’è chi considera studiare un atto d’insania e sentenzia che il Nilo si trovi in Germania, c’è chi spara minchiate da ogni orifizio e corre a chiudere i nonni all’ospizio. C’è chi trova conforto in un bel rosatello e non salta una sera del Grande Fratello, c’è chi è arrivato in canotto senza neanche una giacca definendo l’Italia un paese di cacca.

    Questo non significa che i vari Juncker della Commissione usuraia non brucino l’ossigeno dei cittadini europei peggio d’una caldaia. Non bisogna dimenticare che bersagli della malattia invettiva devono essere anche i grigi bonhommes senza alcuna attrattiva e che tra i piccoli esempi che ho messo alla gogna il più pulito ha la rogna.

    Cerchiamo di comprendere: isolare un testo dal suo text-context è operazione deleteria e cialtronesca classica della critica letteraria moderna e modernista. Smezzarlo ad hoc, piegandolo alla interpretazione soggettiva del commentatore è abuso dell’uso del buso dello scrittore (Ivan Pozzoni) e conforta l’urgenza di rafforzare l’interpretazione autentica di chi scrive davanti all’interpretazione arbitraria (soggettiva) di chi legge. Primo: La mia abitudine di cantarvi resoconti metrici/sulle brutte abitudini dei concittadini ai vertici ha un forte significato: Spazza-tour è l’eccezione, i restanti 200 riots (attacco al regime letterario italiano, attacco alla struttura del neo-consumismo, attacco ad ogni forma di capitalismo nomade) la regola. Lo dice bene il centro del riot: Questo non significa che i vari Juncker della Commissione usuraia/non brucino l’ossigeno dei cittadini europei peggio d’una caldaia. Poetry explanation: Io sono abituato (cioè è mia abitudine) a fornire resoconti (organizzazione aziendale del testo, con fattore – O, con dissimulazione tra scrivere resoconti e fare i conti [con]) metrici (dissimulazione, in assoluta difesa del versoliberismo, introdotto in Italia dalla scapigliatura milanese tarchettiana) sulle brutte abitudini (reiterazione dissimulativa), cioè sulle mascalzonate, reati, assassinii, dei nostri concittadini ai vertici (dissimulazione, attacco all’autorità nomade e riferimento allo «stare seduti in punta di una piramide»). Però (senza commentare il resto, vocabolo su vocabolo, in una danza di dissimulazioni, inversioni semantiche, citazioni, etc…: cosa che farà ogni artista tardomodernista, sommando versi ad una poetry explanation) non dimentichiamo Juncker, e, insieme, non dimentichiamo l’uomo comune (o uomo medio) che col suo voto dissennato e la sua inerzia, sostiene i Juncker. Stop. Nessuna vena anti-populista in Spazza-tour.

    Per esempio, la regola dei riot-text tardomodernisti:

    LA LEGA NORD/SUD

    Promesso alla mia ex-compagna, mi distraggo dall’attacco alla filigrana cucchiana,

    e ritorno a visionare le notizie (non sui giornali) da anatomopatologo della hula

    con il limite della dimensione, di osservatore partecipante, neo-malinowskiana

    senza interesse verso le Trobriand, con lo studio dello scambio dei vada via ai kula,

    scendo, in treno (sono serviti 80 anni), con l’alta velocità a Reggio Calabria

    nel feudo della ‘ndrangheta la Lega Nord conquista il 10%, stiamo in Arabia.

    Bossi, nel Califfato di Bari, avrebbe rinunciato ad inviare un candidato,

    Salvini, filius Orban, combatte col fine di essere riconosciuto dalla mandria di terroni

    impegnandosi, come fosse Di Maio, a salvaguardare il meridione commissariato

    la leggenda freelance racconta che Umberto fosse un leader senza Maroni,

    aveva la Brianza al 30%, nei centri minori il 90%, sbattendosene dei voti calabresi

    Lega Lombarda, Liga Veneta, Lega Nord Piemonte avevano il massimo consenso

    dei cittadini settentrionali stanchi di essere confezionati come campioni di diuresi

    essendo il motore finanziario della CEE, contrario al PIL delle regioni senza censo.

    Salvini ha tradito l’idea secessionista, mendicando voti, a Napoli e Palermo, tra i maroon,

    noi, ragazzi senza testa, contestavamo Papalia e ai mondiali del 1990, a Milano

    cantavamo, durante Argentina-Camerun: «Pum, pum, Camerun, mej negher che terùn»

    esultando sullo stacco di Omam Biyik, adesso il negher sarebbe rimpatriato in aeroplano,

    la Lega, nel 1984, non nasce come razzista, ha subito una conversione populist

    strategizzando l’odio verso l’extra-comunitario e dimenticando che extra-UE è americano

    noi contestavamo la maggioranza assoluta dei meridionali nella PA con urgenza futurist

    adesso, impiccherebbero i marocchini, se non ci fosse un anti-stato a fermare la loro mano.

    D. La distinzione tra ironia e sarcasmo non è usata correttamente. L’ironia (dal greco εἰρωνεία [dissimulazione intelligente], con intersecazione della figura di Eiron), intesa come dissimulazione, è nucleo centrale dei fondamenti teoretici magmatici del tardomodernismo (The magmatic theoretical foundations of late modernism, in uscita 2025 su Afflatus Creationis [rivista internazionale double blind della Panjab University). Il sarcasmo (dal greco σαρκάζειν [mordere con lacerazioni] è nucleo cinico centrale della NeoN-avanguardia (Anti-Manifesto NeoN-avanguardista, 2016). L’oltrepassamento della neoN-avanguardia, neo-avanguardia millennials, in tardomodernismo, attraverso il movimento Kolektivne NSEAE, avviene con la sostituzione di ironia a cinismo (non mordo, dissimulo). Non ho mai letto, in un testo tardomodernista, in nessuna nazione, in nessuna lingua, il vocabolo «sarcasmo». Dove sta scritto che non sia accettabile una ironia feroce (l’ironia non è irenia o uronia), cioè una tecnica dissimulatoria di attacco? Potrà essere un’eironeia, sarkazein

    Quindi, consiglio allo scrivente, artista interessante, di dedicarsi ai pamphlet sull’Einfühlung dei mirror neurons. Letteratura, filosofia, sociologia, antropologia, etnologia, storia necessitano di maggiore studio e abnegazione (come confrontare kitchen poetry e tardomodernismo senza riflettere sulla svolta «pragmatics» della semiotica, sul binomio cambio/distruzione del «paradigma» estetico, sul fallimento della strategia di cortocircuitazione trojan, che avvicina la kitchen all’ermetismo, e sull’introduzione delle nuove strategie del “dedoublement de Man” dell’artista e l’остранение Šklovskijana del lettore, sulle distinzioni distopia/atopia, fattore -F e fattore -O, performatività classica/performatività hareiana, neuroconvergenza/neurodivergenza, consacrazione/dissacrazione, cestinizzazione/«shock, shame, fear, and anger», etc…

    Probabilmente, il nano dovrebbe mettersi sulle spalle di un gigante. Io non mi offro, il nano sale da dietro.

    P.s. Scommetto che Linguaglossa non risponderà mai. Tardomodernismo elitarista, non snob.

      La sua soddisfazione è il nostro miglior premio (cit.).

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    1. Sono un lettore di poesia da più di cinquant’anni, e un po’ di cose le ho lette. Il post mi spinge ad andare fuori tema, mi sollecita a chiedermi perché si leggono le poesie, o meglio perché io le leggo. La mia risposta è che un poeta e la sua poesia possono essere d’aiuto nella vita in certi momenti e in certe situazioni, a me sono stati delle guide prima Rimbaud e molto più tardi Leopardi, voglio dire che mi hanno obbligato a ragionare su come doveva o poteva essere la mia vita.

      Poi ce ne sono diversi altri la cui lettura è un’emozione, cito solo Ocean Vuong che sto leggendo attualmente. La maggior parte delle poesie devo però ammettere che sono una noia, così come la discussione tra i cuochi e i ritardatari del modernismo.

      La buona poesia si può trovare ovunque, sia in un movimento che nel movimento contrario.

      Devo dire che a me non interessa particolarmente la poesia italiana, ma quella del mondo (mi sono formato con i volumi della Sansoni- Le letterature del mondo- sono anche riuscito a completare la collezione), e le emozioni si possono trovare dal poema di Gilgamesh fino a John Asbery. Come lettore poi sono onnipotente, non c’è un autore che può maltrattarmi a calci sui denti, sono io che lo prendo a calci in culo, se non c’è la ciccia, chiudendo il libro e non pensandoci più. Non sono un esperto di stilistica ma mi sembra che la discussione letteraria ha acquisito un moto di deriva verso la supercazzola.

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    2. @Libera nos a malos. “cielo! ma sei mia moglie / sotto mentite spoglie?

      : ))))

      ebbenesì, il tuo nick è il tormentone più gettonato della mia consorte, la quale (insofferente verso la mia *finta* indentità di “letterato”) rivendica d’aver spostato tal Simone e non malos. eh, roba tipo Lillo vs Posaman, hai presente? però, in verità, la mia dolce metà si sbaglia: non sono “letterato” ma umanista.

      : )

      poi, nello specifico, chettedevodì… possiamo affermare qualunque cosa, ivi compreso di ispirarci all’umorismo dossiano e all’ironia luciniana, ma se poi le parole virano (più o meno consciamente) verso il sarcasmo, il soufflé s’affloscia.

      @Abele Longo. sono più che d’accordo con te. le categorie mentali (kitchen, bene, male etc) sono per definizione astratte e impersonali. per contro, i versi che guaiamo sono già più umani… e non c’è alcun dubbio che, pur avendo tutti un naso, due braccia e due gambe, non c’è un poeta (o un infermiere, o un avvocato, o un idraulico) uguale all’altro. tipo i biscotti della Bistefani.

      : ))

      purtuttavia, com’è evidente, se sparo parole sforzandomi di mirare al petto posso sperare di colpire il “cuore”, ma se, per scelta preconcetta, m’impongo di mirare all’alluce, beh, è assai meno probabile…

      @Ivan Pozzoni. ringrazio per le gradite precisazioni elitarie.

      : ))

      sul punto A, tutto dipende dal fatto che si dia per scontata o meno “l’impossibilità di una terapia medica”: in caso di broncopolmonite, ti sconsiglierei di curarti con l’oscillococinum. per contro, in caso di psciopatologia varia o di patologia oncologica terminale, i fiori di Bach possono essere d’aiuto. l’arte (letteraria o meno, italiana o meno), non configura né un caso clinico di “malattia immaginaria” né di “morto che cammina”: finché c’è umanità, c’è arte e c’è vita.

      : )

      per questo, trovo controproducente (collaborazionista) il proliferare del pensiero omeontologico e preferisco andare nella direzione dalla neurodelirica dal titolo “fazzoletto di Qiu Jin”, sottotitolo esplicativo “ricamato da uno squalo”. ecco i versi: si può decapitare un corpo / non le parole… / qualunque minimo frammento *non* genetico di noi / possa raggiungere / generazioni del futuro / sarà per forza o per amore / una piccola resurrezione.

      ciò che voglio intendere (e che avrai capito) è che.

      ho grande fiducia nella tua intelligenza.

      sul punto B: dico solo che quando diventa necessario impiegare frasi su frasi per spiegare ciò che volevamo dire (“calci nei denti”) è probabile che a monte la scelta delle parole sia stata infelice.

      : ))

      sul punto C: ti sbagli, Spazza Tour è una delle tue “spoesie” che preferisco e l’ho inserita per questo. l’ho tagliata per rafforzare il messaggio: “non sto commentando Spazza Tour (la spoesia), ma solo il tipo di umorismo”.

      (cronistoria della sequenza di eventi: copio-incollo nell’articolo tutta Spazza Tour, è lunga, interrompe il filo del ragionamento – che non è la poesia in sé, ma l’umorismo – taglio e lascio solo le prime due strofe – da “La g(g)ente” a “cagare.” – poi mi dico, no, Ivan tiene alla parte finale, me l’ha scritto per mail, fammela rimettere, anche se allunga un po’, è troppo?, ma no dai, può stare).

      questo per dirti che no, come son certo che sai perché un po’ ormai mi conosci nessuna “operazione deleteria e cialtronesca classica della critica letteraria”.

      peraltro, per motivi enunciati nel modo più chiaro possibile nell’articolo, confermo che l’umorismo di Spazza Tour è assai più affine al sarcasmo che all’ironia. (delle altre affermazioni presenti nel tuo auto-commento a Spazza Tour, se per te è importante, posso risponderti in privato: qui si devia dal senso complessivo della riflessione).

      sul punto D: “ironia feroce” a me suona come un ossimoro. feroce è la belva, bramosa di sangue. difficile evocare condivisione/complicità nonché “intelligenza civile e sociale che stimola l’empatia” con la ferocia (al massimo, si “cementa” il branco: branco di lupi, branco di leonesse etc..).

      poi, per tutto ciò che concerne il gioco celolunghista, lascerei stare (la relazione simmetrica non è costruttiva, se non per gli ego).

      e per ciò che concerne i tecnicismi, che posso farci: tu dici bene, sono soltanto un nano che cita Lillo, Posaman e i Bistefani. ma so usare bene le parole (il “tuning” accennato parla nell’articolo) e ce la metto tutta per fare in modo che un lettore con licenza media superiore sia messo nelle condizioni di capire ciò di cui stiamo ragionando tra “dottissimi” autori. l’erudizione è elitaria, è un’arma di offesa e non si trasmette. la cultura è sociale, è un’arma di difesa ed è contagiosa. smettiamola di cacciare l’erudito nell’occhio alla povera gente…

      quindi non temere, anche qualora il nano dovesse “salire da dietro” non sta mirando certo al cul, ma alla cultura.

      : )))))

      @Giancarlo Locarno. non sei assolutamente “fuori tema” e sono d’accordo con te: la letteratura (ivi compreso un poeta e la sua poesia) dovrebbe “essere d’aiuto nella vita in certi momenti e in certe situazioni” (sia a chi scrive che a chi legge).

      poi alla tua giusta affermazione la “lettura è un’emozione” aggiungerei l’aggettivo “positiva”… perché se (come tu stesso precisi) mi ritrovo a leggere poesie che “sono una noia”, ovviamente andrò in cerca di altro… la *cultura* non dovrebbe mai essere una biblioteca mentale polverosa piena di nozioni, bensì la traduzione viva e vitale del sapere in comunicazione, relazione, emozione e comprensione-visione d’insieme (e infatti approcci élitari e cultura non vanno proprio d’accordo).

      *

      chiudo aggiungendo che, in generale, trovo più stimolante, rispetto a un Paul de Man, un William Hazlitt. quella che segue è una sua disuisizione che m’ha sempre fatto pensare: “Il più istruito di tutti è colui che conosce meglio tutto ciò che vi è di più lontano dalla vita quotidiana, dall’osservazione immediata, che non è di alcuna utilità pratica, che non può essere provato dall’esperienza e che, dopo esser passato attraverso un gran numero di stadi intermedi, resta ancora pieno di incertezza, di difficoltà e di contraddizioni. È vedere e ascoltare con occhi e orecchie altrui, è credere ciecamente al giudizio degli altri. La persona istruita è fiera della sua conoscenza di nomi e di date, non di quella di uomini e cose. Non pensa e non s’interessa ai suoi vicini di casa, ma è al corrente degli usi e costumi delle tribù e delle caste degli indù e dei tartari calmucchi.

      un grazie di cuore con abbraccio incorporato cumulativo a tutti coloro che hanno qui voluto condividere parole e pensieri, a me sempre preziosi.

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    3. Sono in cinque (me incluso). Io sono abituato a 1.800 visualizzazioni (min).

      Malos Mannoja, su L’ombra delle carriole ho fatto un elenco anti-Madonna. Continua a fare l’artista. Per fare letteratura servono decenni di studi filosofici, sociologici, antropologici, etnologici, epistemologici. Tu sei un medico (forse). Soffermati sulla sindrome fibromialgica, coi suoi “batteri fantasma” e tenta di curare una mialgia pelvica come un’uretrite recidivante, con un antibiotico ad cazzum. Così, in caso di infezione seria, non funzionerà nessun antibiotico.

      Tu mi conosci: le mie risposte le ho date. Sputtana-mento totale. Quando non riconosco obiezioni significative smetto di rispondere. Sai: noi siamo eli-tari. Rispondo volentieri al Prof. Allegra, in altra sede, che ha formulato una obiezione interessante sulla visibilità mass-mediatica del noi lirico, col discorso delle filter bubbles e della de-monadizzazione.

      Però la rivista Neo-bar, fa finta di non ricevere le mie richieste di collaborazione. Così sono slittato verso una rivista online di maggiore sensibilità, KULT Underground:

      https://kultunderground.org/art/44188/

      https://kultunderground.org/art/44193/

      Tu studia, e impara, come saggista (non ti metto le versioni tardomoderniste di Pakistan, India, Bangladesh, Romania, Grecia, Cile, Argentina, UK). Io ho studiato trent’anni, e non improvviso. E conosco benissimo le neuroscienze, che ho applicato all’etica (neuroethics) e all’estetica (neuroestetic). Quando uno toppa, toppa. All’inizio (avevo 25 anni), accade.

      P.s. Ti ha risposto Linguaglossa?

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    4. Quindi, su Neo-bar, io smetto di scrivere e nessun tardomodernista avrà l’autorizzazione di scriverci.

      Nel 2006 scrivevo sulla rivista internazionale Información Filosófica, su mandato di Wojtyla e dell’Università Lateranense (I. Pozzoni, Pragmatismo logico, senso e contesto. I dilemmi linguistici nella riflessione filosofica calderoniana, in “Información Filosófica”, Roma, fasc. 2 (2006), III, 5-28, diventandone direttore esecutivo) e nel 2026 uscirà, sulla Rivista di Studi italiani dell’Università Cattolica, in monografico coi maggiori studiosi mondiali della scolastica, il mio La concezione della «legge» nel Mondo Piccolo di G. Guareschi. Secondo te, essendo un «giurista» pratico nella vita, butto tempo a rispondere su Neo-bar a cialtronerie (capita: è capitato, raramente, anche a me)?

      Ripeto: apprezzo l’artista, tanto da inserirlo, insieme a Simone Cattaneo, nell’anti-Madonnismo.

      Come ti avevo anticipato via email, sconsigliavo un saggio assurdo (le kitchens hanno vent’anni, con differenziazioni enormi tra la vera kitchen di Gino Rago e Letizia Leone, la kitchen eretica di Tosi, Petrocelli e Ciccarone, la business kitchen di Panìa, la marketing kitchen di Linguaglossa, la roipnol kitchen di Intini e Pugliese, il grande Alfredo De Palchi, che con la kitchen mai ebbe a che fare finanziando la mia neoN-avanguardia, la famigerata Colasson, che scrive in italiano doppialinguesco, senza conoscere mezzo vocabolo italiano, la kitchen NSEAE infiltrata; il tardomodernismo, col movimento KNSEAE, che tu confondi con la neoN-avanguardia, ha due anni e 3.000 militanti nomadi, il 50% stranieri – che non hai mai letto).

      Canni anche sulla kitchen, dove il discorso sul vuoto è marginalissimo. Giorgio, ogni due settimane, inventa un fondamento kitchen: il nucleo della critica della kitchen (?) è la strategia del trojan cortocircuitante recidivo, della letteratura come cestino dell’immondizia, del linguaggio come atto performativo classico, del fattore -F e della narrazione distopica. Dov’è affrontato nella tua neurodelirante cialtroneria? C**** Malos, io c’ero alla fondazione de L’Ombra. Li studio da vent’anni. E sono riuscito ad inglobarli: https://kolektivnenseae.substack.com/p/lincorporazione-della-noe-nella-nseae?r=4hwvw8. Tu? cerca di uscire dalla mentalità di medico curante e entrare nella mentalità di Primario/ordinario di Clinica diagnostica. E dedica a trovare una cura alla fibromialgia. Lascia stare la critica letteraria. Fai figure del sarkazo.

      Con estremo affetto

      The white tiger of Himalayas

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    5. caro Ivan, ho riletto ciò che ho scritto nell’articolo e tutto ciò che abbiamo scritto nei commenti.

      non mi sembra di aver offeso la tua persona, ma nel caso mi scuso.

      non mi sembra di aver offeso la tua intelligenza, ma nel caso mi scuso.

      non ti ho mai nascosto di essere un nano e un contadino, quindi se scegli di “abbassarti” a interagire con me, non ha senso poi invocare l’offesa di lesa maestà, no?

      : )

      azz… dovevi dare ascolto ad Oscar Wilde: “mai discutere con un idiota (o un nano, o un ignorante o un ics intercambiabile a piacere): ti trascina al suo livello e ti batte con l’esperienza

      : )))

      per me, mutatis mutandis, è valido il contrario: discuto con un gigante nella speranza di elevarmi dalla pochezza terra terra della cultura contadinana. in base alla quale, se intorno a me tutti viaggiano contromano, sorge spontaneo il dubbio d’aver imboccato l’autostrada al contrario.

      quindi 1800 visualizzazioni al minuto mi inducono a far subito retromarcia.

      continua il tuo viaggio e non dar retto a quel sarkazo del nano!

      : )

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    6. All’attenzione di Ivan Ponzoni,

      con il commento squallido e offensivo che hai pubblicato — al quale malos, da vero signore, si è perfino degnato di rispondere — puoi considerare conclusa la tua partecipazione a questo blog.

      Abele Longo

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    7. Caro Mal,

      Credo fermamente che nel nostro scambio di opinioni nessuno dei due si sia offeso: come ci scrivevamo la perculatio reciproca è indice di intelligenza.

      Chi non concepisce l’ironia scambiandola con sarcasmo è un burfaldino!

      Quando mi hai scritto ti avevo sconsigliato di intraprendere questa tua iniziativa ad alto rischio di toppa, mi hai risposto, hai tirato diritto alla meta (come tuo diritto), hai toppato, fortemente toppato, fortissimamente toppato. Non hai sparato al tabellone: hai sparato alla rumena del baraccone del tiro a segno.

      Capita: e, come mio diritto, ti ho spiegato come mai.

      Linguaglossa ti ha risposto?

      Della tua cultura contadina sarebbe orgogliosissimo Guareschi.

      Comunque il mio substack ha 1800 visualizzazioni minimo.

      Quando sono bannato e censurato dal fior fiore delle riviste internazionali italiane, da Nazione indiana a L’ombra, sono orgoglioso di essere e restare fuori dal coro.

      Grazie dell’attenzione Nella speranza che il mio messaggio riesca a superare la censura.

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    8. caro Ivan, il mondo del Gigante può essere piacente o brutto, toppante o top, sapiente o stolto…

      ma ahimè non fa eccezione: prende corpo dentro il suo testone (com’è giusto che sia), è il bello della fantasia.

      : )

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      1. Caro Malos,

        La fantasia la lascio ai fattori (di Potenza) -F Linguaglossa e ai lirico/elegiaci romantici (Atelier).

        Il resto è barzelletta: <Ditemi cosa succede se mendelianamente incrociamo un topo bianco con un topo nero> chiese in classe la docente di biologia al Liceo classico Zucchi; alzò la mano un sedicenne geneticamente dotato di ironia: <Nasce un muratto>. E questo ancora si tramanda tra i ragazzini del liceo:

        https://youtu.be/K3b2C0EiebI?si=kRxLA1ePum9xda6r

        La fortuna dei nani è – come canta De Andrè – di avere una Grossatesta.

        Sono andato a trovare la rumena in ospedale: dice <Maremma Mannaja, a trebuit să trageți la scor cu baloane umflate>.

        Buona giornata, io vado in tribunale: mi hanno arrestato causa porto, non giustificato, di ironia.

        🙂

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