Abele Longo: Fellini, E la nave va…

Finzioni di finzioni – Fellini, E la nave va…

“Mi sono inventato tutto: un’infanzia, una personalità, delle nostalgie, dei sogni, dei ricordi, per poterli raccontare. Amo molto il movimento intorno a me. E’ senza dubbio la ragione principale per cui faccio dei film. Il cinema è per me un pretesto per mettere le cose in movimento.”  Federico Fellini

Il cinema di Fellini può essere visto come un unico film, un continuo rimescolamento di temi con variazioni e autocitazioni. Film che più di altri racchiude la cifra del regista è tuttavia  E la nave va (1982), riflessione giocosa e funerea allo stesso tempo sul fare cinema (svelarne i meccanismi coincide inesorabilmente con un commiato). E la nave va narra le vicende di una crociera/cerimonia funebre di una celebre cantante lirica, Tetua Edmea. Durante il viaggio la cantante defunta diventa argomento delle conversazioni di bordo, saremmo tentati di dire la protagonista stessa del film se non fosse per il fatto che la cerimonia altro non è se non un pretesto; il pretesto per rappresentare, al limite della parodia, una folla di personaggi di umanità varia e di diversa estrazione sociale. Ci troviamo infatti di fronte a un film corale che non trova un personaggio principale neanche in Orlando, il giornalista maldestro e ubriaco che sembra fare da raccordo in una storia che non sa dove andare a finire e comincia più volte.

Siamo nel 1914, come in un film muto vediamo la Gloria N. ancorata al porto di Napoli, e delle didascalie che commentano il reportage di Orlando mentre da un carro funebre viene estratta l’urna con le ceneri di Tetua. Cosa non quadra in questa sequenza? E’ tutto il film a non quadrare, volutamente. Percepiamo fin da subito quanto poco sia verosimile Orlando come cronista del tempo con il suo fare da reporter dei nostri giorni mentre si chiede con l’aiuto di una didascalia (la domanda del film) dove stia andando tutta quella bellissima gente. E La nave va si caratterizza per il sovvertimento costante delle convenzioni che il cinema da sempre utilizza per creare l’idea del reale, frantumandole a tal punto da farne forse il film più onirico del regista. Il tramonto sulla Gloria N. vede la luna e il sole splendere contemporaneamente. Tutto si fa teatro a immagine di una realtà sognata, di plastica e di cartapesta. Come se non fosse già evidente, Fellini fa dire a uno dei passeggeri che il tramonto è così bello da non sembrare vero. E Orlando venuto fuori dal film muto si affretta subito ad affermare, mentre raccoglie gli appunti del suo diario: “Io scrivo, racconto, ma cos’è che poi voglio raccontare?… Un viaggio per mare? Il viaggio della vita? Ma questa non si racconta: si fa, ed è già tanto…”

Cosa succede sulla nave? “Siamo seduti sulla bocca di un vulcano”, dice il Granduca (si è alla vigilia della Prima Guerra Mondiale e Fellini parla di quei tempi pensando ai nostri). E c’è anche un rinoceronte, destinato ad uno zoo, un rinoceronte “innamorato” che alla fine salverà la vita ad Orlando. Come? Grazie al suo latte, quando tutti e due si ritrovano su di una scialuppa di salvataggio quasi come in uno spot pubblicitario. Nel finale, quando la nave sta per affondare, scopriamo che non siamo a bordo della Gloria N. ma in uno studio di Cinecittà, la finzione viene messa in scena, svelata anche se non ce n’era affatto bisogno. Cinema che riflette sul cinema, gioco auto-referenziale di rispecchiamento e di prestigio. Come con delle scatole cinesi una finzione rivela l’altra, chi narra si scopre narrato, Orlando poco sa della storia in cui si trova nonostante il suo sdoppiamento in cronista del tempo e cronista sopravvissuto a quel tempo.

Suggestivo il finale in cui il film diventa opera con un direttore d’orchestra che prova senza convinzione a dirigere una umanità che affonda. All’opera del resto il film fa pensare fin da subito e, andando a ritroso, potremmo dire che il cinema di Fellini, a partire da Otto e mezzo (1963), presenta sempre più caratteristiche che rimandano all’opera.  Fellini, non potendo più contare su Rota, utilizza la musica di Rossini, Bellini e Verdi e ne fa dei cori con i versi di Andrea Zanzotto («Nient’altro che un concentrato di luoghi comuni, di mera convenzione, un gioco, uno sberleffo», commenterà il poeta). Pur avendo sempre avversato l’opera, e in fin dei conti massacrandola nel film, arriva finalmente ad ammetterne il debito orchestrando tutta una nave su di un palcoscenico. Cinema e opera come due mondi che si intersecano  presentando somiglianze ed analogie, entrambe arti illusionistiche, mistificatorie e menzognere.

Hieronymus Bosch- La nave dei folli

Hieronymus Bosch, La nave dei folli. Il tema della “Stultifera navis” è ripreso nel primo capitolo della Storia della follia nell’età classica di Michel Foucault in cui viene rilevato come la “nave dei folli”  non fosse affatto un’invenzione. Era infatti prassi comune allontanare i “matti” affidandoli a marinai incaricati di ripulire la città.


12 risposte a "Abele Longo: Fellini, E la nave va…"

  1. scoprii questo film di fellini durante una vacanza in sicilia. ero piccolo, sapevo meno di adesso in quanto a cinema. ma il titolo mi rimase dentro per anni.
    bel pezzo 🙂

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  2. Grazie Mario, io l’ho scoperto in un piccolo cinema di Bologna negli anni dell’ università, quando per me andare al cinema aveva ancora tutta una sua magia.

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  3. com e per prassi quando fellini era in vita cercavo di andare a vedere le sue pellicole non appena venivano immesse sul mercato, sebbene all’epoca fossi studente “squattrinato” ma per lui e pochi altri mi concedevo le sale di prima visione a napoli ove il biglietto era decisamente caro e fuori dal nostro budget studentesco! noi frequentavamo cineteche e salette un po’ radical chic (la mitica cineteca ALTRO e il cinema NO, luoghi della neapolos colta e raffinata ma oramai cosa è rimasto di quei tempi?) umide fredde ma dense di umanesimo e intelligenza.. però fellini era (è) fellini e per lui lo strappo “borghese” andava fatto! nel merito della pellicola ravviserei una intelligenza di fondo e un tasso di ideatività tanto di spessore quanto leggero e ironico e tutto! scene esilaranti e di una modernità assoluta: il rinnoceronte, che idea magnifica! abele avrai compreso che amo da impazzire fellini! cn stima
    r.m.

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  4. da sempre affascinata dai dipinti di Bosch, e ancora dai film di Fellini, ti ringrazio per questo quadro di commistione di entrambi. in più c’è il tuo descrivere-sentire, e oil trittico è completo.
    Abele, qui da te si respira qualcosa di più della parola, qualcosa di più delle immagini… anima, direi.

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  5. Grazie Roberto, visto che abbiamo cominciato questa Amarcord felliniana aggiungo che il primo che ho visto fu proprio Amarcord, in televisione (in bianco e nero), da piccolo (Titta che solleva la tabaccaia, Ciccio Ingrassia sull’albero…).
    un caro saluto
    Abele

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  6. Mi ricordo molto bene la visione di Amarcord, ero un ragazzo di 16 o 17 anni, e di ciccio ingrassia sull’albero ho pensato, con un certo sgomento:
    “Noi (io e i miei amici) siamo messi proprio così!” .
    ‘La nave va’ l’ho pensata come un approfondimento delle tematica di ‘prova d’orchestra’ , anche l’orchestra nella chiesa è un po’ come su una nave di stolti-saggi, col mondo che comincia a crollare.
    Non mi ricordavo che Fellini mostrasse la piattaforma a svelare la lavorazione del film, però mi ricordo l’enorme impatto che ha avuto su di me negli anni 70 la fine della ‘montagna sacra’ di jodorowsky, dove la voce (del regista) dice ‘… questo è solo un film.., le macchine indietreggiano e si vede tutto l’armamentario della troupe.
    Questo fatto che adesso sembra normale, per me ragazzino è stato uno shock, come l’irrompere dei discorsi sul cinema nel cinema. Un po’ come i sei personaggi in cerca d’autore .

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  7. caro Giancarlo
    un urlo esistenziale quello di Ciccio Ingrassia :))
    Non a caso mi piace molto anche Pirandello…
    Intrigante anche il discorso su Prova d’orchestra dove i confini tra quello che vuole essere un documentario sulle prove dell’orchestra o un film sulla lavorazione del documentario stesso sono molto labili (il film “vero” e’ quello che presenta il falso documentario, ovvero ogni film e’ falso…)

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  8. Bellissimo post Abele, io invece ho la gioia di poter dire che la lettura dei tuoi scritti mi ha introdotto all’amore per il cinema. E questo è un gran merito, visto che ogni artista continua a vivere in colui che gli si accosta, anche se si tratta di una nanerottola come me 🙂
    Spero che continuerai ad insegnare sempre magistralmente, così come hai fatto, dentro e fuori le aule universitarie.
    Abbiamo bisogno non solo di buoni artisti, ma anche (ed oggi direi soprattutto) di buoni maestri che ci facciano conoscere ed amare il cinema e l’arte in genere, con passione ed equilibrio.
    Un caro saluto, Anto

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  9. Cara Antonella, affetto e stima ricambiata. Del resto il tuo e’ un compito ben piu’ arduo, non certo facile fare filosofia (e ne abbiamo un tremendo bisogno in questi tempi di barbarie).

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  10. complimenti per questo post Abele!

    a partire da questa frase di Fellini “Amo molto il movimento intorno a me”
    una frase che sento personalmente tantissimo
    per arrivare a quell’appunto finale relativo alla “nave dei folli”
    (appunto che, stranamente, sto trovando da un po’ in diversi contesti,anche esterni al web)
    trovo ottima la navigazione che dirigi all’interno della poetica (filmica) di Fellini
    del suo “unico film” come un continuum.

    Grazie.
    (questo post me lo tengo da parte)

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  11. Grazie Margherita.
    La Terra non e’ più ferma, ma una lastra che galleggia. Difficile scappare, nessun rinoceronte ci potrà salvare :)))
    un abbraccio!

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