Bruno Clocchiatti: Variazioni – nota di lettura Doris Emilia Bragagnini

Sovrapposizioni di contemporaneità traslanti, sottrazioni all’occhio “civico” per immissioni nella camera oscura di un personale “sviluppo” emotivo (e viceversa)… la Poesia di Bruno Clocchiatti è un “ingranditore” che si concentra sui particolari di microstorie apparentemente prive di margini causa-effetto, laddove dopo aver selezionato e ristretto il campo da esaminare mira a esaltare, amplificare, l’essenzialità dell’attimo. La lente, ma anche il filtro, attraverso cui rifrangono le parole, è quella di una malinconica, dissacrante, irriverente ironia che setaccia il filo che si frappone tra il proprio respiro e il set corrente che lo com-prende tutto. Il punto d’arrivo sono dei versi dove emerge fortemente un senso di calibrato sfasamento, in bilico tra la dimensione intima più personale e quella cumulativa di un proscenio odierno che ne determina la condizione/necessità di sopravvenente salvifico distacco. Distacco che l’autore mantiene anche nei confronti di quella parte del sé così pungolante di senso da spingerlo a rivisitarlo, scrivendone. (Doris Emilia Bragagnini)

damnation
Bela Tarr

DOBRO

Gli spostano la faccia con un bastone
– il profilo migliore -, poi lo gettano in un’auto
che mi ricorda l’Ucraina (ma qui fa più caldo)
e quando lui si sveglia gli dicono con astio:
“Presto, presto, presto!”
Penso al pettirosso che lascia impronte
sul cemento fresco; sarà un caso,
ma la vita è così frenetica
che da un po’ di giorni non sento più cantare,
salgo sulle auto e mi sveglio stanco
nello stesso luogo, nello stesso
identico momento in cui appare
– non senza far rumore -,
una macchina dal colore (?).

VET

Scrivono che cammina stretto
ad una ragazza d’oltreconfine,
un po’ gazzella ed un po’ alce,
ed ha perso la testa per il suo accento
(dice: “er, grrut grrut, errr”).
Sua madre, di buona famiglia,
lo copriva d’attenzioni, lo sgridava spesso.
Da quando conosce la straniera
parla del tempo che passa, non indossa
più la maglia di lana ma la faccia,
rigirata, mostra una specie
d’etichetta.

J.

Non le vogliono per niente bene:
quando lascia la sua stanza
per incontrare le amiche Oxi e Pela
(di fronte al negozio di *********)
tutti pensano che la sua realtà sia quella:
cena, teatro, indefiniti suoni di scoppi,
frinire di cicale, un ombrello che sbatte
contro la pala di un elicottero, driiin,
il vetro dell’androne che si frantuma
(persone che mangiano gelato. Studio).

POSSIBILITA’

Avrei voluto che conoscesse i miei.
Sua sorella, amica dei reali,
portava costantemente una stella
tra i capelli aperti a raggiera
(è spaventoso, mi toglie ancora il sonno).
Lei, invece, indossava con garbo
una specie d’anguria di satin
– il seno, florido, distoglieva
lo sguardo dall’orizzonte obliquo
che raccoglie certi sbagli, i refusi -.
La sorella, conosciuta per lo zelo,
mangiava l’arancia col cucchiaio.

CIBO

Conoscevo un tale
che per disfarsi della spazzatura
lanciava scatole ai gabbiani,
fondi del caffè ai gatti e così via.
L’hanno preso mentre versava lo yogurt
in prossimità del formicaio (quatto quatto)
con un pettine sdentato che sbucava
dal taschino della camicia hawaiana
(a dire il vero inamidata, stirata da poco).

TINA

Voglio bene a tutto questo,
ringrazio il Signore per tutto questo,
ora sbaglio un po’ di meno
e quando alcuni lo sanno
mi fanno del male, mi tolgono un sorriso.
Ma sono sempre lo stesso:
ringrazio Dio, dimentico presto,
ho pensieri che vanno a passeggio
e di sera, nel parco, incidono corteccia.

CICADA

Troppo rum, faccia assente,
tracce di rossetto e resina di pino,
una sfera di naftalina nella tasca del cappotto
– ti porto a casa con la borsetta alla caviglia -.
Dipendesse solo da questo non scriverei nemmeno.
Anzi, ecco, lascio perdere.

BORA

Lavorato troppo. Dicono
che faccia bene alla cute.
Una frizione continua sul capo,
con un tarlo che si infila nella tempia,
corre verso lo stomaco
e suona una specie di campana.
Poi tutto diventa più strano, ovattato.
Ti vedo in un angolo, nella penombra,
che mangi la mia zuppa.
Devo smetterla di contare primavere:
la fame, quella, non conosce le stagioni.
Col gelo, da un po’ di tempo,
preferisco tenermi leggero:
corro sulla darsena, conto pecorelle,
cielo terso da gran freddo, stasera
TV.

0[6]
Bela Tarr
INFELICITA’

Le ricordano sempre
che la prima digestione si fa in bocca,
la matematica non è un’opinione,
il cavallo del tizio è sempre bianco
o qualcosa del genere, che il lupo
perde il pelo lungo la via del ritorno,
con la tipica malinconia del bosco,
chiuso a riccio dove la terra produce
solo sale, qualche radice e molta muffa
(le case rivolte a nord, povere loro,
sono così tetre ed umide
che le affittano a certi parenti
venuti da chissà dove.
E chissà come stanno a pigione,
tutte quelle bocche…).

UH

Tic, nervi, tic tic,
chiude l’occhio destro, tic, ecco,
schiocca le dita, tic,
arriva il suo cane, tic tic
(la prospettiva è quella di un tramonto tropicale,
palme basse e media imprenditoria tessile veneta),
fischio, tic, riflesso incondizionato,
il cane che se ne va, tic,
con lo sguardo vendicativo, tic tic,
a coda bassa.

POLARE

Brezza, giorno tranquillo con qualche raffica di mitra.
Trasportano petrolio dal centro del panorama
ad un lato dello schermo, poi non vedo più niente
(presumo, tuttavia, che durante una festa
la fidanzata dell’uomo in livrea, con una rosa tra i denti,
abbia lasciato la sala confondendosi tra i licheni
– bella di una bellezza un po’ selvaggia, direi –
e che poi certi amici di lui, gente di malaffare,
abbiano trovato la rosa sulla strada per Grocker
– pensandola così dispersa, mezza nuda nella neve,
su aranciata, noccioline, adolescenti che si baciano
//titoli di coda// -).

O

Prestami la giacca per la serata in centro,
quella trasparente, con una manciata di monetine in tasca,
il panama e tutte le circostanze che tu possa pensare in una vita.
Sègnale su fogli discreti, di piccola dimensione,
tralasciane alcune (quelle che non conosci), dimentica i forse,
dai un’occhiata all’arrosto nel forno e chiudi il frigo quando esci
(che serata, mi hanno preso per un altro, non sanno più chi sono:
Marcella – l’hai incontrata di certo – mi ha quasi offerto la cena).

PIN

Trenta. Molte assenze. E nemmeno…
Ma per amore ti descrivo sempre
come la donna che mi stira le camicie.

FRUGALITA’

Simpatica la donna del piano di sopra
(e per niente male), le ho chiesto del suo cane
e lei mi ha esposto per un’ora la storia dei levrieri,
dice che vengono da un posto (non ricordo quale)
per merito di un tizio (mi sfugge il nome)
e che, insomma, è possibile farseli spedire per posta,
con qualche ritardo tecnico dovuto alla dogana
(o cose del genere). Mangiano poco
e sono d’ottima compagnia. Prediligono
l’amicizia dei bambini ed i giardini piuttosto grandi.

MFHGR

Perché? Lascia la macchina al suo posto,
tira un osso a Pretzel, chiedimi il divano
e taglia il sofà a pezzi, regalali ai vicini,
facci delle scarpe e scivola, come un 740,
sotto la porta sul retro. Telefona a Katia,
compra il latte e le ciambelle a credito
(mettile, grrrr, sul conto di mamma, grrrrrrrrrrrrrrrr).

OZIO

Poco tempo per le faccende – al supermarket
orario continuato dalle sette alle ventiquattro,
la commessa sostiene che con turni del genere
è difficile vedere mamma, fare il bucato.
La paga è uno schifo. A volte, nell’aria riciclata,
si solleva una nube che plana – sofficissima –
sulla scrivania dell’addetta agli acquisti,
Mara Piducci Rosolanti, che in effetti
ha quasi sempre una forma subdola
di sinusite.

CLARA

Oggi il caffè lo offro io (come ieri)
ma tu aggiungi un sorrisetto ebete
che mi conforta, come un cioccolatino.
Tempo tremendo, piove da lunedì.
Mi conforti con un calcio sugli stinchi
(accidentale? Accidentale).

film_tarrbela[1]
Bela Tarr
BULB

Grr ki ki, call bulb,
dir hooo! krut pox, pox,
loma loo loo terexa bulb
(che ragazze frivole!
Piedi sul tavolo, sigarette rosa)
hu hu baba hu, hu hu et etiam
hu, bulb hu (splendida, tuttavia).

PEST

Ho una specie di sirena nelle orecchie,
piange pianti ininterrotti alla cornetta,
dice “torna” al violoncello senza corde,
parla sempre col megafono di Fufi
(e poi dicono che dormire non serve…).

KAT

“Possibile rivalutare la sua posizione
alla luce dei recenti accadimenti.
Inviare modulo accluso (compilato in stampatello,
caratteri perlomeno leggibili)
all’Ufficio Assunzione Personale.
Allegare fotografie delle sorelle e della casa.

Il Responsabile Di Settore,
//Yçò°°°°L”

MERCE

L’Ufficio Vendite, aperto dalle 6 alle 18,
non accetta le seguenti forme di pagamento:
– assegni circolari;
– contante;
– capponi o ungulati di varia provenienza;
– peana celebrativi;
– barrette energetiche sfuse.

ASCIUGACAPELLI

Emana un getto d’aria calda.
Funziona a corrente.
Emette un rombo soffocato.
Ha il colore dell’autunno dell’ottanta,
quando mia madre chiudeva la finestra,
un tramonto durava giorni, era quasi l’ora di cena
– ai piedi del letto
un modellino del Concord.

MEMA LUNA

Sarebbe bello tornarci con calma,
tra qualche anno, quando la valle
sarà coperta di smog, fabbriche e silos.
Non pensavo esattamente questo
quando, nell’ottantotto,
mi ritrovai proprio in cima con Daniela
e l’austriaca che chiamavano Franka:
il gusto dei panini allora
era quello dei 2500.

RIDUZIONE

Cosa ti è successo?
Sei più sottile del vento,
scappi dalla porta sul retro
e ti ritrovo in garage
– con una faccia d’ossidiana –
non dico proprio nuda,
ma vestita di niente.
Netturbini in silenzio. Polizia.
Scivolando in un vicolo del rialto
sei un lampo nel buio opaco
di un orario da travet.
Ti confondo con le donne sull’autobus:
conoscono (me l’hanno detto all’orecchio)
il segreto del moto perpetuo.

GROB

Brava persona. Certo,
quando beve si dimentica le cose.
A volte scrive frasi d’amore
sui vetri del tram, importuna signore.
Poi, nell’arco di un minuto,
diventa più affabile del salumiere:
saluta da un oblò sulla luna,
lo sguardo del pendolare al ritorno,
non conosce le forme del globo

e scende alla fermata di Lisa
(non bellissima, alta, benestante).

][

Xilofono, marimba, pianola, tamburello
del cugino ricco trasferitosi in Tasmania,
pantalone a vita alta, largo su gambe grosse
di James Wharton Peckish Green,
plagiario in ogni suono o parola
o tentativo di scrittura su carta:
bocciato, insomma.
Ma ora ascolta:
è il suono della sua giungla privata;
scava nei suoi occhi di mangrovia,
gli dà in pasto un’enorme pantera:
sente come le canta – con il groppo in gola –
una strana, profonda serenata.

&&&&

(Finestra sul torrente
con api che ronzano
attorno ai pampini
o ………………..,
ma questo non è certo).

UN’ESTATE

Dal giardino di cemento rococò
– tra magnolie e gattoni assassini –
scende Carla nel vestito rosso fuoco.
Scende Carla. Pausa.
Nel vestito rosso fuoco. Pausa.
Tra magnolie e gattoni. Pausa.
Rosso fuoco.

manfromlondon5[1]
Bela Tarr
CLIMBERS

E’ un passaggio di consegne,
un modo per farsi amiche
certe ragazze di montagna.
Le giornate che si risolvono in ombre,
dipende dal sole e dal versante:
un sentimento strano, direi opaco.
Come gli alpini appesi al seracco
che salutano da un nitore più alto
il nostro mondo di fango.

MARTINIKA

Trrrrr, si appostano sul ramo più alto
e catturato il kelù lo mettono in gabbia.
La bestia quasi quasi se ne sta meglio lì dentro:
saluta i passanti, beve succo di mango fresco
ed ai più vivaci (non io) racconta pure
certe storielle idiote sulla figlia del commodoro.

RIVERINA

Ho trovato l’oro! Lo nascondo nel cappello,
vado al bar di Riverina e spiffero tutto.
Due ceffi mi aspettano all’ingresso;
esco dalla porta sul retro ma lei,
con la colt sguainata, mi intima
di rientrare, bere, darle del tu
e fare come se fossi a casa mia,
di domenica.

LUCERTOLATA

Disamore non vuol dire che non ti penso:
significa che a forza di dimenticare,
darsi colpi sulla testa e voltare pagina

certe scene diventano leggenda,
la tua faccia è brutta e spoglia
ed il corpo, una specie di tavola,

fa miao miao al venditore
d’enciclopedie porta a porta
volume 12 lettera “L”.

PIANO 7B

“Penso che sia possibile
ricostruire in toto
partendo dal presupposto
che il sindaco e la giunta
hanno fornito un tacito assenso
(le scrivo con un gomito
poggiato sul naso).
A presto per nuovi sviluppi.
Mi saluti la Piera,

B.J.C.”

NOIA

Gronda pioggia pesante,
non scarsa per un aprile
puzzolente come pochi,
umidità forte ma relativa,
traffico intenso all’ora giusta;

poi niente, silenzio,
scrosci a momenti, poi un lampo,
poi ancora (…) sassolini.

REGISTRAZIONE

Le luci si sono spente con un clap,
la signora porta il gatto in soffitta
e si dedica alla lettura di Peddleton –
ha occhi da circo degli acrobati,

solo che lei non cade dal ’78 – ed in piedi –
nella braccia dell’avvocato protagonista,
un tale molto basso.

KOBA?

Se cambia il suo taglio di capelli
la mamma le toglie il saluto.
Lei vorrebbe uno stash rovesciato,
le fanno invece la frangia sugli occhi.
Uscita dall’hair-stylist piange,
scioglie un po’ di ghiaccio sulla piazza fucsia
che gela, gela, gela.

FRESNO

Sceso dal marciapiede
– giusto -,
salito sulla Chevy di Sarah
– giusto –,
lei che guida piuttosto tesa
con la testa perfetta
che sporge un po’ dal finestrino,
saluta due messicani
che vendono tacos all’angolo,
mi dice: “ecco, ci siamo”
(vedo dei cactus a forma di nuvola,
tantissimo cielo).
La sua mano destra, mentre punta un dito,
profuma di kiwi.

****

P.S.

Chiedendo a Bruno Clocchiatti se avesse qualcosa di particolare o particolarmente a cuore da dire a proposito del proprio stile, se qualcosa o qualcuno abbia contribuito a fissare, radicare in lui quelle particolari – movenze – anche critiche, sulle quali pone e porge la sua poetica, mi sono sentita rispondere: “Citare i vari Raboni, Giudici, Erba, Magrelli e – chiaramente – Zanzotto, mi parrebbe fuori luogo (e sarebbe, forse, troppo accademico). Di’ pure che sono influenzato dalle lasagne, quello sì”… e, appunto del Magrelli “non citato” mi viene in mente, per associazione d’idee un’interessante dichiarazione da lui stesso rilasciata durante un’intervista: “Si fa poesia per vedere qual è la tenuta d’una parola, il collante tra un’esperienza ed un’altra trasposta in parole. Si fa poesia così come si prova a montare un uovo.” * Ecco, gastropoeticamente parlando mi sentirei di dire che trattandosi di chef di tale “portata” anche da un semplice uovo sarà naturale attendersi una “resa” perfettamente riuscita, che poi le uova siano alla base delle migliori lasagne è una certezza. Doris Emilia Bragagnini*
*
BRUNO CLOCCHIATTI, di Udine, è nato nel 1976. Ha pubblicato le raccolte METROPOLITAN (2002, L’Autore Libri Firenze) e DÉCO (2004, L’Autore Libri Firenze).

Magrelli intervista qui

 


10 risposte a "Bruno Clocchiatti: Variazioni – nota di lettura Doris Emilia Bragagnini"

  1. Istantanee scarne, fortemente evocative. Momenti di vita uniti da un velo malinconico e icastico allo stesso tempo. Frammenti della quotidianità visti con un distacco “salvifico”, come dice Doris nella sua attenta lettura. Quel distacco che basta per rivelare inesorabilmente le regole del “gioco” . Un grande grazie a Bruno Clocchiatti e a Doris per questa proposta davvero preziosa.
    Abele

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  2. Sono attimi descrittivi lanciati lì, come tanti sassolini che descrivono cerchi che si allargano…. ma, invece di allontanarsi, ritornano poi indietro e fissano immagini come fossero nostre.
    Grazie anche a Doris che ci propone il post.

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  3. Molto emozionata per questa pagina… i testi di Bruno Clocchiatti, così capaci, le sensazioni che lasciano (di quelle che non se ne vanno)… come “vedo” la sua Poesia già l’ho scritto, rimane la voglia di ringraziare: lui per essersi lasciato -stanare- e Abele per l’accoglienza.

    Doris

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  4. Grazie a voi sto esplorando un mondo meraviglioso! E non mi sento più sola nel “percepire” la realtà in questo modo. Partendo da qui passo ore a “viaggiare” nell’espressione poetica ed è appagante.
    Continuo a leggervi…

    Lu

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  5. ne ho letta qualcuna stasera (non tutte perchè non amo ingozzarmi ma assaggiare lentamente portata per portata a piccole dosi) ripromettendomi di tornare a pranzo e cena domani e magari anche dopodomani e ogni qual volta sentirò il bisogno di cibarmici.
    sono poesia a scatto. fermo. immagine.
    proprio con i punti di fine tra una parola e l’altra di questa sequenza che vi ho intavisto: scatto. fermo. immagine.
    inuttile dire che ciò che ho letto mi è piaciuto molto. perchè la scrittura quando si fa parola sazia e non disgusta il palato.

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  6. Bella l’immagine dei sassolini, Serenella, che continuano ad allargarsi come conferma il viaggio in perfetta sintonia di Angelica e Lucia. A Doris di nuovo grazie!
    abele

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  7. ritrovo Bruno con la sua ironia, dentro uno sguardo personale, molto umano, che, per traslato, come dice ottimamente Doris, sa farsi civile. Un autore molto consapevole Bruno con una “mano” (lessico, stile…)curata, ma dal risultato naturale.

    Grazie davvero, ad Abele per lo spazio, a Bruno e a Doris che è una curatrice d’Autore…
    un grazie anche a Serenella per quella immagine dei sassolini davvero felice.

    Infine, visto che lo stesso autore lo cita, pur in seconda battuta rispetto alle lasagne :D, un ricordo a Luciano Erba, appena scomparso.

    Ciao!

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  8. Ho sempre ritenuto Colchiatti autore di spicco, che scrive poesia di certa avanguardia , poesia umoristica, aggressiva, che sembra in fine predersi gioco della realtà e della stessa poesia. Poesia gaudente, ma nei fatti stilettata decisa alla vita e al suo sistema. Poesia violenta quindi nei contenuti e nella forma che non manca di una tecnica necessaria a svelare la interiorità dell’autore, interiorità ribelle che ribolle e tutto irride.

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