[ Ho letto Spaccasangue durante il periodo natalizio, a letto con una febbre altissima che non ricordavo dall’ infanzia. Non è stata la febbre che mi ha fatto amare questo libro, ma di sicuro mi ha predisposto ad un ascolto più intenso. O forse è stato Spaccasangue a farmi venire la febbre; perché per quanto possano essere diversi i nostri vissuti, la stessa percezione della realtà, alcuni libri hanno il potere di appartenere a tutti. Si tratta di libri di grande “coraggio”, il coraggio di affronare un viaggio senza scampo con quel che siamo e ci forma, l’inconscio. Un percorso, per quanto difficile, capace di portare luce. E non a caso leggendo queste poesie le ho associate alle tele di Emily Carr]

canto della mamma bambina
Fare la mamma, essere la ninnananna, stare senza senza,
morire morire morire come una qualsiasi fatica.
I
La cuffietta intorno al viso; un fagotto sui gradini
della stanza grande come una forma di lardo,
unico flash della mamma-bambina senza denti né pianto.
Dietro la porta la madre si quieta vegliata dal grufolo caldo, il battito
dentro le costole; i segni contano le vene.
Madre nera madre troppo
fragile per i boschi per le mele cotogne le primule a novembre
madre dei soffioni senza campo.
Il padre è un peduncolo, grande come il baco
che abita la mummia. Migra dalla pancia all’osso.
Succhia. Geme. E’ un grugnito.
Tagliati a metà, l’uomo e la sua terra, il verro e la sua donna, nel tempo perdonato
della mietitura, crescono la mamma-bambina.
II
cuore zoppicato cuore sperticato vuoto della resa
candore nella bocca calore morsicato
tappo uscio cigolio del letto
Lei è l’amore, nato amore vivo,
amore da far fuoco, con il nome corto come l’odio.
Vivi e cullami vivi di più e proteggimi
scatola di ossa cranio che si fonde testa dell’ariete
contro la mancanza, bambina azzurra
come la porta magra come un girino bomba mammina
che spalmi olio sopra i muri difesa dei massacri
vitello mai morto tuorlo
del mio altare donna inginocchiata
con lo sputo infilato nella sporta
donna nocciolina senza la barbi senza le trecce
con la gonna a pezze con le gambe
storte il sesso cresciuto contro le braghe di un uomo
immacolato uomo vangato sulle pietre calde di vermi
cuore di dita dolore respirato buio
scafandro uovo crudo libro mai avuto
III
C’era l’amore cucito vena a vena.
L’amore era nelle galline
nei vitelli nello zio del latte munto
nei fasci di fieno i giochi con le biglie.
IV
nel nome del padre nel nome della madre
nel nome della figlia bestemmia
Preghiere e muco sopra le labbra.
Lei è un podere da vangare, attecchisce sui rami
delle gambe, un baco nel frutto.
E’ dura come il piombo
cade colpo su colpo
poi ricresce come i cerchi dentro un albero.
Nella doglia si torce come una sposa.
Ama la madre chiusa nel ventre.
Odia il padre che è il principio e la fine.
Odia il suo corpo che li tiene, letame buono a far seme.
V
Arancia meccanica
Arancia meccanica
Arancia meccanica
Chi sa da dove vengono le cose, da dove viene il mare che frange le molotov amadeus
mozart le chiuse alle dighe i transatlantici il cane di pavlov da dove vengono le
spiagge le orche l’everest.
Il giorno che si ammazzano i conigli. Metà settimana, la madre le dice vieni. In una
mano il catino, nell’altra la lama del coltello. I conigli sono belli quando sono piccoli.
Da grandi sono grassi e vanno ammazzati. La madre solleva la gabbia, prende il più
grosso. Lui sgambetta. La madre si siede sullo sgabello. Le dice tieni fermo il catino.
Raccoglie da terra un sasso, lo picchia come un martello sulla testa del coniglio.
Poi prende il coltello, un taglio deciso, da cima a fondo. Il coniglio fuma come una
fabbrica in inverno; il sangue trema, troppo vivo. Con un crack gli spacca la schiena;
lo apre come un pezzo di strutto, affonda le mani fino al polso, le riemerge colme del
fegato che sbatte le ali come un uccello.
*
[C’è nella Carr, in Iole, una fede nella capacità dell’arte di creare immagini/parole “memorabili”, che sappiano contenere le sfere più diverse, da quella mitica a quella sociale. Un respiro senza confini che, nella delicatezza del tratto, si fa forza prorompente, e in cui il femminile trova la sua centralità demolendo il concetto stesso di autorità. Una libertà di sguardo che per quanto riguarda la Carr viene di solito associato all’opera di artiste a lei vicine, come Georgia O’Keefe e Frida Kahlo; mentre nel caso di Iole rivela una grande affinità con Sylvia Plath, in quel fare i conti con la memoria con lancinante nitidezza.]

La gioia è nel verde
della terra che respiri,
nel farti accanto
mentre dormo e migro
verso un luogo illimitato
che non tocco ma che arriva
come un gesto aperto
dalla luce delle imposte
nella riga che segna sulla fronte
un fiore d’ombra.
Dentro il buio si compie l’altra attesa.
L’amore mi attraversa come l’erba
quando dentro passa l’aria.
*
La pazienza insegna il suono del sangue.
Una musica terrestre tocca passi
impercettibili di presenze mai accadute.
La sospensione ci consegna
a un dopo invisibile, nel segno
della bocca che pronuncia l’altra cosa,
viva nello spazio incerto dell’attesa.
In questo luogo la memoria è futura,
conta l’esatta distanza fra il corpo e la sua assenza.
*
La febbre è nella pioggia, un lago che si apre
come pelle dentro l’altra pelle, una crepa
che mi frana nel centro di una terra sconosciuta.
Come un prato
sul dorso della montagna, resto ferma
nel vento, nelle radici arrese sul fondo. Tutto
è teso come uno scoppio pronto al silenzio,
senza segno, nome. Il fiato infila paure;
stasi nella forma da fare.
Un eterno che si compie qui, ora,
sospeso e accaduto, vivo
attraversamento di nervi, dove l’altra
voce mi abbraccia alla terra
mossa dei campi, nei boschi,
nel farsi tempo dentro un altro tempo,
più fondo, più luminoso di quanto io sappia dire.
*
la casa sul fiume
Nella casa gialla alla fine del paese
la valle si stringe in una gola di sete.
Qui sale il rumore del bosco
cantato dalle rocce che frangono il fiume.
Il rombo tocca porte, inferriate.
Le pareti si aprono al respiro dell’acqua.
Ferma sulle pietre, la mia sete, il vento.
L’amore è questo
sentire che accade qualcosa
già avvenuto dentro la vita di un uomo,
la compassione per un dolore dove l’infanzia
sconfina il perdono di umane finitudini.
Sui mobili, profili di volti come arche in cima all’Ararat.
Dalle mani che seguono i resti della polvere,
impariamo le loro voci, come l’amore che ci sveglia
in questo suono di acque
rotte dal pianto di un altro ritorno a casa.
*
[ C’è in Iole, nella Carr, come un flusso incessante che evoca e mette insieme i richiami più disparati, in un vortice volto a scardinare le dicotomie più fisse, come maschile/femminile, e a rompere “visioni” logore e stereotipate. Un anelito a liberare le forze più incontrollabili della nostra natura che nella Carr ha preso sempre più connotazioni spirituali (fu per un breve ma intenso periodo cultrice di teosofia), ma che in Iole si rivela anche in un attaccamento, per quanto dilaniante, con il “terreno”, la vita in ogni suo attimo e quotidianità.]

troppa poca parola
Finita, ieri, il mio cuore ti disse.
E ancora inizio non avevi
e ancora mai nell’inizio non sei
e sempre sei l’annuncio dell’inizio.
– A. Zanzotto
Per il dislivello del fiato, per lo sgomento,
nell’odore incensato della salita, nella chiave
che albeggia la carne, le arnie a raccolta,
gli indizi, l’inclinazione alla guerra.
Nella vigilia della dolcezza, la perdita della coscienza.
Vendicata parola, vendicato
il tuo nome, disfarsi di cielo che apre
alla strage, la frase rossa sul dorso,
la presa alle reni, alture, il midollo, il golem
che inneggia al verbo amazzonico come un utero
scagliato di luce.
Io dormo sul masso del fieno, sui morbi grassi
che gemmano storie, e le fedi spuntate. Innesti
su stanze e vuoti. Per te bella matrona lego
le gambe al tavolo, lego i capelli, crisma
di amore babelico. E’ terrore
la commozione del prato, il fondo vivo
dopo la partitura del corpo impronunciato.
*
spacca sangue
Arrivi in unghiata.
Elettroshock nella gola.
Mi avviti alla tua voce.
Lama, molla, cartavetro.
Un altare ti suona la bocca.
Nera, rossissima, alata.
La schiocchi sugli orli delle poltrone.
Criniera che sboccia di frusta.
Sul nero dei vespri.
Negli otri delle madonne.
Mimi la forma del sangue.
Di bocca.
Di fianchi.
Rallenti.
La poesia tintinna sui morsi. Dura
come una chiave.
Io, l’incenerita.
Tu, la marziana troppissima bocca.
Una mattanza.
Ti giro in tondo come un cane
mentre mi abbatti un bottone alla volta.
Diavoladea attecchita dove la fine inizia.
La cavalcata.
Mi solchi come una lastra metallica.
Nell’ossoduro.
Nel mondo tutto di te. Ti fai
libellullina sul pianoforte delle mie dita.
Pianoro, oro oro oro, shock!
della lingua.
Poesia.
Poesia!
Il nocciolo. Carbonizzato.
La tua voce schizza sulle lamette,
andirivieni fra cuore e culo.
Anima. Perversa onduli
dalla frangetta secca sugli occhi,
mi ficchi nell’asola mentre lecchi di gola
la poesia – omicida
contro la bocca.
***
da Iole Toini, Spaccasangue, Le Voci della Luna, 2009
Grazie Abele.
Il tuo ascolto mi porta la gioia della poesia quando riesce a farsi mano anche attraverso altri tracciati dove si riconoscono similitudini e diversità che uniscono.
Non conoscevo Emily Carr. La approfondirò senza dubbio.
Grazie moltissimo.
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Grazie a te, Iole. Spaccasangue non è un libro che si esaurisce a una prima lettura, lascia appunto tante tracce…
abele
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quando mi capitò di leggere Spaccasangue sentii un terremoto, scrissi non una lettura ma una lettera, a Iole, perché mi ero sentita così vicino alla terralava del suo essere parola che non potevo rivolgermi al suo testo ma a lei, che lì dentro stava in ogni stanza come in un agguato e aveva chele il suo granchio, preso sulle reti di un amore grande, straripato non strappato come potrebbe sembrare a chi guarda la scrittura riga a riga. Ora Abele ha riportato altri luoghi dalla stessa terramareadiiole, che si espande, un pianeta e un planetario, un contingente ineguagliabile di onde, onde per cui resto in silenzio a godere della voce di entrambi. Grazie,ferni
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questo libro io l’ho divorato, e divorandolo, l’ho lasciato frantumare parti di me…
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Sono poesie stupende
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Non conoscevo questo libro, impressivo sin dal titolo. Fa venire i brividi leggere queste poesie che vanno dritte in pancia… Una realtà che pare trasfigurata in sogno, a tratti in incubo, in questo mondo animale dove tutto tende al nulla, al morire…”un’arancia meccanica”. Ci sono versi apparentemente incomprensibili nel significato ad una prima lettura ma potenti e bellissimi proprio perché enigmatici e oscuri dove il ruolo della donna/mamma ha una centralità spiazzante. Da questo libro esce un grido di dolore necessario. Parole che sommergono come lava inarrestabile, e ci sono momenti lirici di forte intensità come: l’amore è questo/sentire che accade qualcosa/già avvenuto /dentro la vita di un uomo,/la compassione per un dolore dove l’infanzia/sconfina il perdono di umane finitudini.
Grazie ad Abele per questa proposta che mi ha dato la possibilità di scoprire Iole Toini che ora approfondirò senz’altro.
monica
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sempre grande Iole. sempre presente tu, Abele, nel riportare la bellezza.
grazie, api
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grazie a te, api, e un caro saluto.
abele
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una lettura davvero completa, testi non facili direi nelle cui parole non voglio cercare fili di consapevolezza
leggo e afferro al volo queste parole lanciate, coraggiose, esplose
un viaggio per mondi, per terra mai stabile così sento la sua scrittura, in ogni pagina
grazie
Elina
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Iole, Iole, la tua poesia mi lascia ogni volta uno stordimento prossimo al pianto e insieme una gioia violenta, non si esce dalle tue parole senz’amore e si rimane con quel battito nella pancia che dice: ancora..
Grazie
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