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17 – Perfino il musical si adegua…
Ma anche Hollywood si aggiorna! Cominciò a farlo già nell’immediato dopoguerra, con un postneorealismo che in qualche modo teneva conto dei nuovi stilemi e umori europei, per importarli e liberarli in una nazione – anzi un continente – profondamente autocritico, e sempre più assetato di amare verità che di belle finzioni… (Italia a parte, la Francia aveva fatto, stava onorando la sua parte con importanti film di Clément e Clouzot: citiamo almeno, rispettivamente, Eroi senz’armi, del ’46, sorta di maliziosa agiografia della Resistenza e di una guerra di Liberazione ridotte a commedia d’interni; e le strepitose interpretazioni di Yves Montand e Charles Vanel in Vite vendute, del ’53, avanzi di galera immolati all’energia, alla pur abietta sacralità della vita… L’Inghilterra si era intanto distinta con quella piccola gemma che fu il Breve incontro di David Lean, 1945; e l’esordio di Joseph Losey nel ’48, con la favola metarealistica Il ragazzo dai capelli verdi)…
C’è una bellissima lettera che Ennio Flaiano il 26 maggio ’50 scrive da Roma a Jules Dassin c/o “Twentieth Century-Fox Film Corporation / Studios / Beverly Hills, California” (allora interessato a ridurre in film il suo romanzo Tempo di uccidere – pubblicato negli USA col titolo The Short Cut), proprio per elogiare i suoi forti titoli da hollywoodiano “nuovo corso”…
“… Io ammiro molto i Suoi film, caro Signor Dassin, appunto perché si distaccano dalla narrativa cinematografica abituale, perché i personaggi sono visti e fissati dall’interno. Io non dimenticherò mai la scena della Morgue in Nacked City, quella madre brutta che fa l’estremo elogio della figlia, né la corsa dell’assassino sul ponte, né le meravigliose scene di Thieves’ Highway (quelle della strada): sono belle perché rompono ogni convenzione e offrono allo spettatore una nuova versione dei personaggi.”
Forza bruta (1947), La città nuda (1948) e I corsari della strada (1949), chiudono anch’essi, oltreoceano, una forte, caparbia trilogia, diciamo così, neorealista… Il primo è un’aspra denuncia del sistema carcerario statunitense; il secondo un’indagine poliziesca anticonformista ambientata nei quartieri poveri dei “docks” di New York; il terzo è un film sui camionisti italoamericani in California… In pieno clima maccartista, erano in fondo – e per fortuna! – dei veri colpi nello stomaco dell’americano medio che il cinema solitamente voleva sedurre, blandire, addormentare di rosa…
Ma pensiamo anche allo Stanley Kramer di Vincitori e vinti (1961), impeccabile courtroom-movie sul Processo di Norimberga, con fra gli alleati e i nazisti un vero parterre des rois di celebri, ottimi attori: da Spencer Tracy a Burt Lancaster, da Marlene Dietrich a Montgomery Clift, da Judy Garland a Maximilian Schell… Come ci sono care molte caparbie prove di Arthur Penn (La caccia, 1966; Alice’s Restaurant, 1969; Piccolo grande uomo, 1970 – un western, quest’ultimo, finalmente favorevole alla causa dei Pellerossa)… Ed è in pieno fervore creativo anche l’originalissimo talento di Sam Peckinpah, che oscilla tra il suo sguardo d’addio al West, poetico, simbolico (Il mucchio selvaggio, 1969; La ballata di Cable Hogue, 1970), e l’indagine impietosa, affilata della violenza contemporanea (Cane di paglia, 1971; Getaway!, 1972).
Perfino il musical si adegua… Con West Side Story (1961) Robert Wise lo rinnova collegandosi a fortissime istanze e urgenze sociali (a parte le splendide coreografie di Jerome Robbins, o le presto mitiche canzoni firmate da Leonard Bernstein e Stephen Sondheim), e girando clamorosamente e ampiamente in esterni, a New York, nella 68ª e nella 110ª, prima della demolizione…
P.S. La carriera americana di Dassin finì presto, già nel 1950… L’Europa lo accolse ben volentieri come suo solito, affettuosamente indifferente, pigra ma incoraggiante (mutatis mutandis, qualcosa di molto simile accadde pure all’immenso Chaplin, o all’impertinente e bravo Polanski…). I suoi pochi film successivi, impariginati o di evocazione greco-classica, saranno condivisi con la battagliera e brava consorte, l’attrice Melina Mercouri, pasionaria di libertà civile, e della nuova, combattuta causa ellenica (Mai di domenica, 1960; Fedra, 1961; Topkapi, 1964).
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© Plinio Perilli, casa editrice Mancosu (Roma), 2009
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