“Dedica” di testi brevi, ma intensi; tessuti al telaio della scruittura intrecciando alberi e foglie, ossa e sguardi, vita e morte. E’ il passaggio che sconcerta e l’assenza del padre che scompare attraversando la soglia del tempo mutando così come muta la luce rarefatta della sera. Non c’è ritorno in questo paesaggio poetico, ma solo un varcare l’esistenza che viene meno in un fiorire di immagini poetiche dense di dolore e stupore, ma contenute, sospese nell’aria e nei versi. Traspare bellezza.
Sono io naturalmente che ringrazio te Abele e voi tutti per la generosità nella lettura e per gli abbracci caldi e affettuosi (che ricambio!). Mi commuove sentire una vicinanza così, oltre ogni gelo, e mi ritengo gran fortunata, felice che non mi rintano.
Grazie anche ai like (i piccoli avatar continuano la corona di visi del dipinto di Sassetti), grazie a Roberto e a Franziska che sono fra i commenti nascosti.
Non posso non accostarla nel pensiero al “Tema dell’addio” di Milo de Angelis, con la città di Milano tramutata nel bosco di Montagna, sento l’intreccio forte del tema della partenza e della persistenza, nella memoria, ma anche nella fisicità “genetica” e carnale dei discendenti, nel persistere del paesaggio: il cranio è una spiga servita di storie.
un grazie sempre riconoscente alla grande capacità di lettura e di scrittura di Giancarlo (che, di più, ha scritto Montagna con la maiuscola! )
e una grazie altrettanto riconoscente a maurizio che sempre fa germinare lo sguardo e le parole (anche altrui)
un abbraccio
e, ma forse è presto, Buon Natale a tutti!
È una lingua ammessa a se stessa, una lingua sacrificale, capace d’immolare la ragione (spiegazione) agli attimi così infiniti e singolari, di spingersi fino alla più ostinata rincorsa e spremitura di sostanza, per trattenerla bene. Un segno, tangibile, dell’emozione e dei significati che vanno e vengono, si danno e si prendono, assorbiti, assorbenti nel continuo cerchio della vita.
“ … se tanto
nulla è buio”
Versi puri, profondi. Un abbraccio grande, Margherita.
“per il tuo occhio / che io riapro come una culla” è uno dei versi più intensi che abbia mai letto. c’è tutto l’amore straziante del gesto che si fa cura e della natura che chiude la porta. quante volte possiamo ancora riaprirlo quell’occhio così privo di forze da non poter reggere neanche il peso impalpabile della impalpebra?
quante volte, prima che si chiuda sbarrato, con un doppio giro di chiavistello? già, *doppio*… ché gli occhi sono due e allora ci *aggrappiamo all’altro* (di occhio, ma anche in ogni senso) se non siamo ancora morti del tutto, ovvero se siamo morti per metà in un’emiparesi di vita che “strige e trapana / umanissima gola”. straziante. non so cosa sia meglio. la fine spesso sovrascrive non solo il principio, ma tutto il resto (“guardo mio padre diventare minore”), mutando prospettive relative e assolute. e allora ecco la memoria che – “come una dalia cerca terra” – prova a mantenere vivo il ricordo e tutto il resto, ecco il passare di mano (siamo quasi-noi i nuovi vecchi) del fiore, del seme e del frutto. è quando la distanza che rimane da coprire diventa un viaggio troppo corto, che la libertà di movimento concessa appare in tutta la sua limitatezza incatenandoci a un “collare d’orizzonte”: l’unico viaggio concesso in tali circostanze circo-scritte è quello dell’occhio che insegue il punto di flesso tra un lampadario e il buio della stanza. epperò l’ambivalenza delle cose naturali può anche lenire il dolore: l’albero rimane scuro, in secondo piano, lasciando che la foglia figli. basterà? chissà, il dubbio resta irrisolto nella doppiezza di quest’altra splendida coppia di versi “un vecchio che guarda un bosco / ne parla con il ritmo dello zoccolo che lo tormenta” dove *lo* può essere riferito sia al vecchio stesso (che soffre come un animale in gabba, tormentato dall’impossibilità di), ma anche al bosco (ovvero il vecchio porta in sé il ricordo del movimento, lo ha *vissuto* quel bosco e può parlarne e sognarne continuando a viverlo in modo fisico, quasi lo calpestasse avanti e indietro con lo zoccolo). sugli abitanti e nelle cosa della casa (i conigli, i gerani, la casa stessa, l’albero, il concime) cala una sorta di immobilità fossile quasi magica (il chiarore), una realtà sospesa su cui prima piovono parole ma poi scende la neve in una sineddoche di neve-foglio bianco sul quale si ri-stabilisce un equilibrio (vince il biancore sulla pioggia delle lacrime). così, mediante tale accettazione (“sotto il bianco infatti è ben raro / non mettere a nudo e lievissimo il suo torpore”) ci si assopisce in una più serena non appartenenza alla vita (che va e viene, passando di mano, “segue la rondine”) e, parallelamente in una inevitabile non appartenenza delle parole scritte nel foglio-figlio (perché il vento che soffia lo sa: non è possibile far tacere le storie). un abbraccio forte.
Tra partecipazione e distacco , tra Spirito e Ragione , questi versi hanno il potere di “chiamare” chi legge ; di non farlo stancare mai . Poesia è questo , soprattutto questo .
Grazie a Margherita
leopoldo attolico –
bellissime poesie!!!! Bellissime,Margherita, davvero!Tra le più belle delle tue.
Complimenti e…ti sono vicina.
lucetta
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“Dedica” di testi brevi, ma intensi; tessuti al telaio della scruittura intrecciando alberi e foglie, ossa e sguardi, vita e morte. E’ il passaggio che sconcerta e l’assenza del padre che scompare attraversando la soglia del tempo mutando così come muta la luce rarefatta della sera. Non c’è ritorno in questo paesaggio poetico, ma solo un varcare l’esistenza che viene meno in un fiorire di immagini poetiche dense di dolore e stupore, ma contenute, sospese nell’aria e nei versi. Traspare bellezza.
Rosaria Di Donato
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Sono io naturalmente che ringrazio te Abele e voi tutti per la generosità nella lettura e per gli abbracci caldi e affettuosi (che ricambio!). Mi commuove sentire una vicinanza così, oltre ogni gelo, e mi ritengo gran fortunata, felice che non mi rintano.
Grazie anche ai like (i piccoli avatar continuano la corona di visi del dipinto di Sassetti), grazie a Roberto e a Franziska che sono fra i commenti nascosti.
Ciao!
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Non posso non accostarla nel pensiero al “Tema dell’addio” di Milo de Angelis, con la città di Milano tramutata nel bosco di Montagna, sento l’intreccio forte del tema della partenza e della persistenza, nella memoria, ma anche nella fisicità “genetica” e carnale dei discendenti, nel persistere del paesaggio: il cranio è una spiga servita di storie.
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L’occhio landa germinato ora stanza a cui scivola via la luce
occhio culla da svelare
smettere di giocare.
Molto belle, Margherita.
un caro saluto
maurizio
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un grazie sempre riconoscente alla grande capacità di lettura e di scrittura di Giancarlo (che, di più, ha scritto Montagna con la maiuscola! )
e una grazie altrettanto riconoscente a maurizio che sempre fa germinare lo sguardo e le parole (anche altrui)
un abbraccio
e, ma forse è presto, Buon Natale a tutti!
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È una lingua ammessa a se stessa, una lingua sacrificale, capace d’immolare la ragione (spiegazione) agli attimi così infiniti e singolari, di spingersi fino alla più ostinata rincorsa e spremitura di sostanza, per trattenerla bene. Un segno, tangibile, dell’emozione e dei significati che vanno e vengono, si danno e si prendono, assorbiti, assorbenti nel continuo cerchio della vita.
“ … se tanto
nulla è buio”
Versi puri, profondi. Un abbraccio grande, Margherita.
Doris
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“per il tuo occhio / che io riapro come una culla” è uno dei versi più intensi che abbia mai letto. c’è tutto l’amore straziante del gesto che si fa cura e della natura che chiude la porta. quante volte possiamo ancora riaprirlo quell’occhio così privo di forze da non poter reggere neanche il peso impalpabile della impalpebra?
quante volte, prima che si chiuda sbarrato, con un doppio giro di chiavistello? già, *doppio*… ché gli occhi sono due e allora ci *aggrappiamo all’altro* (di occhio, ma anche in ogni senso) se non siamo ancora morti del tutto, ovvero se siamo morti per metà in un’emiparesi di vita che “strige e trapana / umanissima gola”. straziante. non so cosa sia meglio. la fine spesso sovrascrive non solo il principio, ma tutto il resto (“guardo mio padre diventare minore”), mutando prospettive relative e assolute. e allora ecco la memoria che – “come una dalia cerca terra” – prova a mantenere vivo il ricordo e tutto il resto, ecco il passare di mano (siamo quasi-noi i nuovi vecchi) del fiore, del seme e del frutto. è quando la distanza che rimane da coprire diventa un viaggio troppo corto, che la libertà di movimento concessa appare in tutta la sua limitatezza incatenandoci a un “collare d’orizzonte”: l’unico viaggio concesso in tali circostanze circo-scritte è quello dell’occhio che insegue il punto di flesso tra un lampadario e il buio della stanza. epperò l’ambivalenza delle cose naturali può anche lenire il dolore: l’albero rimane scuro, in secondo piano, lasciando che la foglia figli. basterà? chissà, il dubbio resta irrisolto nella doppiezza di quest’altra splendida coppia di versi “un vecchio che guarda un bosco / ne parla con il ritmo dello zoccolo che lo tormenta” dove *lo* può essere riferito sia al vecchio stesso (che soffre come un animale in gabba, tormentato dall’impossibilità di), ma anche al bosco (ovvero il vecchio porta in sé il ricordo del movimento, lo ha *vissuto* quel bosco e può parlarne e sognarne continuando a viverlo in modo fisico, quasi lo calpestasse avanti e indietro con lo zoccolo). sugli abitanti e nelle cosa della casa (i conigli, i gerani, la casa stessa, l’albero, il concime) cala una sorta di immobilità fossile quasi magica (il chiarore), una realtà sospesa su cui prima piovono parole ma poi scende la neve in una sineddoche di neve-foglio bianco sul quale si ri-stabilisce un equilibrio (vince il biancore sulla pioggia delle lacrime). così, mediante tale accettazione (“sotto il bianco infatti è ben raro / non mettere a nudo e lievissimo il suo torpore”) ci si assopisce in una più serena non appartenenza alla vita (che va e viene, passando di mano, “segue la rondine”) e, parallelamente in una inevitabile non appartenenza delle parole scritte nel foglio-figlio (perché il vento che soffia lo sa: non è possibile far tacere le storie). un abbraccio forte.
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Tra partecipazione e distacco , tra Spirito e Ragione , questi versi hanno il potere di “chiamare” chi legge ; di non farlo stancare mai . Poesia è questo , soprattutto questo .
Grazie a Margherita
leopoldo attolico –
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Paesaggio in moto e le storie, «ori serviti»
da un pensiero che cuce e collega,
si sofferma, non urla e prosegue.
Grazie a Margherita Ealla per questa sua “Dedica”, grazie ad Abele Longo per averci dato l’opportunità di leggerla.
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