Paola Musa: “Rizomi e altre gramigne” di Maurizio Manzo

Cover Rizomi e altre gramigne

Nei momenti difficili della mia vita scelgo, di solito, di non scrivere. Preferisco sostare pazientemente in un angolo di me stessa che non sia troppo visibile agli altri, evitando di cercare un senso che, prima o poi, penso, arriva comunque – o magari non arriva mai – ma intanto non aggiungi sofferenza a sofferenza, non te la prendi per come sono andate le cose, rifuggi dalle illusioni che normalmente t’incatenano e ti fanno perdere lucidità.

Però in quei momenti la lettura si rafforza, diventa necessaria, illumina via nascoste in cui non cerchi a tutti i costi di ritagliarvi dentro il tuo ego, ma sfiori mondi altrui, altri percorsi di parole e versi.

Ieri un caro amico poeta, Maurizio Manzo, ha voluto farmi dono del suo ultimo libro di poesie. Sono liriche che non passano a fior di pelle: bisogna starci dentro qualche istante, fermarsi, attendere la rivelazione che si nasconde tra le pieghe dei versi.

Maurizio Manzo usa una metrica per me a volte difficile, fatta di endecasillabi doppi. Usa il rigore ritmico quasi a voler misurare il terreno in cui innestare e far fiorire epifanie estratte come succo e linfa dalla vegetazione della vita: quella più oscura, minimale, a volte intraducibile e indicibile. Non a caso, presumo, la sua raccolta si intitola “Rizomi e altre gramigne” (Zona editore)

In apertura il poeta cita Deleuze e Guattari, che con il termine “Rizoma” intendevano un particolare modello semantico da opporre a tutti i modelli basati sulla concezione di albero (imperanti in tutte le discipline, dalla linguistica alla biologia), ma sembra più rifarsi a Jung, quando, prima di citare tali autori, spiega egli stesso la metafora del rizoma in questo progetto poetico: “tutto parte da un rigonfiamento, una riserva che si riempie di delirio, di un bacio mai dato, di incongruenze notturne, di semafori incantati. Quando arriva è una rivelazione e spesso non capisci, perché sembra parlarci dall’altra parte del mondo, ma questo è quello che definiamo auto preclusione, che dura giusto il tempo di tutte le rivelazioni”.

Lo psicanalista Carl Gustav Jung usava  il termine “rizoma” per indicare la natura invisibile della vita, quella sotterranea, perdurante molto più a lungo rispetto alla sua manifestazione estemporanea, esposta alla luce. Il rizoma è dunque, per Manzo, “un rigonfiamento, una riserva fatta di memorie, persone e fatti, che nel bene e nel male ci permettono di andare avanti e ricevere in qualche modo sempre qualcosa”.

Troviamo quindi istantanee di muffe, croste, lampioni, resine, davanzali: particolari apparentemente insignificanti che risvegliano eventi, frammenti della nostra vita, lampi, “che cercano il giusto guizzo”, dove a “pelo d’acqua anche le pietre danzano”.

Connettere, dunque, “ciò che inizialmente depista”, e quindi delimitare, catturare, attraverso una rigorosa struttura, piccole monadi di memorie e d’immagini. Tutto ciò sembra scaturire dalla consapevolezza che si è “al proprio interno smisurati”, come espresso nella poesia “Anomalie”, una delle migliori composizioni a mio avviso, perché riesce felicemente a mettere insieme l’esperienza frammentaria e provvisoria dell’esistenza, le gemme di nessi immaginati e vissuti, senza mai perdere il ritmo della composizione :

Si è sempre al proprio interno smisurati, nessuna prospettiva lineare

definisce i confini dove stare, non lo diresti mai che si è deformi

nel rumore della testa che rimugina, nello sguardo che sequenza il contesto

che si fa minuscolo o gigantesco, il guaio è capire quando non è un sogno

che ci si ferma davanti ai burroni, non si svegliano i morti con un bacio.

Un bel dono, quello di Maurizio, fattomi in giorno pieno di luce, con qualche tenebra nell’humus sotterraneo.

Paola Musa

 

2 risposte a "Paola Musa: “Rizomi e altre gramigne” di Maurizio Manzo"

  1. Paola Musa coglie con precisione l’anima di questa raccolta, “sotterranea” ed epifanica allo stesso tempo. Fatta di grumi reconditi e luci inattese che il metro amplifica.

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