
I – Invocazione
Dai!
concedimi un clamore da gattopalco
un hapax, una nuova e inconsutile ramogna
che manifesti tutta l’eutrapelia dell’ente.
Sennò chiamo i Verdurin
con la loro smania di qua di là
dapperniente .
Lui, che ama pronunciare in diesis la parola “sottane”
come un’indicazione stradale
per significare altro nella lingua sconosciuta
indossa una spirale espressiva tra occhi baffi mento e bocca
che aggetta sullo skyline di Parigi una strana malinconia:
quella serie aurea di rettangoli conclusi in due quadrati
da cerimonia, per gli adii al paesaggio
che anche le fichier ne tremble
per un bocca bósca di papier– satan
che libri si diventa.
Concedimi un’aquisgrana segreta di Balbec
dai dentelli ad ali di mosche veramente funzionanti
che sia il giro di una giga di sospiri
prima che dal finestrino sbuchino le centuriazioni agrarie lungo il Po’
o precipiti il pomeriggio davanti al Resegone
o salti sù la Becky con la sua coda alta.
II – Ingranaggi
Ventilare il fianco e dissipare l’equazione fratta di politica incosciente in bonaccia cippa
a cui mal prende, un calmante inconsolato nel memento mori
per offerere una quaresima casalinga di deficit come visibile soverchio.
La carta di debito nel listino regale dà speranza, da girare al domatore estroso, al suo apice polmonare.
Con l’indice di massa che si congratula per il noleggio ideale del socialismo
da lanciare un cenno remissivo, poco, e nei fianchi.
Evoè dalle cinquanta gopi in nuce, uniformare molecole trasgressive non bis in idem.
Sub condicione sù gonna cartesiana ubi deficere scottature al potassio inconsolabile “a lei fu dato del voi da’ Romani”.
Noi invece a dar volta a chi che sia, nella scanalatura fertile, ed imbucare un significato indiscreto da pelle d’oca.
Fac simile dall’inferno greco, imperocchè bisogna imparare dall’ufficiale vittorevole
dalla sua mailing list.
Finalmente uno stivale vizioso in verba magistris per stroncare un ladro serotino trinciato alla dritta.
Gattamente uno sbocco nemico, ancora gettare una giostra ventura ai patres
inquartati in decusse.
Un affresco verniciato perfettamente, una stock option, per cullare il macellaio temuto, fra poco arriverà
quella rosa lunatica dall’andamento grave con parole sciolte a livelli energetici per incorniciare sacre scritture evasive.
Ci attende un collasso foulè solubile in acqua-aria che mira a un rendimento spezzato.
Eccomi inferno ultimato e invadente, al canto del beato, troppo gelo evidente e raro.
Si dovrà scavare nebbia illegale o arricciare l’aereo marino?
O semplicemente trovare un pretendente deleterio cui Imporre la frase scorsa?
Sciaguratamente faina, la compiacente ha quaranta modi di dire per vaccinare grani antelucani.
Terra terra, il sapere radioattivo nazionale impicca la sua abitudine emostatica.
Chissà che nevischio, grande e istruito, mah!, snocciola una decisione tagliente sull’albero di mezzana:
sarà come trafficare sul foyer encrù con un arma brisata e tacitare l’idraulico reciproco
sarà un intenerirsi nella seduta automatica e raccomandare un girasole verbale.
Alleluja, salve esplosivo d’alta marea, che accogli chi che sia pur di educare un fucile famoso e inelegante all’elettronica di potere.
Eppure, al mattino equivalente, la locuzione confonde l’attrice, a torto o a ragione. Amen.
III – Ingranaggi armonici
Un deficit tutto nervo per andare in filo e sublimare l’allegria sovrana
svestirsi di una lacrima scabrosa per crollare nell’operetta al nero analitica
mordersi la lingua nell’imboccatura concava dell’utilizzatore finale sul filo di lana
Il consulente del lavoro intona il terzo ubere di ringraziamento ce ne sbarazziamo a fatica
del suo decotto andante per vivere un credito nasale di rintoppo, gridare all’architrave una buffa ombra.
Detto fatto, un generico ex-voto per sostenere un seccatore raso grammatica.
Egli è una litania comune in guerra civile, dichiarare un palmo natio in latebra.
Intendo dire, essi con una mancia dispari livellano il plurale tipico di fabbrica in riposo.
Amor che muove ’l sole, patire questa consonanza sventata mi adombra.
Con l’orologio analemmatico ci risvegliamo alla mela banale al suo scampolo luminoso.
All’ingiù questo fulmine gioviale stralcia il lombrico dall’indifferente terracotta
Il genius loci è sbarazzarsi della nausea attuale, fa lo stesso ospitare un orlo doloroso.
Nota del lupo: qualcosa sul braciere anatomico rinvia il prosit affranto da etichetta
di discipline umanistiche: innamorarsi delle frottole scritte col lapis ascoltare al contrario un immorale massimo comun divisore.
Come ammogliarsi nella cattedrale nel deserto da sultano, vessare un’esclamazione nella riunione ristretta.
Banda larga finale extra ecclesiam, per dare spago ad un fraseggio impolverato
ad uncinetto volgarizzatore.
IV – Marchingegno per chitarra
Bell’erbe terrene sien vino a tutte e a molti
donne savorose e smanti d’acque, degne più che tuttavia
e bagno e tutto darò per savi acerbi, ismisurata e canti
di primiera, sien capretti miglior che corran caldo e deletti e foderata
e collo nero e di ritorno e franca e re sottile, a tutti li riposi dominati
stomaco largo quasi fosser mani, fornito fermo, mille nervi mesca
e ben ferendo al vero faccia giallo trenta di vostra
bacalari tutti per nidaci pruni e fredda e ben cortese
pettorali volanti spiaccia manti tutti minuta ai guinzagli ‘d’amor
povertà guarnite d’antichi grassi piene, facciate gridator fini e sovrani
aprile pesi ai miglior rotti fuori del consiglio, figlioli!, tutto manda tavolier e pesce
e porci a meriggiar, vaglio d’agli accesi montanini molti e impergola francese
dattili ghiotti frutta costumata consegl’ d’amor per vostra affina parte accesi
pare novembre diêr aspro di Provenza
sia ai varchi amorose in alto e in trenta.
se l’autore aveva qualcosa da dire, direi che il risultato è sconfortante.
se l’autore non aveva qualcosa da dire, direi che il risultato è notevole.
: ))
indipendentemente da cosa l’autore avesse o non avesse da dire, scampoli frattalici di lemmi amletici, riescono di tanto in tanto ad evocare immagini geometriche dotate di squisita omotetia interiore (su tutte il “dapperniente”, le “sottane in diesis”, la “bonaccia cippa”, e il “girasole verbale”).
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Come accade nella poesia di Giancarlo, è un susseguirsi di richiami testuali/esistenziali che converge e si dipana in vie sempre nuove, inaspettatte, al limite a volte dell’inaccessibile. E questo può disorientare se si cerca soprattutto il senso, mentre più facile diventa farsi prendere dal vortice lessicale, da tutte le figure che popolano questo mondo epifanico che mescola il quotidiano con l’alto, in un barocco più introspettivo di quanto possa sembrare a una prima lettura (è poesia da leggere più volte). So che Giancarlo è un cultore di Claudia Ruggeri, e quel “Dai!/ concedimi un clamore da gattopalco” me la ricorda – non a caso ‘Comedia’ che più che ‘minore’, preferisce i ‘diesis’, l’alterazione, con quei tocchi medievali (a cominciare dalla ramogna) sì cari alla Ruggeri, ma qui sa più di latino ‘l’aereo marino’. Poesia da declamare, che la pagina/il post fa fatica a contenere.
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