Plinio Perilli: La Bohème romana di Valentino Zeichen

Oh Valentino sempre vestito di nuovo: poeta “dandy”, fascinoso – bello e “quasi” dannato; quasi, per fortuna, giacché autoironico e spiritoso (virtù sempre più rara). Stiamo parlando della vita e dell’opera di Valentino Zeichen (Fiume 1938 – Roma 2016), amico caro, poeta di successo, elegante e tagliente, che ci ha lasciato a luglio con dignitoso clamore, come suo solito…

“Beffardo” – così Valerio Magrelli aggettiva il suo stile di uomo e di autore: “La sua poesia si colloca nel segno del sarcasmo”, del tiro mancino, “anche in senso calcistico”… E rievoca il vero e proprio calcio di punizione della sua opera prima: “Apparsa nel 1974, Area di rigore si opponeva alla neovanguardia e alle sue ‘feste del significante’, per proclamare la riscoperta di uno spazio in cui la letteratura potesse esercitare il proprio magistero all’insegna della precisione, dell’argomentazione e dell’arguzia”. “Io credo di aver mutuato la teorizzazione del Gruppo ’63, su cui ho compiuto un’operazione.” – confessava Zeichen già nell’82 al comune e più giovane amico Marco Palladini – “Mi sono, cioè, servito dei linguaggi tecnologici, usando tuttavia delle modalità non naturalistiche, perché essi non risultano adattabili, pieghevoli, ma ostili. Ho così cercato di metaforizzarli attraverso l’ironia e il gioco. Per riuscirvi occorre, però, avere un alto senso acrobatico, perché bisogna abbassarne l’espressività effettistica”…

“Amici, / sparlando di me nei giorni / non siate affrettati / coniugandomi a verbi del passato / ma dosatemi con risparmio / all’indicativo presente”… irrideva a futura memoria già nell’83, autocelebrandosi in Pagine di gloria (e in certe ultime foto carpitegli da Eric Toccaceli, quasi s’atteggiava ad obliante condottiero filosofo, pensoso imperatore romano, stratega dello Scibile)… Gli amici quando sono veri, tutti fraterni e filiali – forse perché è col Padre, della nostra vita e della Storia, del Cielo e della Terra, che veramente occorreva fare i conti: “La sua camera da letto evocava / un microemporio o stiva di nave / da carico alla rinfusa; / troneggiava una scrivania / con le zampe da satiro, / piena di buste di semi.”…

Un padre giardiniere, ripetiamo, il suo, scettico e classificatorio; una madre mortagli troppo presto; poi una matrigna che non lo amò. Ergo, un’adolescenza difficile, terminata in un reclusorio minorile: ecco la sua educazione o mal du siècle, che pure dopo cento lavori ed escamotage lo portò “batte botte” alla poesia, col buzzo buono d’uno strano, replicato similCampana del suo tempo; ma questa volta, anarchico e compìto: “Il saggio sentenzia: / in tempi di crisi / le cose si fanno ribelli e / non corrispondono alle parole, / al pari dei colori naturali / non attaccano sulla tela.”

Nel pubblico che è il privato, la sua dimensione più cara era l’affetto, e il rito, dell’amicizia. Conversevole, conviviale, il fascino dello stare insieme egualmente alla buona tavola e con i più gustosi discorsi: assortiti e liberi, feroci o autoironici allo stesso modo… Munifiche eppure semplici dimore borghesi (penso alle inesauribili occasioni d’incontro, ai veri e proprio dialoghi neoplatonici messi in scena, fra ottimi piatti e buoni vini, a casa dell’astrofisico Daniele Bollea, o del critico teatrale Nico Garrone…) Ma adesso recuperiamo in dissolvenza incrociata anche memorabili, rustiche cenette estive (o situation comedy) all’aperto, presso la sua casupola bohémien di Borghetto Flaminio (attenzione: tutt’altro che baracca pasoliniana!), su un tavolo da giardino rimediato, di fortuna, e con questo rito collettivo d’una reboante pastasciutta degna delle mitiche sortite neorealiste alla Rossellini… Non c’era l’indimenticabile, impennata e bizzosa Magnani, giù pronta ad essere sostituita nel talamo e nello schermo dalla fulgida Bergman; c’era la fidanzata storica, Mireille, c’era l’amico di sempre Franco Cordelli, c’era Luca Archibugi, Claudio Damiani; c’erano commensali degni di quella semplicità e se vogliamo culto, ameno e loico cameratismo della Scrittura… Spaghetti e querelles ben condite!

Carnevale del Nulla – era il suo stigma, la sua admonitio. Dove Bachtin, od ogni qualsivoglia “formalista” russo (ma anche Wittgenstein con la sua idealità logica), come il Paradiso del celebre film, potevano celestialmente attendere… Giacché noi abbiamo un denso Nulla polifonico da filosofare, omeopatizzare – e la carnevalizzazione del mondo da gestire quale esoso accidente e cupa risultanza post-postmoderna, da infausta globalizzazione universale, da apocalisse sempre in atto e in progress, di refrain in dissonanza: quasi un’immensa Expo planetaria tra merci e batteri, anime ahinoi, in OGM…

Organismo Geneticamente Modificato Valentino considerava, e giustamente, un po’ tutta la poesia sopravvissuta, ancorché praticabile, corteggiabile, spendibile più come merce che come spirito… E lui che scrisse e amò il teatro (cui donò alcune pièces che andrebbero recuperate, e innamorarono un regista e amico come Giancarlo Nanni), fece insomma teatro della pagina, palcoscenico della vita… In nome e culto profondo della Realtà teorizzò tutto, perfino il DNA di cui c’ispiriamo… L’assurdo di Valentino non aspettava più Godot, ne clonava i cromosomi versificati… X e Y ad libitum… Andava anzi lui a trovarlo, bussava alla porta della sua inesistenza: “Il tempo è in pace con l’immoto.”

L’Amore… oh, l’amore no, è sempre movimento e regale inquietudine. E non proclama leggi, ma ci dona poesia, la vera poesia per Se Stessa, figlia adorata e insieme inopinata (come la sua Marta – conforto grande e puro della sua sempre agile, giovanile ma incombente “senilità), donatagli, come sempre fa l’amore, per il coraggio e l’indipendenza, la cieca fede di vita d’una (di ogni) donna.

“Ma non c’è nessuna poesia in questi giorni?” gli chiedeva Minore andandolo a trovare presso l’istituto riabilitativo romano Santa Lucia. E Valentino lì in carrozzella, “paralizzato da un braccio e da una gamba”, gli parlava rapito di questa nuova poesia solo ancora immaginata: “Versi che hanno molto a che fare con la mistica, con la fede che, attraverso i miracoli riesce a riattaccare pezzi del corpo. Ma anche con la scienza, invisibile come la mistica, che ha la stessa vocazione a riattivare i pezzi sparsi.”

A un Dio sconosciuto, romanzava Steinbeck: ma il Dio che ci conosce e ci aiuta a vivere, e forse riesce a dare un senso ad una morte più radiosa, lieta di smarrirsi in quella luce che abbiamo cercato e amato sempre, possedendola al buio – “Lux” come corpo d’amore, parola che finalmente può tacersi e resta scritta, condivisa, scambiata come carezza e bacio, emozione; i segreti e le bugie di ogni inizio. Come un’eterna giovinezza celebrata, ricordata nell’“Ostello di Lerici”: “Di guardia al cielo, miravamo alle stelle cadenti / collimando sul mirino di un amabile profilo / il tiro a segno del desiderio.”

Plinio Perilli

 

Da ascoltare su Radio 3:

http://www.passioni.rai.it/dl/portaleRadio/media/ContentItem-7c21aff5-a91e-4e84-9667-38566113315b.html

 


3 risposte a "Plinio Perilli: La Bohème romana di Valentino Zeichen"

  1. LA MERAVIGLIA

    Nel mezzogiorno biologico
    vedo la morte scomposta
    autopsia maledetta
    al corpo di mia madre.
    Il volto stampato su seni
    mani succhiate da piedi
    teste al posto di cuori
    bocche forse di visi
    con crostacei velenosi
    avvolti in seta verde.
    Allo specchio dell’aria
    mi vedo teschio di spillo
    sul mio collo.
    Estranee mani scavano alacremente
    negli specchi
    lo spazio riflesso nel vuoto,
    le sedie battono la scogliera
    tavoli sputano sangue
    muri sudano cervelli
    al riso sconnesso di mia madre.

    da Valentino Zeichen, “Area di rigore” (1974).

    "Mi piace"

  2. A EVELINA, MIA MADRE

    Dove saranno finiti
    la veduta marina,
    il secchiello e la paletta,
    e i granelli di sabbia
    che l’istantaneo prodigio
    tramutò in attimi fuggenti
    travisandoli dal nulla
    in un altro nulla?
    Dove sarà finito l’ovale
    di mia madre
    che fu il suo volto e
    che il tempo ha reso medaglia?
    Perchè non mi sfiora più
    Con le sue labbra,
    Dove sarà volato quel soffio
    che raffredava la
    mia minestrina?
    Dove le impronte di quel
    lesto e disordinato
    sparire delle cose?
    In quale prigione di numeri
    è rinchiuso il tempo?
    Rispondimi! Dolore sapiente,
    autorità senza voce.

    Valentino Zeichen

    "Mi piace"

  3. “stasera sono ispirato, ma mica sempre è così”, eh, adorabile il poeta efficiente, Valentino Zeichen, mentre fa il verso al colletto e appiana grinze e onde di camicia attorno allo stretto di Hormuz. la poesia è così, a volte stira un indumento, a volte stira i neuroni finendo per sgomentare l’ammiratore di paesaggi. un regalo molto gradito questo post indicativo presente (e davvero notevoli sia il “soffio sulla minestrina” allegato da Flavio Almerighi sia i “tavoli che sputano sangue” allegati da Abele.

    "Mi piace"

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...