Roberta De Luca: Ad occhi chiusi. L’amore ai tempi della scuola

Ad occhi chiusi. L’amore ai tempi della scuola

A scuola non mancano le occasioni per parlare dell’amore, ma stavolta il pretesto è particolare. Un piccolo certamen tra i miei studenti, una traduzione del carme 51 di Catullo meglio noto come il canto della gelosia, ci ha portato su un ragionamento antico quanto il mondo, intorno al tema tra arte e poesia. Dalla discussione in classe è emersa una linea su tutte le altre: l’amore si configura, nell’arte e nella letteratura, come un fatto ideale e immaginifico, che coinvolge la persona nei suoi risvolti più profondi e nel desiderio – tanto forte nell’animo, quanto improbabile nella sua realizzazione – di raggiungere la felicità. L’essere innamorati è una condizione della mente e dei sensi, che solo in apparenza è proiettata sulla persona amata; la questione infatti riguarda esclusivamente l’individuo. Chi ama cerca una dimensione ideale, vuole  raggiungere il piacere, e non può farlo attraverso vie di mezzo: deve poter arrivare al paradiso, altrimenti, sprofonderà all’inferno. Questa seconda opzione, a quanto pare, risulta quasi fatale. Il concetto di amore di cui si parla è nato con la lirica soggettiva. In Catullo il sentimento si fa libero da vincoli di ogni tipo, eccetto il legame tutto interno del foedus amoris, diventa il senso stesso del vivere e del comporre, invadendo in modo totalizzante l’esistenza, e infrangendosi sugli scogli della normalità (i tradimenti di Lesbia). Nel celeberrimo distico dell’Odi et amo, l’elemento che più segna chi legge e chi scrive è quell’excrucior finale, ovvero la lacerazione profonda dell’io che il poeta non può evitare, nonostante  veda con chiarezza la croce che condiziona la sua vita (il chiasmo che permea tutto il breve testo è habitus mentale, prima che stilistico). L’immagine della morte, nel binomio indissolubile e imprescindibile fin dalle scaturigini, la dice lunga sull’assolutezza di un sentimento che si consuma nelle sue altissime aspettative, e che riguarda solo e soltanto l’io nella sua ricerca di impossibile infinito.

L’amore è legato ad un’idea di libertà totale che non prevede mai il confronto con la realtà, che non si misura con la monotonia della vita quotidiana, fatta di limiti, di fastidi, e del giogo da condividere e sopportare con il coniuge; non accetta impegni, rinunce e gravezza, richiesti da un rapporto reale. Di questo vincolo avranno avuto paura gli adulteri Paolo e Francesca, finiti all’inferno per un bacio appassionato, nato, guarda un po’, da storie di amanti di carta; Paolo e Francesca, morti due volte, dannati per un paradosso: il loro amore ideale era stato troppo terreno e concreto rispetto alla visione dantesca della felicità, cui solo un sentimento sublimato per una donna-angelo può condurre.

E finalmente Leopardi. Presente dall’inizio nel nostro discorso ma rimasto finora sottotraccia, con la sua lucidità corrosiva, in Amore e Morte, definisce l’amore il piacere maggiore e risolve una volta per tutte la questione: maggiore, appunto,  non infinito. Purtroppo solo il piacere infinito porta alla felicità, e l’infinito non esiste, se non nell’immaginazione. Quando tocca la realtà, l’amore diventa estremo inganno e pone l’uomo di fronte alla vanità del tutto (A se stesso). Per questo gli Amanti di Magritte si baciano con la testa completamente avvolta da un panno: meglio non guardarsi, altrimenti lo spazio ne risulterebbe limitato, la fine dell’illusione sarebbe visibile; meglio immaginarsi misteriosi ed infiniti, ad occhi chiusi.

Dimenticavo il certamen. Della giuria del piccolo concorso di traduzione poetica, hanno fatto parte Abele Longo e Pasquale Vitagliano, che ringrazio, e il premio assegnato al vincitore è stato L’amore ai tempi del colera di Marquez, storia che insinua in noi un dubbio, proprio ora che sembravamo discretamente convinti della nostra ipotesi. Forse l’Amore non è solo il prodotto della Psiche, ma un sogno che anche la vita reale può rendere immortale, e, infine, realizzare. Basta saper attendere.
Roberta De Luca


4 risposte a "Roberta De Luca: Ad occhi chiusi. L’amore ai tempi della scuola"

  1. Un’esperienza molto bella, Roberta. Nelle traduzioni dei tuoi studenti – molto bravi devo dire – ho ritrovato me stesso ai tempi del liceo, in cui ho amato, perdutamente, la poesia di Catullo, poesia senza tempo e sempre attuale. Uno che non si è perso in fronzoli, il Nostro. E’ andato fino in fondo nelle sue lacerazioni e macerazioni (come lo capivamo!), senza smarrire la consapevolezza di quella che chiami “la croce che condiziona la vita”. Come continuo a dirti, fortunati i tuoi studenti! Da riproporre il certamen 🙂

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  2. Abele, io ringrazio te e Pasquale per aver risposto alla mia chiamata, con la sensibilità, la generositá e la cura dei poeti. E ti ringrazio per aver donato ai miei ragazzi l’antologia Pugliamondo. Per loro è stata un’esperienza davvero unica. Ciao

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  3. chissà se i ragazzi si rendono conto di quanto sono fortunati ad avere Roberta come insegnante. nonostante qualche vetustà lessicale (ad esempio, “certamen” in vece del più cosmopolita et féisbucchiano “contest”, eheheh), dove la trovano un’altra che dimostri un così grande amore per la scuola, ai tempi del colera?
    : )
    aggiungo due brevi notazioni da nano malefico. la prima è che parlando d’amore (e parafrasando Bierce), s’impone una netta distinzione tra amore platonico e amore carnale. l’amore platonico è l’astrazione mentale che definisce l’attrazione reciproca tra un’impotenza e una frigidità. per contro, l’amore carnale è l’astrazione mentale che definisce la libertà di essere schiavi dei propri orgasmi.
    la seconda notazione è che ho in corso un esperimento di laboratorio da oltre vent’anni e i dati finora raccolti dimostrano che amare non è solo una dimensione ideale
    : ))
    ps: Catullo è un vero mito, per me (il V° carme è addirittura l’incipit de “il puromanzo”).

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