IL RAGAZZO LUMINOSO E INFELICE
Un romanzo che è denuncia e cronaca
d’un immenso “caso” mass-mediatico,
nonché, insieme, d’un doloroso e spasmodico
evento musicale, ritualizzazione social, ma anche
d’un doloroso rito sacrificale all’universo
globalizzato, interconnesso, libero e solfeggiante…
Certi libri – belli e insieme importanti – meritano recensioni belle,
e le vorremmo anche, egualmente, importanti… L’ultimo romanzo di Margherita Cucco (Torino, 1954), scrittrice assai abile nel romanzo storico (da ricordare le fiere, primigenie gesta di “Esca il britanno”, uscito nel 2015), ma versata comunque nel narrarci storie rapinose, calzanti nel ritmo e azzeccate nei personaggi (nel 2017 fece uscire un poliziesco-storico come Tilde e il violinista, che ci aveva ricordato certe storie struggenti e umbratili del miglior Arpino), è uno di quei libri che esce subito da ogni nozione o preconcetto di genere, categoria qualsivoglia… Diventando per davvero una meditazione, fervida e parallela, sul doloroso mistero della vita in atto – una giovane vita tanto estrosa e talentuosa quanto fragile, problematica, destinata a perdersi…
Stiamo parlando de Il ragazzo luminoso (Robin Edizioni, Torino, 2018, pp. 216) capace di investigare e sviscerare dall’interno, in modo ardentemente creativo, un grosso, planetario caso di cronaca musicale, e in fondo, molto di più, di filosofia del costume, inesplicabile realtà giovanile: sogni e bisogni di un’ultimissima generazione che noi, fin troppo adulti, spesso non riusciamo proprio a capire…
Di cosa è stato vittima TIM BERGLING, in arte “Avicii”, universalmente noto come dj e musicista da sballo di “progressive house” o “electro house”, fino a quel fatale 20 aprile 2018 in cui le agenzie di tutto il mondo diffusero la notizia delle sua morte (un suicidio?… si vociferò insistentemente).
Margherita Cucco entra dolcemente, docilmente in scena come un’amica, una collaboratrice (nella fattispecie, Dagmar Bruckner, tedesca della ex DDR trapiantata negli USA, e che all’inizio, all’epoca del loro primo contatto di lavoro, nemmeno sapeva chi fosse, l’illustre amatissimo Avicii); ma presto ne diventa, e dal profondo, come una sorella innamorata, forse addirittura una mamma, disperata di non poterlo aiutare, aiutare meglio… Aiutarlo a salvarsi, a domare il mostro del successo, e liberarsi dal drago del business, questo ragazzo svedese nato a Stoccolma nell’anno stesso della caduta del Muro (il 1989 del nuovo siamo tutti berlinesi), e catapultato, attraverso i canali della musica elettronica, le collaborazioni con i Coldplay, Robbie Williams, Lenny Kravitz, Rita Ora, la stessa Madonna e tanti altri big, verso una notorietà strepitosamente mondiale – ma presto deflagrante…
“Quindi suppongo che non conoscerai neppure Avicii?”
“No, chi è?”
“Il dj attualmente più famoso e più pagato al mondo; tiene spettacoli in tutto il pianeta, davanti a folle di giovani esaltati… Non credere che io me ne interessi, ma sai com’è, quando si hanno dei figli adolescenti: mia figlia lo adora e lo nomina spesso, perciò sono così ben informato.”
Un libro secco, ispirato, pieno di luce e terribilità, accelerazione e nemesi stessa del moderno… Pieno anche di un esistenzialismo tarato della Giovinezza che noi troppo non osserviamo, a volte, perché glissiamo, lo diamo per scontato, in fondo ci diverte: ma è stato lo stesso dei giovani Hemingway e Fitzgerald, poi dei Kerouac e Ginsberg, in Europa dei Sartre e Camus… Degli Osborne, dei Pinter… etc.
Esistenzialisti, arrabbiati, varie generazioni perdute, ondate o maree beat, rock, quant’altro… Apparentemente, cosa cambia, in fondo, se alle parole e al romanzo, o al cupo fondale infausto della nostra Storia (che con Avicii non è nemmeno più corretto dire occidentale, visto che egli era amato, osannato davvero nel mondo intero, e teneva affollatissimi concerti in tutti i continenti), si sostituisce un’ossessiva campionatura musicale, una paradossale e ritmata musica elettronica?
Lo sballo dello sballo, la sua irredimibile colonna sonora…
Oh, “L’insostenibile leggerezza dell’essere” è diventata troppo,
troppo pesante… Cupa di mille abbagli giganteschi e rotanti; metallica
come di una rapinosa melodia spaziale, un vortice interstellare che frantuma ogni pace galattica, ogni ipotizzabile, da sempre inseguita pacificazione interiore…
Prendiamo a esempio un testo come True Believer:
Non sono sempre stato il più brillante
finché non ho imparato come ballare
Mi hai fatto pensare
L’amore arriverà in ogni parte, ma tu
Non mi dai mai una possibilità
Io potrei non essere stato il più alto
Finchè non ho imparato come si salta
Mi hai fatto pensare
L’amore arriverà in ogni parte
Ma tu, non dici mai che io sono l’unico
Se io potessi farti
Farti innamorare di me
Se io potessi farti
Farti innamorare
mi piacerebbe farti
Farti, farti innamorare di me
Forse l’amore arriverà in ogni parte
Se lo vuoi abbastanza
…………………………………………………..
Semplice, ritmata canzone d’amore, o in qualche modo già rivelatrice di un qualcosa di più? Un malessere che è voglia estrema di uscire… dagli estremi del nulla, dalla nullificazione e cosificazione contemporanea, dal nichilismo congenito, oh, sì, progredito e ipertecnologico, che a volte si accontenta di luci, suoni, oggetti, cose, ritmo, cadenza, vitalità, insomma dei regni infiniti del superfluo… per nascondere la semplice e madornale, mortifera mancanza di amore?!…
*******
Sconvolgente, dunque, il caso di AVICII (alias Tim Bergling), che anima, sommuove il libro, e con una tale forza e giustezza rappresentativa, da consentirci già quasi di assistere al film “narrato” (eppure, inenarrabile) della sua vicenda. Che è storia di un eccesso e forse romanzo di tutti gli eccessi, dunque parabola, ascesa e caduta di un’eccessiva, in un certo senso della massima Vittima sacrificale della Giovinezza quando è e resta solo spasmodica febbre collettiva (cioè, insieme, individualistica all’ennesima potenza) di nuova musica e ritmo, sballo e spettacolarizzazione accelerata, esagitata dell’oltre che è deflagrante voglia di fuga, ansia e desiderio e paura stessa del Futuro in atto…
Tornano in mente – quasi a specchio di questa ineffabile deriva tra eterno male di vivere e inquieto, transeunte spirito del tempo, certe acute riflessioni di Emanuele Severino su Leopardi e la sua ricca, macerata coscienza della contraddizione autentica del nichilismo…
“… D’altra parte, il pensiero di Leopardi tende ad avvicinare al massimo la nullità delle cose alla coscienza di essa, e quindi la contraddizione che compete alla coscienza di tale nullità, cioè alla coscienza del divenire delle cose, tende a trasformarsi in contraddizione del divenire…”
(Emanuele Severino, Cosa arcana e stupenda. L’Occidente e Leopardi)
Cosa c’entrino ora i marasmi e i naufragi esistenziali, gnoseologici di Leopardi con la deriva permanente e pulsante, impasticcata, alterata e amplificata di questo povero, arcinoto ragazzo di Stoccolma idolatrato dalle folle dei suoi stessi coetanei dell’intero pianeta (secondo Forbes, nel 2014 aveva guadagnato 28 milioni di dollari, ed era così diventato “il dj più pagato del mondo”), è difficile a dirsi… Ma è lui stesso a dircelo, a lanciare un suo perenne S.O.S… il cantilenato e presto melodico, “arrangiato” grido d’aiuto di chi scopre con paura e raccapriccio di essersi perso, irrimediabilmente perso… peggio di un astronauta nello spazio…
So wake me up when it’s all over
When I’m wiser and I’m older
All this time, I was finding myself, and I
Didn’t know I was lost
…………………………………………….
Svegliatemi quando sarà tutto finito
Quando sarò più saggio e più vecchio
Tutto questo tempo, stavo cercando me stesso, ed io
Non sapevo che mi ero perso
………………………………………………….
Margherita Cucco, scrittrice, ripetiamo, sempre abile e risolta, sia nelle pieghe migliori di un “modernizzato” romanzo storico (l’attualissimo “Esca il Britanno”, ambientato ai tempi del Vallo d’Adriano…), ma anche agile narratrice delle ombre e luci della contemporaneità, trova oggi con Il ragazzo luminoso il suo libro migliore, ispirato e necessario, sconvolgente, a tratti, per la sua ineffabile e sapiente capacità di raccontare un mondo, uno smottamento, un’agonia tutta e inesorabilmente contemporanea…
“Già, i testi sono troppo tetri, il ritmo non è adatto al ballo, ci sono le contaminazioni fra i generi… ma io sono un musicista, voglio poter comporre liberamente la mia musica, e magari mescolare anche quattro generi diversi, e dire quello che voglio dire, e quei muri, quelle pareti che ti dicevo, le voglio abbattere, e ci riuscirò, in un modo o nell’altro!”
Lo ascoltavo incredula e affascinata: il ragazzo timido e fragile era scomparso, e al suo posto c’era un guerriero vichingo dagli occhi lampeggianti, pronto ad abbattere con la sua ascia i muri che ostacolavano il libero espandersi della sua creatività. Esplosi in una specie di applauso, esclamando: “Bravo! Hai assolutamente ragione! Fa’ vedere a questi americani di che cosa è capace un compositore europeo!“.
Il dramma vero di Avicii è che per raggiungerlo, questo agognato – e all’inizio giocato – successo, aveva realmente dovuto forzare la sua natura, diventare forse davvero un altro, l’Altro da Sé identico al proprio sogno o mito sognato, che purtroppo voleva e sempre vuole la gente, in particolare la gran massa rutilante, entusiasta e in ballo/sballo dei Giovani…
“… Per anni mi sono raccontato che mi piaceva, perché dovevo farmelo piacere, ma non è vero, capisci? Io non ho mai voluto stare lassù, davanti a tutta quella gente, per me è una tortura, e anche tu mi hai detto che posso cercare di modificare un po’ il mio carattere, ma che non devo snaturarmi per cercare di essere quello che non sono. Io non ho mai fatto altro, in questi anni, che forzare la mia natura, e per ottenere questo risultato mi sono quasi ucciso, e se continuo mi ucciderò davvero… non voglio più usare né alcolici, né farmaci, ma se non li uso… Tu non hai mai sofferto di ansia, di attacchi di panico?”…
Avicii – che strano, arcano soprannome, peraltro… Scelto così, un po’ per gioco, un po’ perché era l’unico disponibile e libero sul web. Con il baldo Tim, scandinavo, svedese in genìa, in DNA profondo, che s’ammanta di fantasie sanscrite, paludamenti o fervori vedici, tardo-indiani sacrali e filosofici, per trovare un nome gustoso, brioso, per essere insomma chattato e invocato, sentito e risentito (presentito?) ovunque, da un meridiano all’altro del pianeta, forse – certo, anzi – fra i paralleli, i gangli astrali dell’anima…
Chattato da chi poi neanche lo sapeva, che Avīci, in sanscrito, significa letteralmente senza onde, e nel buddismo rappresenta l’ultimo livello dell’Inferno: quasi un “Malebolge” in terra di Svezia… o meglio un nono cerchio, il punto più basso dell’Inferno dantesco, nella zona detta Caina, con i dannati imprigionati nel ghiaccio di Cocito fino a metà del volto, con il capo rivolto in basso…
Avicii che già nel 2014 aveva subito l’asportazione della cistifellea e dell’appendice, dopo aver sofferto di pancreatite acuta, causata e acuita dall’abuso di alcool…
“… L’ultimo spettacolo, com’era logico, si tenne a Ibiza,” – e Margherita, con la sua misura e bravura, quasi ci consente di esserci, anche noi lì mischiati a tutti gli altri, gli infebbrati fans dell’Io C’Ero – “nel luogo incantato e maledetto in cui un adolescente inesperto e indifeso aveva imparato a bere per non sfigurare alle feste, aveva conosciuto quel vortice di vuota allegria che era l’estate dell’isola e si era convinto che gli piacesse, mentre nel profondo del suo essere provava paura e solitudine e desiderio di trovarsi ben lontano da lì.”…
La morale, se c’è, è una morale dei grandi – da grandi che non un banale senso di colpa, ma una riapertura, illuminazione profonda, rende finalmente partecipi, consci, avvertiti e allarmati, dell’immensa bomba di malessere, struggimento, sballo potenziale, ineludibile, dei nuovi ragazzi: tutti i vispi, vividi millennials che sembrano o sembrerebbero felici, risolti, connessi e interconnessi… e invece non lo sono affatto – o meglio, loro hanno (quasi) tutto ma soffrono in fondo ben più di prima, perché non gli resta niente, e il benessere li sta tarlando, avariando… Perché hanno smesso di credere davvero a se stessi, e soprattutto al mondo che li circonda, li schiaccia e li insidia con le sue (il)logiche, leggi, bassezze, miserie, illusioni, sperequazioni…
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Per la cronaca mass-mediatica – o meglio gli annali già impolverati della c.d. sociologia della letteratura – quand’è che si era smesso di occuparci davvero del destino e della sorte (mentale, immaginativa, esistenziale) dei Nuovi Giovani?… Quelli a cui tante, troppe TV (o giornali e giornalastri) dedicano articoli e trasmissioni, fingendosene Amici, colonizzandoli nella mente nel corpo e nel cuore. Forse col solo fine di alzare, aizzare, accattivarsi i sempre fedifraghi indici di ascolto…
Altro che Moda, Mode – e altre variabili, ignominiose o splendide splendenti che siano. Chiediamocelo: la società dov’era? E la scuola? Le famiglie allargate?… Il progressismo che per contare e valere sul serio, deve rendere, fare cassa…
Perché più non bastano neanche i vampireschi miti del Web, le sirene voraci dell’informatica, le Disneyland digitali… Quando il contraltare – lo ripetiamo, e questa è forse, la inventiamo adesso, la vera sindrome di Avicii! – è un’immensa voglia, ma anche carenza, mancanza e urgenza d’Amore:
L’amore arriverà in ogni parte
magari l’amore arriverà intorno, per noi
Non sono sempre stato il più coraggioso
Loro dicono che si vive una sola volta
Quindi, tu mi hai fatto pensare
Sono così felice di averti incontrata
La vita è ciò che tu la rendi
Così ecco che va e viene
Avicii era tutto questo e molto, molto di più. Ben oltre i suoi testi, il suo percorso espressivo, il suo strumento catalizzatore e fantasioso: che era poi semplicemente un campionatore, un sintetizzatore, una tastiera e un mixer… Dare voce alla musica, ritmo alla voce, musica perfino al silenzio…
Ma torniamo ora su uno dei suoi brani più noti, il già citato Wake me up, il vero pezzo della “svolta” per Avicii, pubblicato il 17 giugno del 2013 da Prmd Music e da Island Records: ed è stato il primo singolo del suo primo album “True”. La canzone ha raggiunto il vertice delle classifiche in tantissimi paesi:
Feeling my way through the darkness
Guided by a beating heart
I can’t tell where the journey will end
But I know where to start
They tell me I’m too young to understand
They say I’m caught up in a dream
Life will pass me by if I don’t open up my eyes
Well, that’s fine by me
So wake me up when it’s all over
When I’m wiser and I’m older
All this time, I was finding myself, and I
Didn’t know I was lost
………………………………………
Sento la mia strada nell’oscurità
Guidato da un cuore che batte
Non posso dire dove il viaggio si concluderà
Ma so da dove iniziare
Mi dicono che sono troppo giovane per capire
Mi dicono che sono intrappolato in un sogno
La vita mi passerà davanti se non apro gli occhi
Beh, a me va bene
Svegliatemi quando sarà tutto finito
Quando sarò più saggio e più vecchio
Tutto questo tempo, stavo cercando me stesso, ed io
Non sapevo che mi ero perso
……………………………………………………………..
Margherita Cucco che è stata una brava insegnante, un’educatrice (e chi lo è stata, lo rimane sempre), ha saputo e potuto scrivere questo libro come un inopinato, errabondo vangelo laico, apocrifo ma – fino alla morte, al golgota informatico ed esistenziale del suo Yoshua 28enne. Un mito sacrificale che a cinque anni in meno del Redentore (e l’Altissimo ci perdoni, già solo per la folle, sciocca similitudine), ha trovato la sua Via Crucis in Oman, a Mascate (il 20 Aprile 2018), nel posto più improbabile ma a questo punto giusto del mondo. Il Golgota d’un Albergo di lusso, a 5 stelle e oltre – ma le uniche stelle vere, sono e viaggiano in cielo…
Giusto perché un perfetto incrocio tra Oriente e Occidente, evoluzione tecnologica e civiltà indoeuropea… destino immanente e transeunte d’un Ragazzo di oggi, diventato fin troppo noto, fin troppo ricco, troppo infelice per continuare a cadenzarla e verseggiarla, l’infelicità, farla cantare a tutti sino a rallegrarsene, trovare una paradossale via di fuga, via d’uscita, speranza di salvezza:
“… mi domandai nuovamente se i suoi (e non intendo solo i familiari, ma gli amici più intimi, un’eventuale ragazza) fossero pienamente consapevoli della sua situazione, delle sue condizioni fisiche in primo luogo, ma soprattutto di quel pericoloso oscillare sull’orlo di un abisso da cui era vertiginosamente attratto; aveva fatto ad altri le confidenze che aveva fatto a me? Sapevano che doveva avere sempre vicino qualcuno che combattesse la sua morbosa attrazione verso il nulla?“…
Un’Oasi intera di Solitudine, un parlamento trasparente di Solitudini, era ed è diventata una duplicata Società delle Nazioni che discetta, dibatte e decide sulle Sorti del Mondo…
È tutto in un fuori/dentro, il segreto – la riuscita di questo libro. Che è anche una parabola, e ci piace dirlo, crederci… E in effetti, chi si è mai occupato della terribile, indicibile solitudine dei ragazzi d’oggi?!
*******
Era dai tempi di Pier Vittorio Tondelli e del suo Week-end post-moderno “Cronache degli Anni Ottanta”, 1990), che non si aveva né la voglia né il coraggio di occuparsi davvero della “nuova spettacolarità”, della “dipendenza o meno dal mondo delle immagini, dei video musicali, della subcultura televisiva, del cinema”… E allora si parlava magari di Meno di zero di Bret Easton Ellis, o degli “intelligenti lettori di Rockstar“, o dei computer comics dei Giovanotti Mondani Meccanici, tutto e tutti tesi a incentivare, fomentare e fumigare “la commistione dei linguaggi, il loro intersecarsi e interagire”…
Molta acqua poi è passata sotto quei ponti, tante e fin troppe onde, o maree e maremoti hanno accarezzato, lambito o squassato quegli scogli, quelle coste, calde o fredde, nordiche o mediterranee, scandinave o indiane, africane e americane, lacustri od oceaniche…
Splende e trema il suo stesso cuore – quello di Avicii – al centro del libro: che è come la roboante e poi implosa, introiettata colonna sonora, almeno in parte, di questi nostri ultimi anni visti dal punto di vista dei ragazzi, dei cuori e corpi e sguardi più giovani:
So wake me up when it’s all over
When I’m wiser and I’m older
All this time, I was finding myself, and I
Didn’t know I was lost
I didn’t know I was lost
I didn’t know I was lost
I didn’t know I was lost
……………..
“... Che cos’hai pensato, Tim, mentre ti dissanguavi, solo ancora una volta, in quella stanza d’albergo in un paese straniero? Che cos’hanno visto i tuoi occhi mentre la vita fuggiva dalle tue vene e la tua luce si stava spegnendo? Hai visto passare davanti a te tutti coloro che ti hanno fatto del male, e tutti quelli che, come me, non ti hanno teso una mano? O sei andato oltre e hai visto un altro mondo, un mondo di pace e di musica dove nessuno ti farà più soffrire e potrai finalmente trovare la serenità che hai tanto cercato? Vedi, io non ho mai creduto all’inferno e al paradiso, ma ora desidero, esigo che ci sia una specie di paradiso per te, è un tuo diritto, perché tu l’inferno lo hai già conosciuto su questa terra.“…
Ci provò già Fellini, nel 1989, col suo ultimo film, a parlare di questa assordante incomunicabilità da megadiscoteche e da E’ una tribù che (s)balla… La voce della luna, indimenticabile sua ultima opera, era anche questo dissidio e questa paura: “Se tutti quanti facessimo un po’ di silenzio, forse potremmo capire”, dice Salvini/Benigni (“un Benigni a metà tra Pinocchio e Leopardi”, chiosa il Mereghetti), dopo che i paesani hanno catturato la Luna, e in paese si è organizzata una ridicola tavola rotonda televisiva…
E poi c’è questa Svezia di oggi – già inferno e paradiso, ancora catechizzata ed esemplata per noi ex-ragazzi del Secondo Novecento sui grandi film di Bergman – che come fece del resto anche due secoli fa, sul finire dell’800 e oltre, quando il suo grande teatro aprì i cuori e i prosceni all’idea stessa del Moderno, riesce oggidì a trovare esempi, significati e significazioni forse più criptici e reconditi, ma egualmente necessari… Pensavamo al cruciale scambio epistolare tra Strindberg e Nietzsche…
E pensiamo oggi al grande successo di una trilogia come Millennium di Stieg Larsson (1954-2004)… O a certi bei film di Lasse Hallström…
Ma anche a un personaggio eccezionale e ancor più recente come Greta Thunberg, la giovanissima 15enne attivista ecologista, affetta da sindrome di Asperger, al suo toccante discorso presso la Conferenza Mondiale sul Clima, per arginare davvero gli odierni, infausti cambiamenti climatici…
“… Voi dite di amare i vostri figli sopra ogni cosa, ma state rubando loro il futuro davanti agli occhi. Finché non vi fermerete a focalizzare cosa deve essere fatto anziché su cosa sia politicamente meglio fare, non c’è alcuna speranza. Non possiamo risolvere una crisi senza trattarla come tale. Noi dobbiamo lasciare i combustibili fossili sotto terra e dobbiamo focalizzarci sull’uguaglianza e se le soluzioni sono impossibili da trovare in questo sistema significa che dobbiamo cambiarlo. Non siamo venuti qui per pregare i leader a occuparsene. Tanto ci avete ignorato in passato e continuerete a ignorarci. Voi non avete più scuse e noi abbiamo poco tempo. Noi siamo qui per farvi sapere che il cambiamento sta arrivando, che vi piaccia o no. Il vero potere appartiene al popolo. Grazie …”
Changing Together, Cambiare Insieme… Questo il sogno di ogni giovane e specialmente di chi – da giovane – ha dato a tutti gli altri stessi suoi coetanei, idee e pensiero, musica e poesia…
Forse l’amore arriverà in ogni parte
Se lo vuoi abbastanza
Luminoso e infelice, questo Ragazzo Luminoso che non c’è più e continua ad esserci, ci insegna con la sua storia – col suo successo ma anche con la sua alienazione, il suo dolore – che crescere davvero significa soprattutto essere liberi, liberi di sbagliare certo, ma anche e in primo luogo di amare, di amarsi, mai soggiacere ai programmi e ai progetti che per noi stabiliscono gli altri, pragmatici manager del soldo e truffaldini agenti dell’anima…
I tried carrying the weight of the world
But I only have two hands
Hope I get the chance to travel the world
But I don’t have any plans
Wish that I could stay forever this young
Not afraid to close my eyes
Life’s a game made for everyone
And love is the prize
……………………………………..
Ho provato a portare da solo il peso del mondo
Ma ho solo due mani
Spero di avere la possibilità di viaggiare per il mondo
Ma non ho nessun piano
Vorrei che potessi rimanere per sempre giovane
Non ho paura di chiudere i miei occhi
La vita è un gioco fatto per tutti
E l’amore è il premio
…………………………………………………….
L’amore è il premio, ma prima bisogna affannarsi – come gli eroi, gli Argonauti di sempre – a rubare e forse rinunciare al Vello d’Oro; bisogna negarsi le sirene, scordare Calipso e tornare ad Itaca; o forse (se invece che al vecchio fulgido Ulisse pensiamo al figlio Telemaco, ad un Tim/Avicii che abbia solo gli anni giovani, e cerchi ancora l’esperienza, la saggezza dei Padri) sposare una nuova e anch’essa eterna Nausicaa o Beatrice alias Greta Thunberg… Sollevandola amorosa con gioia, ma come fosse, Lei intera e Lei sola, insieme il peso e la salvezza del mondo. La gioia luminosa, numinosa di Greta icona globale, le trecce lunghe sotto il berretto di lana: così come gesto e suono e imago finanche inconsci, è stato e continua ad essere il povero Avicii – luminoso e infelice – persosi cercando se stesso, e perché noi, un giorno, potessimo ritrovarcelo dentro, specchiarcisi.
(21 marzo 2019)
Plinio Perilli
Best Of AVICII – AVICII Greatest Hits – AVICII Top Songs
bellissima e appassionata recensione. a tratti inquietante nei contenuti, ma da lodare per astrazione e reazione. purtroppo, com’è evidente, ormai siamo tutti non solum “solitudinari” sed etiam “gretini”. un’involuzione avvolta e (cir)confusa da una gioia luminosa, confezionata in eleganti vaschette salva-freschezza sotto vuoto spinto. ergo, chi meglio di questa colonna sonora da sballo (posticcia nonché posteriormente introiettata) può specchiare e rispecchiare la cosificazione e la mercificazione di atavicii ritmi tribali? “la musica è metafisica in suoni” sostiene zio Arturo… “la musica nutre l’animo” rincara bisnonno Platone… dunque lo specchio cosa diavolo riflette? più che un esistenzialismo della giovinezza, siamo al desistenzialismo dell’eterno bamboccio… ed ecco allora tingersi di sfumature ambigue l’idea che “crescere significa soprattutto essere liberi”. non so… possiamo adoperarci edulcorando il senso e aggiungere: “di amare”, “di amarsi”, “di non soggiacere” o di qualsiasi altro progressismo cosmetico, ma la sostanza resta. ah, la Libertà, prodigiosa astrazione, anima e nerbo portante del bispensiero liberista che ci ha penetrato (e stuprato) in ogni poro…
liberi di abbandonarsi ai capricci, di dire “no”, di sbagliare (e imparare) non dovrebbero essere più che altro i bambini? per contro, alla maturità adulta spetterebbe il duro lavoro di limitare la libertà individuale in parallelo alla presa coscienza delle esistenze altrui e tale relazione/interazione ci arricchisce mentalmente (comunione sociale). non a caso, la storia ci insegna che la specie umana si organizza spontaneamente in *società* civili, dunque tale limitazione/relazione interattiva dev’essere in re ipsa preziosa…
insomma, mentre una volta si insegnava ai bambini a diventare adulti, oggi il mercato abbisogna di adulti che restino eterni piterpàn, che pretendano di essere “sempre giovani” e che agiscano d’istinto, *come fanno i bambini*. la filosofia liberista sponsorizza e persegue la propria ingegneria sociale: una diffusa infantilizzazione dell’homo tecnologicus che fomenti le dipendenze compulsive e la massificazione mediatica (potenziando l’efficacia della narrazione emotiva dei padroni del discorso). in proposito, il filosofo Bernard Stiegler sottolinea come gli specialisti del marketing operino da decenni affinché “i bambini s’identifichino nei loro programmi e noi loro spot, anziché nell’esempio dei genitori e nel percorso educativo scolastico”. e a giudicare dal “caso”/”caos” mediatico di cui Avicii è consustanziale emanazione, l’obiettivo è stato centrato al 100%.
non meno inquietante è l’astrazione integrativa, l’ “Amore” in bella mostra sopra lo scaffale a mo’ di *premio* (hovintoquaccheccosa??), da ritirare alla cassa completando la raccolta di bollini delle prove d’acquisto. eh, quant’è bello il futuro luminoso e infelice che ci attende oltre l’orizzonte dello scaffale: l’immagine è quella di un sole tropicale che insanguina il cielo e tramonta oltre lo stand promozione dei dilatatori Bronzehole, indispensabili per abbronzarsi nel solco tra le chiappe. gesto e suono e imago finanche inconsci.
per chiudere, una doverosa nota farmacologica: neppure l’infelicità del ragazzo luminoso è casuale, ma è un ulteriore obiettivo centrato al 100% se è vero, com’è vero, che la spesa mondiale per gli SSRI ammonta a circa 30 miliardi di dollari e che il mercato dell’infelicità rappresenta quasi il 20% della spesa farmaceutica totale.
è motivo di biasimo affidarsi con speranza alla selezione naturale?
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