Paolo Vincenti: A ogni giorno il suo affanno – Il saputone (3)

Il saputone

Fra gli implumi terrestri, il saputone è uno dei più fastidiosi. Credo che nessuno possa sopportare in cuor suo il saccente, il “tuttosalle”, come veniva definito in passato quello che vuole saperla sempre più lunga di noi e spiegarci tutto. Nessuno lo sopporta, anche se il nostro atteggiamento nei suoi riguardi cambia in base ai caratteri: chi è più paziente, tollerante, disposto all’ascolto, riesce a sorbirsi la broscia che il saccente gli fa inghiottire, chi invece è più intollerante e meno disposto al martirio, non si fa scrupolo di liquidarlo su due piedi appena lo incontra o di mandarlo a cagare, come ogni rompiscatole meriterebbe. I tediosi appesantiscono ogni discussione con il racconto delle loro eroiche gesta, avvelenano il miele di un incontro conviviale con il fiele della loro saccenteria. Ché, il più delle volte, la loro non è cultura, ma solo arido nozionismo. A causa del loro difetto, in un rendez vous campeggiano sugli altri, parlano solo loro, sfiancano gli astanti con talmente tante panzane che, a fine serata, li trovi assisi su quel desco di annoiati, trionfanti e ancora schiumanti nell’orgasmo della propria logorrea. I convitati invece giacciono sulle seggiole riversi, tramortiti dalla gragnola di colpi inferti senza pietà dal cazzone. Succede infatti che chi è davvero colto sia anche schivo, non riesca a farsi avanti, sicché il sapientone continua con la sua sicumera a martellare i coglioni di quei pochi che non sono riusciti a svignarsela per tempo. Chi è davvero colto conosce la dote della discrezione e sarà impossibile vederlo abbassarsi al livello del sapientone. Chi molto sa, poco mostra, e non sgomita per farsi largo, non giustappone l’apparire all’essere, non scalmana per dimostrare. È certo, l’arte del conversare non è prerogativa di tutti, certe volte nemmeno degli uomini saggi e misurati, figurarsi dei pedanti. Ci vuole mestiere, garbo e raffinatezza, nel condurre una conversazione mantenendola nei confini di una “impegnata leggerezza”, del buon gusto. E difatti sono stati scritti vari trattati in materia. Quando per somma ingiuria della sorte, incontro qualcuno di questi maledetti logorroici in qualche luogo di convegno sociale, come il bar, l’edicola, il supermercato, cerco di darmela a gambe, esecrando la scarogna, ma spesso quel cane rabbioso mi rincorre e mi assale e allora non c’è modo di svincolarmi dalla sua filippica. Che inopportuni parolai, questi vecchi tromboni. Quando non sono fluviali, inarrestabili, sono sentenziosi. Comunque sono da evitare.

PAOLO VINCENTI


7 risposte a "Paolo Vincenti: A ogni giorno il suo affanno – Il saputone (3)"

  1. Spassosissimo identikit, Paolo. Ne vengono in mente tanti, naturalmente, di questi figuri; con la speranza in cuor proprio di non essere passato per tale agli occhi di qualcun altro (molto probabile del resto – nel mio caso mi auguro che la mia sana timidezza di fondo mi abbia un po’ salvato :-).

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  2. sì, lo so purtroppo abele. infatti, ho scritto in premessa che ognuno di noi può mettere un nome e cognome sopra questi personaggi. un nome e cognome dico, se è fortunato, altrimenti ne può mettere a bizzeffe di nomi e cognomi…

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  3. Purtroppo accade che la loro superbia attanagli chi per sensibilità si faccia fregare e resti infangato nei loro monologhi. Ma, Paolo ingegnosamente, hai racchiuso in meno di un trattato e di un libro, le motivazioni per non dargli adito e dunque per comportarsi senza remore con un chissenefrega finale interiore al se sarò stata sgarbata nel chiudere la comunicazione indesiderata.
    Davvero grazie perché saprò cosa fare senza contraccolpi di sensi avventati di colpa.
    E questo discernimento lo userò per ogni informazione..
    Monica Baldini

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  4. Ho adorato ogni parola, frase, concetto che si è riversato in questo testo, caro Paolo.
    In meno di un libro, di un saggio, di un trattato sul monologo, ho colto davvero una lezione da mettere a frutto.
    L’arte di evitare i sapientoni senza sentirsi amaramente in colpa per aver troncato loro il discorso o aver loro mozzato la vanagloria di uno sfiancante dibattito fine a sé stesso.
    Con un liberatorio chissenefrega so di potermene andare senza che la mia coscienza macchiata da un forsennato senso del dovere possa ribellarsi e lacerarmi di prigionie ingiuriose sulla mia maleducazione paventata da bocce anch’esse di sapientoni.
    Ahimè, come tutto torna nel circo della vita e si chiude con una libertà che se cercata, viene anche conquistata e poi goduta estirpando inutili agonie e perdite di tempo.
    Grazie di cuore Paolo, sarai nei mie pensieri più ricorrenti. Anche perché hai aumentato la mia autostima facendomi sentire degna di non dare adito a chi, con finta saccenza, si maschera da sapiente, fosse anche uno di quei soliti parenti che vantano e calpestano pur di gloriarsi.
    Monica

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  5. ma figurati monica, per così poco. e io che penso sempre, dopo aver scritto certi testi fra il satirico e il surreale, di avere qualche rotella fuori posto.. invece poi, trovo condivisioni. A questo punto mi permetto di darti appuntamento alla prossima maschera, che è il politico di paese.

    piccolo n.b. per Abele: al secondo rigo v’è un refuso: la versione corretta è “tuttosalle”, con due elle, che è un fiorentinismo, ed è così che Giovanni Papini ne “La spia del mondo” (Vallecchi 1955) definisce il saccente.

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