Abele Longo: Lungo la Domitiana (a Giovanni Izzo)

by Giovanni Izzo

Lungo la Domitiana
(a Giovanni Izzo)

 
 

La luce pervade la carta
nella camera oscura

banchettano con le bambine
arrivate dal Ghana
 
calcinacci in mare spranghe siringhe
diveltano il dolore

esplode sotto i piedi del lenone
che calcia un barattolo per strada

chimici nella bacinella anticipano
l’attimo del parto si aprono

le immagini come a un estraneo
ricorda le grida dei figli di quest’uomo

cercava l’approvazione con lo sguardo muto
ho fatto ciò che qualcuno doveva fare

spettro che ritorna nel processo inverso
dalla notte al giorno scende al bar vicino

gli occhi arrossati alla controluce del mattino
fino a quando la scheggia attraversa

di nuovo il bulbo oculare dimentica
un matrimonio dove si guadagna da vivere

si rimette in macchina e torna lungo la via
la tenerezza che abbiamo depredato

nello schedario di cosa resterà
se quella fotografia o un suo particolare

 

 

 


4 risposte a "Abele Longo: Lungo la Domitiana (a Giovanni Izzo)"

  1. Plaudo all’impiego del distico nel componimento dal tono elegiaco di Abele Longo. Il distico non è una fredda tecnica, è molto molto di più. Alcune meditazioni a hoc di Giorgio Linguaglossa:

    “[…] il distico obbliga il poeta alla massima severità, al massimo dell’ordine.
    Il parallelismo membrorum non ammette, se non rarissimamente, deroghe o eccezioni alla sua struttura binaria.

    Il distico è come il binario ferroviario sul quale passano i treni, è anch’esso un binario sul quale passa il treno delle parole; se il binario non tiene, il treno rischia di deragliare; così le parole, se il distico non tiene, le parole rischiano di andarsi a schiantare contro qualche muro a centinaia di metri di distanza.

    A ciascuno il proprio distico.

    Il distico è scuola di severità, di precisione, di distacco dalla materia verbale, di distacco dall’io, a suo modo impone un rigore che il verso libero non ha nel suo DNA. Sostenere a lungo il distico non è affatto facile, non è una maniera, come pensano i suoi ingenui detrattori, è la forma più antica di scrittura poetica, ed è la più difficile da mantenere […]”

    Abele Longo adotta come centro o luogo poetico di privilegio tematico la fotografia, l’arte della fotografia e ne ricava una idea del destinatario dei suoi distici, Giovanni Izzo, di un poeta, un poeta che al posto della parola impiega il linguaggio fotografico, e vi riesce..
    Del resto, foto-grafia, tornando all’etimo originario, è scrivere con la luce, scrittura con la luce, con la complicità del sole…

    (gino rago)

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  2. Grazie, Gino Rago, contento e onorato della visita. Siamo, tra l’altro, nella stessa raccolta curata da Giorgio Linguaglossa, “Il rumore delle parole”; e, a proposito di Giorgio, trovo le sue parole sul distico illuminanti, molto efficace l’immagine del binario. Grazie anche per la definizione che dà di fotografia. La fotografia di Giovanni Izzo è, infatti, poesia e per me fonte di ispirazione. Per questi versi mi sono ispirato ad alcune sue fotografie, inclusa questa scelta per il post, intercalandole, come in una sequenza filmica, con immagini del quotidiano di Giovanni (uno dei più grandi fotografi che abbiamo in Italia a mio modesto avviso, la sua pagina su Facebook: https://www.facebook.com/IzzoFotografia-2357026124581457/)

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  3. Caro Abele, ricordiamo insieme Joseph Roth, a cento anni dalla sua morte, con codesto mio necrologio in distici: Le va?
    Ho stimato come ‘utile’, per una efficace contestualizzazione storico-letteraria di questo raffinato cantore della finis austriae, dotare i miei versi con alcune news bio-bibliografiche dell’autore de La leggenda del santo bevitore.
    Sono fraterno amico di Giorgio Linguaglossa, collaboro assai strettamente con lui sia come Redattore de L’Ombra delle Parole, sia come Redattore del Trimestrale (cartaceo) Il Mangiaparole: considero Giorgio il massimo interprete militante della poesia contemporanea, non soltanto italiana. Ne è testimonianza ulteriore, direi definitiva, Critica della Ragione Sufficiente (verso una nuova ontologia estetica), Progetto Cultura Edizioni, Roma, 2017.

    Gino Rago

    In memoria di Joseph Roth
    Un necrologio in distici a 100 anni esatti dalla sua morte
    ( 27 maggio 1939 )

    «Conceda Dio a tutti voi, a voi santi bevitori,
    Una morte lieve».*
    […]

    Un cavallo lipizzano alzò per un istante
    La zampa destra in segno di commiato.

    Il lampadario cadde sui legni della sala del valzer,
    Shearazade pianse.

    La contessa W. della milleduesima notte
    Sgranò gli occhi dai riflessi di violette e miosotide.

    E tutti i presenti se ne innamorarono.
    […]
    La mattina del 23 di un mese di primavera
    Nel 1939 cadde a terra di schianto.

    Come Andreas
    Nella leggenda del santo bevitore.

    Era nel caffè Tournon.
    Aveva scritto per anni e bevuto calvados

    Fino a perdere il senno.
    Non fu portato nella sagrestia

    Della chiesa di Santa Teresa
    Ma all’ ospedale Necker.

    Lo legarono con cinghie al letto
    Come l’ ultimo dei mendicanti.

    Dalla sua cartella clinica:
    “Non-ha-ricevuto-nessuna-cura”
    […]
    Il 27 dello stesso mese morì.
    Il giorno 30 il funerale al cimitero Thiais.

    Nei sobborghi di Parigi
    Le pietre si fecero parole.

    Un messo di Otto d’ Asburgo
    Pretendente al trono d’Austria

    Elogiò in lui
    «Il-fedele-combattente-della-Imperial-Regia- Monarchia».

    Un comunista gli rispose con rabbia
    Che il morto era stato «Joseph il rosso».

    Un sacerdote cattolico benedisse la salma.
    Tutti gli ebrei presenti furono offesi

    Dal fatto che un ebreo
    Che discendeva da generazioni di devoti ebrei

    Fosse costretto in una religione non sua.
    […]
    Forse il morto fu contento dello schiamazzo
    Sulla sua tomba di periferia,

    Era stato monarchico e rivoluzionario, ebreo e cattolico,
    Pagano e musulmano.

    E bevitore, sebbene non santo.
    Abitò da solo il regno-del-non-dove

    Nella stanza del Bioscopio universale.
    […]
    «La morte simbolista di Roth…
    Come quella nel ‘28

    Di Nina Ivanovna Petrovskaja
    Della Bohéme russa in esilio a Parigi.

    Aprì da sola il gas nello squallore
    D’un albergo d’un quartiere popolare».
    […]
    Joseph Roth, inabile anche alla morte,
    Vita-non-vita d’un sopravvissuto

    Alla fine di un mondo, di una lingua,
    Di una storia.

    Scrivendo divenne monarchico.
    Sempre scrivendo divenne devoto.
    […]
    Voleva credere e divenne credente.
    Ma forse cercava soltanto sé stesso

    Nei frammenti della Finis Austriae
    Alla fine il naufragio.

    Viso tumefatto. Piedi gonfi.
    Bottiglie vuote in fila di calvados e gin.

    Tentò di scacciare da sé l’anticristo.
    […]
    L’incenso di tutte le chiese.
    Moriva di maggio l’uomo.

    Nasceva il-soldato-della-penna
    In-servizio-permanente-effettivo.

    Da quel giorno Joseph Roth è di tutti.

    (gino rago)

    * [La leggenda del santo bevitore]

    Bio-bibliografia essenziale di Joseph Roth

    Joseph Roth, scrittore e giornalista austriaco del primo Novecento,
    non è una figura letteraria molto conosciuta, oltre l’area linguistica tedesca, se non per il racconto autobiografico più noto, ovvero Die Legende vom heiligen Trinker, (La leggenda del santo bevitore) scritto nel 1939, diventato celebre anche grazie all’omonimo film (del 1988) di Ermanno Olmi.

    Nasce nel 1894 da una famiglia ebraica in Galizia, nella città di Brody, che ora si trova in Polonia ma che a quell’epoca apparteneva al groviglio di stati che componeva l’impero Austro-Ungarico.

    Nel 1913 arriva a Vienna, la grande capitale, per studiare germanistica all’università. In condizioni economiche davvero precarie inizia, grazie alla sua abilità stilistica, una collaborazione con il giornale Österreichs Illustrierte Zeitung dove vengono pubblicati i suoi primi articoli e le sue prime poesie. Scoppia la Grande guerra ma Joseph è un pacifista.

    Si arruola solo nel 1916 e vive in una caserma di Vienna come addetto Ufficio stampa dell’esercito. Anche in questo periodo scrive. Le sue parole vengono pubblicate sul quotidiano Der Abend e sul settimanale Der Friede. Il direttore di quest’ultimo sarà colui che, terminato il conflitto, recluterà Roth come collaboratore per le pagine culturali del Der Neue Tag. Qui descrive nei suoi articoli la vita quotidiana della gente nella Vienna del dopoguerra come una sorta di cronaca cittadina, spesso trasposta in chiave metaforica.

    Nel 1920 il giornale chiude e il giornalista si reca nella più vivace Berlino dove lavora per il Berliner Börsen-Courier prima e successivamente per alcuni anni come corrispondente culturale nel più conosciuto Frankfurter Zeitung dove inizierà una corrispondenza con Stefan Zweig che diventerà suo mecenate. Nella redazione di questa importante testata sviluppa numerosi reportages, che spesso lo portano a Parigi, in Albania, in Polonia e anche in Italia.

    La vita sentimentale dello scrittore è molto travagliata. Sposa a Vienna Friederike (Friedl) Reichler che lo segue a Berlino. Ma la vita mondana e frenetica dello scrittore, oltre alla sua morbosa e insana gelosia, provocano nella moglie una forte crisi tale da destabilizzarla quasi completamente. Roth dopo i primi sensi di colpa conosce diverse donne con le quali intrattiene numerose relazioni.

    Con l’ascesa al potere di Hitler nel 1933, data la sua origine ebraica, è costretto ad emigrare. Dapprima si trasferisce in Francia, poi nei Paesi Bassi e infine nuovamente in Francia.

    Nonostante in Germania i suoi libri vengano bruciati, nei Paesi che lo ospitano, rispetto a molti altri scrittori emigrati, continua ad avere la possibilità di pubblicare opere.

    Nel 1936 incontra la scrittrice Irmgard Keun con la quale vive a Parigi, ma nel 1938 si lasceranno. Tra il 1937 e il 1939 la situazione economica, oltre alla salute di Roth, peggiorano. Beve e viene trasferito all’ospizio dei poveri. Il 27 maggio 1939 muore a Parigi per polmonite.

    Raffinato cantore della finis Austriae, della dissoluzione dell’impero austro-ungarico ( quell’Impero che fu in grado di riunire popoli di origini disparate, con lingue, religioni, tradizioni diverse) benché egli stesso fosse nato alla periferia dell’impero, nell’odierna Ucraina, lascia alla letteratura universale svariate opere (La cripta dei Cappuccini, La marcia di Radetzky, La milleduesima notte, La leggenda del santo bevitore).

    ( a cura di ) gino rago

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